Codice Civile art. 1326 - Conclusione del contratto.

Cesare Trapuzzano

Conclusione del contratto.

[I]. Il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell'accettazione dell'altra parte [1335].

[II]. L'accettazione deve giungere al proponente nel termine da lui stabilito o in quello ordinariamente necessario secondo la natura dell'affare o secondo gli usi [1328 2].

[III]. Il proponente può ritenere efficace l'accettazione tardiva, purché ne dia immediatamente avviso all'altra parte [1175].

[IV]. Qualora il proponente richieda per l'accettazione una forma determinata [1352], l'accettazione non ha effetto se è data in forma diversa.

[V]. Un'accettazione non conforme alla proposta equivale a nuova proposta.

Inquadramento

Il procedimento di formazione del contratto delineato dalla disposizione rappresenta il modello-base di formazione del contratto nel nostro ordinamento giuridico; esso è prefigurato come conclusione del contratto tra persone lontane. Attraverso l'integrazione con l'art. 1335 è pertanto codificata la teoria della ricezione, secondo cui il contratto è concluso nel luogo e nel momento in cui il proponente riceve l'accettazione, sebbene temperata da una possibilità di prova contraria (Roppo, 1989, 2). Non è escluso che le parti possano specificamente convenire il luogo in cui il contratto deve intendersi concluso. Accanto al modello-base descritto dalla norma il codice regola ulteriori sub-modelli di formazione contrattuale, riferiti a particolari classi di contratti (artt. 1327, 1332, 1333, 1341). Al di fuori del modello di formazione del contratto tra persone lontane mediante scambio di proposta e accettazione, il contratto può concludersi mediante sottoscrizione contestuale di un unico documento ovvero mediante elaborazione comune del testo contrattuale o, ancora, tra persone presenti ad iniziativa di un terzo che sottoponga alle parti un progetto di contratto, cui le stesse dichiarino di aderire (Bianca, 242). A fronte di detti ulteriori modelli procedimentali di formazione del contratto, un'autentica alternativa strutturale si prospetta con riferimento ai contratti reali, ossia ai contratti che si concludono non con il semplice consenso ma attraverso la traditio della res, come il mutuo, il comodato, il deposito, il pegno, il riporto, dove la consegna si configura come parte integrante dell'autoregolamento, il quale può a sua volta realizzarsi nella pienezza dei suoi motivi e scopi solo in quanto la cosa sia effettivamente tradita all'accipiens (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 86). Prima della consegna il contratto non sarebbe radicalmente nullo ma in itinere, ossia in fase di formazione (Messineo, 1961, 883). Tuttavia, la dottrina più recente ritiene che le operazioni tipiche che connotano la causa dei contratti reali possano costituire oggetto anche di contratti consensuali atipici (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 107); né è escluso che possano essere conclusi contratti preliminari aventi ad oggetto la futura conclusione di contratti reali (Bianca, 246). In tal caso si tratterebbe di preliminare improprio (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 107).

