Codice Civile art. 1324 - Norme applicabili agli atti unilaterali.

Cesare Trapuzzano

Norme applicabili agli atti unilaterali.

[I]. Salvo diverse disposizioni di legge, le norme che regolano i contratti si osservano, in quanto compatibili, per gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale [1236, 1334, 1350 n. 5, 1414 3, 1987, 2821].

Inquadramento

In linea di principio, la disciplina del contratto non si applica agli atti giuridici unilaterali non negoziali, attesa la diversa natura delle due figure giuridiche. Per converso le norme sul contratto sono direttamente applicabili agli atti unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale, i quali posseggono natura negoziale, sebbene presentino dei connotati distintivi di significativo rilievo nella sfera dell'autonomia patrimoniale (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 55). Benché la norma faccia riferimento ai soli atti unilaterali aventi natura negoziale, non si può escludere che le norme dedicate al contratto trovino applicazione, in via analogica e non diretta, agli atti non negoziali o in senso stretto, che siano leciti. Tuttavia il riconoscimento dell'applicazione analogica si pone su basi e termini ben diversi dal criterio di compatibilità prescritto dalla norma: l'analogia postula l'identità di  ratio posta a fondamento dell'estensione della norma al caso uguale non regolato; la compatibilità opera come un limite all'applicazione di una regola da un caso all'altro, assumendo così un suo precipuo valore soprattutto nelle ipotesi in cui si assiste all'esplicita o diretta estensione (o al rinvio o all'efficacia o alla capacità espansiva) di una normativa ad un'altra materia (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 53). In senso contrario altro autore, aderendo ad un giudizio di compatibilità in senso funzionale piuttosto che materiale, osserva che l'art. 1324 si limita a prevedere l'integrazione analogica agli atti unilaterali delle disposizioni dettate per i contratti (Cataudella, 16). Deve in ultimo escludersi che le norme sui contratti possano trovare applicazione, né diretta né indiretta, agli atti unilaterali mortis causa e a quelli non aventi contenuto patrimoniale.

Così l'art. 1392 sulla forma della procura si applica agli atti unilaterali negoziali ai sensi dell'art. 1324, ma non agli atti in senso stretto, come la ricezione della prestazione, sicché la rappresentanza a ricevere l'adempimento può risultare da una condotta concludente, dimostrabile con ogni mezzo, incluse le presunzioni (Cass. n. 11737/2018Cass. n. 20345/2015 ). Identica conclusione vale per l'atto di costituzione in mora (Cass. n. 7097/2012; Cass. n. 4347/2009; Cass. n. 10090/1998). Per converso, la procura in forma scritta è necessaria affinché produca effetti la diffida ad adempiere inviata da un rappresentante della parte interessata, appunto perché essa ha natura negoziale ed esige la forma scritta, e ciò indipendentemente dalla forma solenne richiesta per il contratto da risolvere (Cass. S.U., n. 14292/2010). Allo stesso modo, le norme in tema di interpretazione dei contratti, in ragione del rinvio ad esse operato dall'art. 1324, si applicano anche ai negozi unilaterali, nei limiti della compatibilità con la particolare natura e struttura di tali negozi (Cass. n. 9127/2015; Cass. n. 25608/2013; Cass. n. 460/2011). Il recesso dal contratto di locazione ha natura tipicamente negoziale quale manifestazione dell'autonomia negoziale della parte, ed è pertanto suscettibile di ratifica qualora provenga dal falsus procurator, disciplinata dall'art. 1399 (Cass. n. 3616/2014) e di conversione qualora l'atto sia nullo, disciplinata dall'art. 1424 (Cass. n. 263/2011).