La proposta

La proposta consiste nella formulazione di un'ipotesi di accordo, rivolta specificamente alla parte con cui il proponente intende concludere il contratto, sicché essa si esplica nell'atto di iniziativa diretto alla conclusione di un contratto (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 87). Quando dall'atto non emerga un destinatario, si tratterà di un invito a trattare, salvo che non ricorra l'ipotesi di un'offerta al pubblico. Essa deve essere completa, ossia adeguata nel suo contenuto, affinché si possa costituire per suo mezzo quel determinato contratto. Qualora il proponente si rimetta per la determinazione di alcune clausole al suo destinatario, l'accettazione non varrà esclusivamente come atto di adesione, in quanto avrà anche una portata integrativa del contenuto contrattuale, secondo lo schema della determinazione per relationem, nei limiti tuttavia di una congrua prefissazione di uno spazio entro cui è ammessa ad operare la volontà dispositiva dell'oblato (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 88). È invece incompleta la proposta che rinvii ad un ulteriore accordo delle parti in ordine ad elementi secondari (Bianca, 219); la proposta incompleta varrà come invito a proporre (Roppo, 1989, 4). Siffatta possibilità non è ipotizzabile per i contratti contraddistinti dall'intuitus personae, in relazione ai quali non è configurabile una proposta suscettibile di essere accettata da persona sconosciuta (Galgano, 169). Dalla proposta deve inoltre emergere la manifestazione di volontà del proponente di impegnarsi nella conclusione del contratto (Messineo, 1961, 857). In senso diverso, si ritiene che tale intento possa essere desunto dal complessivo tenore della proposta, sulla scorta del riferimento a parametri oggettivi (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 90). La proposta che sia accompagnata dalla dichiarazione “senza impegno” ha comunque rilevanza giuridica come atto idoneo a costituire il contratto, aggiungendosi al potere di revoca già spettante al proponente l'ulteriore potere di sottrarsi agli effetti dell'accettazione, con la conseguenza che il successivo e favorevole scioglimento (anche implicito) della riserva determina la costituzione del contratto (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 90). La proposta deve rivestire la stessa forma prescritta dalla legge per il contratto alla cui conclusione è ordinata. In via eccezionale la proposta può presentarsi nella forma della dichiarazione tacita purché siano adoperati mezzi idonei a rendere edotta la controparte del proposito di concludere un certo contratto (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 91). La proposta contrattuale è cedibile entro i limiti in cui è cedibile il contratto a cui è preordinata (Sacco, in Tr. Vas., 1975, 724; Bianca, 228; Carresi, in Tr. C. M., 1987, 755). Ove il contratto sia cedibile mediante girata del documento ai sensi dell'art. 1407, sarà cedibile nello stesso modo anche la relativa proposta (Sacco, in Tr. Vas., 1975, 382). La proposta può contenere un termine entro il quale il destinatario deve accettarla, e ciò per non soggiacere alle mutevoli condizioni di mercato a fronte dello stato esistente al tempo in cui essa è stata formulata (Messineo, 1961, 852).

Anche secondo la S.C. la proposta deve essere completa, univoca e attuale (Cass. n. 15964/2009). Essa deve contenere la completa formulazione del regolamento negoziale, attraverso la predisposizione di corrispettivi vincolanti ai fini dell'esecuzione delle prestazioni, in modo tale da richiedere la pura e semplice accettazione dell'altro contraente, senza ulteriori integrazioni. Ne consegue che non può essere qualificata come proposta in senso tecnico-giuridico la mera richiesta di esecuzione della prestazione, ancorché comprensiva di indicazioni relative alle condizioni economiche del futuro contratto (Cass. n. 15856/2012). Un'offerta di conclusione contrattuale precisa e particolareggiata nonché completa di tutti gli elementi essenziali costituisce una vera e propria proposta contrattuale e non una semplice dichiarazione generica di disponibilità (Cass. n. 9039/2006; Cass. n. 7094/2001; Cass. n. 6741/1987). La ricorrenza di una proposta contrattuale, come tale idonea a determinare la conclusione del contratto a seguito dell'accettazione della controparte, non resta esclusa dal fatto che la proposta medesima contenga delle condizioni, ove esse non incidano sull'attuale volontà negoziale del proponente, né si traducano in riserve per una valutazione successiva circa l'opportunità di vincolarsi, ma implichino solo la precisazione dell'ambito e del contenuto del contratto proposto (Cass. n. 319/1983). Essa presuppone la volontà del proponente di impegnarsi contrattualmente (Cass. n. 6922/1982); detta volontà — che vale a distinguere la proposta dalla semplice manifestazione della disponibilità a trattare —, mentre è di norma implicitamente desumibile dal fatto che il proponente abbia indirizzato al destinatario un atto che abbia un contenuto idoneo ad essere assunto come contenuto del contratto, deve, invece, essere concretamente accertata ove la proposta sia pervenuta al destinatario tramite un terzo, in particolare dovendosi verificare se la trasmissione dell'atto sia avvenuta ad iniziativa di chi ha formato il documento ovvero del terzo, all'insaputa di quello (Cass. n. 15510/2011; Cass. n. 6788/1990). La dichiarazione del proponente deve essere completa, nel senso di contenere tutti gli elementi del futuro contratto, e inoltre non deve essere accompagnata da riserve sul suo carattere attualmente impegnativo, perché la dichiarazione che non manifesti una decisione, ma sia rivolta al destinatario solo per impostare una trattativa o per esprimere una disponibilità dell'autore, senza la volontà di esporsi al vincolo contrattuale se non dopo ulteriori passaggi valutativi, non conferisce al destinatario stesso il potere di determinare, con l'accettazione, l'effetto conclusivo del contratto (Cass. n. 15964/2009). La proposta, ove formulata per iscritto, non deve essere necessariamente contenuta in un solo documento (Cass. n. 18185/2014). Il termine di efficacia di una proposta contrattuale deve essere distinto da quello di irrevocabilità della proposta stessa, l'uno avendo la funzione di stabilire il lasso di tempo entro il quale deve pervenire al proponente la relativa accettazione, l'altro essendo diretto a fissare i limiti di durata di quell'ulteriore e specifica manifestazione di volontà