L'atipicità degli atti unilaterali

Secondo la dottrina tradizionale, a differenza di quanto previsto per i contratti dall'art. 1322, i negozi unilaterali sono ammessi solo a fronte del perseguimento di funzioni tipiche, predeterminate dalla legge (Santoro Passarelli, 182; Galgano, 213; Messineo, 1957, 457). Il principio di tipicità dei negozi unilaterali troverebbe la propria giustificazione nell'intrinseca attitudine di tali atti ad incidere in ogni caso e in via diretta sull'altrui sfera giuridica e, quindi, nell'esigenza che di essi siano delimitati i tipi e la capacità operativa. Ma in senso contrario altra dottrina ammette l'atipicità degli atti negoziali unilaterali a contenuto patrimoniale, purché nel rispetto dei limiti sanciti dall'art. 1322, sulla scorta della sovranità formale del soggetto nella propria sfera giuridica, da cui si può evincere la sussistenza di un potere del terzo di rifiutare gli effetti dell'altrui attività negoziale, ossia di sottrarsi alle alterazioni non gradite della propria sfera giuridica, come può ricavarsi dall'art. 1333, comma 2 (Donisi, 1988, 2; Rescigno, 1989, 305). Piuttosto, l'ammissibilità di un principio di atipicità dei negozi unilaterali aventi contenuto patrimoniale impone un'indagine inerente al profilo funzionale, poiché non si può a priori escludere l'eventualità di atti unilaterali illeciti (Donisi, 1988, 4).

La nullità degli atti unilaterali

La nullità degli atti unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale può derivare dall'illiceità della causa ovvero del motivo, quando esso sia comune all'autore del negozio e al suo destinatario e sia l'unico determinante della conclusione del negozio; nondimeno, deve essere consentito al destinatario di un atto recettizio che non abbia condiviso il motivo illecito dell'autore dell'atto di sindacare detto motivo e di impugnare l'atto. Con riguardo agli atti unilaterali non recettizi, l'illiceità del motivo può essere fatta valere liberamente da chi dovrebbe subirne gli effetti (Rescigno, 1989, 269).

Anche secondo la giurisprudenza la causa illecita e il motivo illecito rilevano ai fini della nullità anche negli atti unilaterali; il relativo accertamento è rimesso al giudice di merito e non è censurabile in sede di legittimità, se non per vizi di motivazione (Cass. n. 15093/2009; Cass. n. 11191/2002; Cass. n. 755/1982). Così deve qualificarsi affetto da motivo illecito, e quindi nullo, l'atto di recesso da un rapporto di agenzia che, diretto nei confronti di un agente costituito in forma di società di persone, risulti ispirato dalla sola finalità di rappresaglia e di ritorsione nei confronti del comportamento sindacale tenuto dai soci di quest'ultima, dovendosi ritenere un siffatto motivo contrario alle norme imperative poste a tutela delle libertà sindacali dei lavoratori, norme che, in ragione del valore e della tutela che lo stesso dettato costituzionale assegna al lavoro, nella sua accezione più ampia, appaiono estensibili, al di fuori dei rapporti di lavoro subordinato, a tutti coloro che svolgono attività lavorativa, anche se in forma parasubordinata o autonoma (Cass. n. 20197/2005). Allo stesso modo, è invalido un licenziamento determinato in via esclusiva da un motivo illecito (Cass. n. 3930/1979).

La conversione degli atti unilaterali nulli

Il negozio unilaterale dichiarato nullo può essere suscettibile di conversione, purché abbia i requisiti di sostanza e di forma del negozio diverso e che l'atto convertito risponda allo scopo perseguito dall'atto nullo, in virtù del combinato disposto degli artt. 1324 e 1424.