necessaria affinché una semplice proposta contrattuale acquisti anche il suddetto eccezionale carattere dell'irrevocabilità; con la duplice conseguenza di una possibile diversità di ampiezza dei due termini e dell'insufficienza della sola indicazione del termine ai fini dell'acquisizione dell'irrevocabilità (Cass. n. 18001/2010; Cass. n. 41/1990). L'impegno assunto in sede di trattativa negoziale di mantenere fermo per un certo periodo di tempo il prezzo offerto non postula necessariamente l'intento di considerare tale impegno, anche se relativo ad un punto essenziale, quale proposta irrevocabile, ben potendo esso costituire soltanto un momento del processo formativo del contratto senza efficacia vincolante, ove l'accordo delle parti non sia stato raggiunto sulla totalità degli elementi costitutivi (Cass. n. 77/1993). La proposta — salvo che essa sia irrevocabile ai sensi dell'art. 1329 — può essere dal proponente revocata senza bisogno di alcuna motivazione o giustificazione e senza dover attendere che sia trascorso il termine ordinariamente necessario, secondo la natura dell'affare o gli usi, perché gli pervenga l'accettazione della controparte, in quanto tale termine, previsto dal comma 2 dell'art. 1326, non concerne l'istituto della revoca ma il diverso istituto della caducazione automatica (senza cioè bisogno di alcuna revoca) della proposta (Cass. n. 1072/1985). Anche nel caso in cui la proposta contrattuale, contenente l'indicazione del termine entro il quale l'accettazione deve pervenire al proponente, sia portata a conoscenza dell'oblato nel momento stesso in cui il termine concesso va a scadere, ai fini del giudizio circa l'eventuale conclusione del contratto rileva soltanto il fatto oggettivo della tempestività o tardività dell'accettazione rispetto al termine fissato dal proponente, e non può il giudice sostituirsi alle parti per affermare l'avvenuto perfezionamento del contratto. Fermo restando che la volontaria fissazione di un termine impossibile (che di per se stesso vale a denotare l'assenza di volontà del proponente a concludere il contratto) o di un termine che non può essere rispettato per fatto imputabile a colpa del proponente medesimo costituisce comportamento contrario alla regola di buona fede e correttezza, valutabile ai fini della responsabilità precontrattuale (Cass. n. 4421/1996). Nei contratti per i quali è richiesta la forma scritta ad substantiam la conclusione tra persone lontane può ritenersi avverata allorquando alla proposta in forma scritta segua l'accettazione pure essa in forma scritta (Cass. n. 5370/1989; Cass. n. 3119/1973), mentre la comunicazione dell’accettazione non esige alcun vincolo formale (Cass. n. 1462/2023).  La richiesta, a cura del proponente, di una forma determinata per l'accettazione non attiene all'ipotesi della forma convenzionale vincolata prevista dall'art. 1352, essendo quest'ultima posta nell'esclusivo interesse dello stesso proponente, il quale può pertanto rinunciare al rispetto di detta forma ritenendo sufficiente un'adesione manifestata in modo diverso; pertanto, il difetto di forma non può essere invocato dalla controparte per contestare il perfezionamento del contratto (Cass. n. 13033/2018Cass. n. 14657/2007; Cass. n. 406/2004).

L'accettazione

L'accettazione, ossia la manifestazione di approvazione o di adesione o la risposta positiva a fronte della proposta trasmessa, deve essere conforme alla proposta stessa su tutti i suoi punti, senza distinzione tra punti essenziali e punti secondari (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 93). Un'accettazione che non riproduca il medesimo contenuto sostanziale enunciato dal proponente deve considerarsi una nuova proposta. Talora una proposta e un'accettazione apparentemente non conformi possono essere efficaci ai fini della conclusione del contratto: tanto avviene, ad esempio, quando una proposta contenuta in un unico atto-documento sia in realtà sviluppata su più proposte (Sacco, in Tr. Vas., 1975, 96). Nel caso di proposta complessa, ma unitaria, l'accettazione soltanto di una parte impedisce la formazione del contratto. Dall'accettazione non conforme alla proposta deve essere distinta l'accettazione pura accompagnata da una proposta di modifica: quest'ultima darà luogo alla conclusione del contratto, salva la facoltà per il proponente di accettare a sua volta la proposta di modifica o di rifiutarla (Sacco, in Tr. Vas., 1975, 96). L'accettazione a mezzo telegramma seguito dalla frase “segue lettera” (o altre equivalenti) deve intendersi come una formulazione di riserva, relativamente ad un qualche aspetto del progettato regolamento, sufficiente ad impedire la conclusione del contratto ed idonea, in quanto priva di per sé di effetti negoziali, solo ad anticipare la disponibilità dell'accettante verso la conclusione dell'affare (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 95; Carresi, 773). L'accettazione munita della clausola “salvo approvazione della casa”, in quanto apposta da agente munito del potere di rappresentanza, deve essere considerata come sospensivamente condizionata alla successiva approvazione del rappresentato. Ove tuttavia l'accettante sia un semplice piazzista, il quale non abbia alcun potere rappresentativo della casa, egli agisce quale “tramite” della proposta al destinatario e la clausola vale a stabilire, a scanso di equivoci, che il contratto sarà concluso solo se e quando intervenga l'approvazione (rectius l'accettazione) della casa (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 96). La mera trasmissione di bozze non firmate non vale a far ritenere concluso il contratto. L'accettazione deve essere portata a conoscenza del proponente affinché il contratto possa concludersi; essa deve giungere a conoscenza del destinatario nel termine fissato nella stessa proposta o, in mancanza, nel termine ordinariamente necessario secondo la natura degli affari o gli usi. L'accettazione tardiva, con valutazione da compiere rispetto al momento della ricezione, non determina la conclusione del contratto. Il dovere di buona fede impone al proponente, a pena di risarcimento dei danni, di avvertire l'altra parte che l'accettazione, ancorché spedita in tempo utile, è giunta in ritardo (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 99). Tuttavia essa può dare ugualmente luogo al perfezionamento del contratto ove il proponente la ritenga efficace e ne dia immediato avviso all'altra parte. In questa ipotesi la conclusione non è subordinata alla dichiarazione del proponente che ritenga efficace l'accettazione tardiva, né tantomeno alla ricezione dell'avviso; invece, il contratto si perfeziona nel momento e nel luogo in cui l'accettazione tardiva perviene al proponente (Sacco, in Tr. Vas., 1975, 84) e sempre che questi ritenga concluso il contratto (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 56; Carresi, in Tr. C.M., 1987, 777). L'avviso circa la manifestazione di intento di ritenere efficace l'accettazione tardiva consiste in una comunicazione, di cui il proponente è onerato (Bianca, 220); il mancato o tardivo esercizio di tale onere impedisce la conclusione del contratto (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 56) o, secondo altra tesi, importa la risoluzione del contratto con effetti ex tunc (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 99). Poiché l'onere è riferito all'emissione, e non alla ricezione dell'avviso, ogni ritardo nella notizia che ne pervenga all'accettante non influisce sull'avvenuta conclusione del contratto (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 56). Ove il proponente dimostri di aver conosciuto l'accettazione, senza sua colpa, in un momento successivo all'arrivo dell'accettazione presso il proprio domicilio, ma sempre in tempo utile, il contratto si deve ritenere concluso in questo momento (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 101). Non sono indicati specifici vincoli di forma per l'accettazione, salvo che essi non siano previsti  ex lege in ordine al contratto a cui l'accettazione è preordinata, ai sensi degli artt. 782 e 1350, ovvero non siano richiesti dal proponente. Il proponente non può richiedere quale forma dell'accettazione il silenzio, ossia non può inserire nella proposta l'avvertimento che il mancato rifiuto entro un certo termine sarà considerato come accettazione della proposta. Non ha effetto l'accettazione rilasciata in forma diversa da quella prescritta dal proponente. Tuttavia, nel caso in cui l'accettazione manchi della forma richiesta dal proponente, ma il contenuto della dichiarazione ne lasci intendere in modo univoco il valore impegnativo, il proponente può utilizzare ugualmente l'accettazione; in tale evenienza il proponente che intenda approfittarne deve accollarsi l'onere di dirimere prontamente l'obiettiva incertezza della situazione mediante un avviso analogo a quello regolato dall'art. 1326, comma 3, per il caso di accettazione tardiva (Sacco, in Tr. Vas., 1975, 97). Secondo altra tesi l'accettazione che non abbia i requisiti di forma indicati dalla proposta vale come nuova proposta, con la conseguenza che, affinché il contratto si perfezioni, è necessaria l'accettazione dell'originario proponente.