Per converso la S.C. è divisa sul punto. Un primo orientamento ritiene ammissibile la convertibilità del negozio unilaterale nullo, come accade nell'ipotesi di licenziamento disciplinare che violi il principio della preventiva contestazione dell'addebito, il quale può essere considerato dal giudice, ove vi sia sul punto una specifica richiesta, come licenziamento  ad nutum, qualora si accerti che il datore di lavoro, ove avesse conosciuto la causa della nullità, avrebbe ugualmente licenziato il lavoratore per un motivo di natura non disciplinare (Cass. n. 6741/1992; Cass. n. 2596/1992; Cass. n. 66/1984); altrettanto dicasi per la conversione del trasferimento del lavoratore disposto dal datore di lavoro in una mera trasferta (Cass. n. 7350/2010). Per le stesse ragioni, il diniego di rinnovazione della locazione ex art. 29 l. n. 392/1978, nullo in relazione alla prima scadenza, ben può convertirsi in una disdetta semplice o a regime libero (non essendo richiesto che sia motivata), valida per la seconda scadenza contrattuale, recando il contenuto inequivocabile della manifestazione di volontà contraria alla prosecuzione e alla rinnovazione del rapporto (Cass. n. 263/2011; Cass. n. 13641/2004). In base ad altra impostazione l'istituto della conversione legale non ha ragione di essere applicato ad un atto negoziale unilaterale nullo, poiché il suo autore può procedere direttamente all'adozione di un nuovo atto valido in sostituzione di quello nullo, sicché è escluso che un licenziamento in tronco possa essere convertito in un licenziamento ad nutum (Cass. n. 2165/1985; Cass. n. 875/1981). D'altro canto, poiché l'art. 1424 prevede in via esclusiva l'ipotesi della conversione di un contratto nullo in un altro contratto, è inammissibile la conversione di un contratto nullo in un negozio unilaterale, in quanto, operando la conversione sul piano delle trasformazioni giuridiche, non consente la frammentazione del contratto in atti unilaterali con l'attribuzione di nuovi e diversi effetti (Cass. n. 7064/1986; Cass. n. 4827/1983).

L'interpretazione degli atti unilaterali

Ai negozi unilaterali sono applicabili, a fini interpretativi, le norme e i criteri di esegesi previsti per i contratti, fatta eccezione per quelli incompatibili. In conseguenza, non può aversi alcun riferimento alla comune intenzione delle parti, che nei negozi unilaterali per definizione non ricorre, ma deve essere sondata esclusivamente quale sia stata l'intenzione propria del soggetto che ha posto in essere il negozio, senza fare ricorso, allo scopo di determinarlo, alla valutazione del contegno dei destinatari del negozio stesso. Trovano, invece, applicazione i criteri interpretativi volti alla conservazione degli effetti dei negozi unilaterali e della buona fede. Rimane altresì fermo il riferimento al senso letterale delle parole adoperate, sicché, ove esse siano chiare e inequivoche, non è consentita una lettura da esse difforme.

In questo senso è anche la S.C. secondo cui le norme in tema di interpretazione dei contratti, in ragione del rinvio ad esse operato dall'art. 1324, si applicano anche ai negozi unilaterali, nei limiti della compatibilità con la particolare natura e struttura di tali negozi, sicché, mentre non può aversi riguardo alla comune intenzione delle parti ma solo all'intento proprio del soggetto che ha posto in essere il negozio, resta fermo il criterio dell'interpretazione complessiva dell'atto (Cass. n. 9127/2015; Cass. n. 1387/2009; Cass. n. 13970/2005; Cass. n. 18328/2002). Al contempo, non può aversi riguardo al comportamento complessivo delle parti anche posteriore alla conclusione del contratto (Cass. n.7973/2002; Cass. n. 12780/2000). Trovano altresì applicazione il riferimento al senso letterale delle parole, l'interpretazione complessiva delle clausole le une per mezzo delle altre, nonché il prevalente rilievo da attribuire al contenuto sostanziale dell'atto rispetto al nomen juris utilizzato (Cass. n. 8361/2014; Cass. n. 8876/2006). Inoltre, nel conflitto tra la manifestazione di volontà desumibile da clausole aggiunte e quella desumibile per relationem dalle clausole a stampa, deve darsi prevalenza alle prime, dovendosi presumere che il sottoscrittore abbia inteso privilegiare le clausole formulate appositamente e specificamente, piuttosto che quelle preordinate unilateralmente (Cass. n. 2399/2009). Ancora il criterio della interpretazione contra stipulatorem rientra fra gli strumenti sussidiari di interpretazione della volontà negoziale, a cui è possibile fare ricorso solo quando risulti non appagante il ricorso ai criteri di cui agli artt. 1362-1365 e il giudice fornisca compiuta e articolata motivazione della ritenuta equivocità e insufficienza del dato letterale (Cass. n. 6656/2004). L'interpretazione della volontà negoziale delle parti, compiuta dal giudice del merito, non è soggetta al sindacato di legittimità, quando sia stata condotta secondo le regole di ermeneutica fissate dagli artt. 1362 e ss. e sia congruamente motivata (Cass. n. 8713/2004; Cass. n. 4147/2001). Relativamente alla categoria degli atti giuridici in senso stretto, che costituiscono espressione dell'autonomia privata, ma i cui effetti si producono indipendentemente dalla volontà del soggetto, essendo stabiliti direttamente dalla legge, ciò che rileva non è tanto l'intento dell'autore, quanto la riconoscibilità del medesimo; ne consegue l'inutilizzabilità di criteri dettati per l'interpretazione di contratti, calibrati essenzialmente sulla volontà dell'agente, e la pertinenza invece degli elementi obiettivi di riconoscibilità del significato dell'atto (Cass. n. 11150/1998). In senso contrario altri arresti della giurisprudenza sostengono che le norme di ermeneutica contrattuale sono applicabili ai meri atti giuridici (non negoziali), nei limiti di ammissibilità dell'analogia, e della compatibilità delle singole norme con la natura dell'atto. Sicché deve ritenersi applicabile — oltre che l'art. 1363, relativo all'interpretazione complessiva delle clausole — anche l'art. 1362, perché ai sensi di tale disposizione va ricercata non tanto l'intenzione soggettiva delle parti (non configurabile rispetto ad un atto non negoziale), quanto piuttosto il contenuto obiettivo della volontà del dichiarante trasfuso nel documento e riferito non agli effetti ma all'oggetto della dichiarazione (Cass. n. 1960/1995; Cass. n. 3380/1983). Alla proposta e all'accettazione, indipendentemente dalla loro qualificazione giuridica di atti giuridici non negoziali o di dichiarazioni unilaterali di volontà, non è comunque applicabile, attesa la loro natura di atti unilaterali, il criterio ermeneutico della comune intenzione e del comportamento complessivo delle parti, escludendosi altresì la rilevanza del comportamento dell'autore dell'una o dell'altra e rimanendo, invece, applicabile il criterio dell'interpretazione complessiva dell'atto (Cass. n. 41/1990; Cass. n. 1072/1985).

Le altre norme sul contratto applicabili

Secondo la giurisprudenza, può trovare applicazione agli atti negoziali unilaterali l'art. 1352, in ordine alla fissazione di una forma convenzionale per la stipulazione dell'atto, che si presume stabilita a pena di nullità (Cass. n. 14343/2012; Cass. n. 9554/2001; Cass. n. 1922/1982). Sono state ritenute applicabili anche ai negozi unilaterali le norme che regolano l'annullabilità dell'atto per vizi del consenso ovvero per incapacità di intendere e di volere del suo autore (Cass. n. 874/2012; Cass. n. 8886/2010; Cass. n. 20887/2007; Cass. n. 515/2004; Cass. n. 14438/2000; Cass. n. 7629/1996; Cass. n. 6166/1996; Cass. n. 918/1984). Gli atti negoziali unilaterali in genere non sopportano una condizione risolutiva, ma ben possono contenere una condizione sospensiva, permessa dal principio generale di libertà negoziale (Cass. n. 25138/2010; Cass. n. 13523/2001). Non è compatibile con il regime degli atti unilaterali l'istituto della presupposizione, che può trovare applicazione solo nei contratti con prestazioni corrispettive (Cass. n. 14897/2001; Cass. n. 728/1992).

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