Nella contrattazione per adesione la mancata accettazione, da parte dell'aderente, della totalità delle clausole negoziali impedisce il perfezionamento del contratto, potendo valere tale condotta esclusivamente come nuova proposta (Trib. Udine 17 ottobre 1987). Quando uno dei soggetti contraenti è una persona giuridica, non è sufficiente che l'organo competente abbia stabilito di accettare la proposta e neppure che tale intento si sia concretato in una formale delibera, perché questa è un atto interno, revocabile ad nutum; è invece necessario che la volontà negoziale così formatasi sia manifestata dall'organo esecutivo, munito del potere di rappresentanza dell'ente, nei confronti dell'altro contraente (Cass. n. 15706/2004; Cass. n. 7525/1997; Cass. n. 2340/1988; Cass. n. 1894/1987; Cass. n. 1374/1985). In specie, qualora la proposta in favore di un ente pubblico abbia ad oggetto una donazione, l'art. 782 prescrive un preciso vincolo di forma anche per l'accettazione, che deve essere rilasciata mediante atto pubblico, ed inoltre è prescritto uno specifico mezzo di conoscenza di tale accettazione, ossia la notificazione, che non ammette equipollente mediante affissione nell'albo pretorio (Cass. n. 9611/1991; Cass. S.U.n. 6481/1988). Qualora ricorra un incrocio di proposte equivalenti, entrambe valgono reciprocamente come proposta e accettazione e il contratto è concluso appena esse giungono a destinazione (App. Brescia 21 settembre 1944). La proposta contrattuale di una parte, comunicata alla controparte e da quest'ultima sottoscritta con l'espressa specificazione “per ricevuta”, non può considerarsi come accettata, atteso che la mera sottoscrizione “per ricevuta”, secondo il significato proprio di questa espressione, attiene solo all'avvenuta ricezione dell'atto, ma non comporta anche la manifestazione di volontà di accettazione della proposta stessa, ancorché nel testo di quest'ultima la firma “per ricevuta” sia definita come avente valore di accettazione, restando tale clausola del pari improduttiva di effetti nei confronti del detto sottoscrittore in mancanza di accettazione della stessa proposta che la contenga (Cass. n. 11145/1998; Cass. n. 9130/1990). Qualora una parte, assumendo di avere ricevuto un mandato generale ad amministrare, richieda, con il prospetto del quadro analitico delle attività svolte, il rimborso delle relative spese e la corresponsione del compenso che ritenga spettargli, la mera accettazione della controparte espressa in calce a tale richiesta (nella specie, con la semplice formula “accettiamo quanto sopra”) non dà luogo ad una ricognizione di debito bensì, inserendosi in una vicenda di tipo contrattuale, si configura come accettazione della proposta del preteso mandatario, quale atto conclusivo di un negozio giuridico bilaterale (Cass. n. 1948/1988). Diversamente dalla dottrina, la giurisprudenza ritiene che la clausola “salvo approvazione o conferma della casa”, apposta all'ordinativo da un agente con potere di rappresentanza, importa l'immediata conclusione del contratto, sebbene attribuisca al rappresentato una facoltà di recesso (Cass. n. 4293/1980; Cass. n. 46/1961; contra Cass. n. 2890/1958). Per converso, ove l'agente del venditore sia sfornito di poteri rappresentativi, l'ordine sottoscritto dall'acquirente deve essere trasmesso al venditore, cui spetta in via esclusiva l'accettazione (Cass. n. 3270/1987; Cass. n. 2273/1976; Cass. n. 386/1948). L'obiettiva difformità fra proposta ed accettazione in ordine ad un elemento essenziale comporta che il contratto non possa considerarsi venuto a giuridica esistenza, senza che in detta ipotesi sia configurabile un contratto annullabile per errore sulla portata della propria dichiarazione o sull'interpretazione della dichiarazione altrui, in quanto questo presuppone che la proposta e l'accettazione siano convergenti obiettivamente sull'identico dato, peraltro divergente solo nella rappresentazione soggettiva (Cass. n. 3854/1985). Nel caso di semplice proposta contrattuale non è applicabile per l'accettazione di essa il termine ordinario di prescrizione di 10 anni ex art. 2946, valendo invece i criteri dettati dall'art. 1326, comma 2, secondo cui l'accettazione deve giungere al proponente nel termine da lui indicato o altrimenti in quello ordinariamente necessario secondo la natura del contratto o secondo gli usi (Cass. n. 3339/1987). Qualora l'accettazione sia comunicata da un nuncius, non è necessaria la materiale trasmissione della stessa al proponente, in quanto, ai sensi dell'art. 1326, comma 1, che deroga all'art. 1335, il contratto si deve ritenere ugualmente concluso quando, pur non essendo stata l'accettazione indirizzata al proponente, questi ne abbia avuto comunque conoscenza (Cass. n. 25923/2014; Cass. n. 3433/2014). Viola l'art. 1326 la decisione del giudice di merito che abbia ritenuto perfezionato l'accordo con la proposizione di un ricorso per decreto ingiuntivo volto ad ottenerne l'adempimento (consistente, nella specie, nel pagamento della somma oggetto di prestazione offerta a scopo transattivo), in mancanza dell'individuazione di un atto di accettazione proveniente dall'oblato che sia giunto al proponente in epoca precedente al deposito del ricorso, nel termine da lui stabilito, ovvero in quello ordinariamente necessario secondo la natura dell'affare o secondo gli usi (Cass. n. 1770/2014). L'accettazione può essere data in qualsiasi forma, anche diversa da quella della proposta (App. Milano 5 dicembre 1967), se la legge non richiede una forma particolare (Cass. n. 2676/1976) o questa non sia richiesta dal proponente. Nei contratti che devono farsi per iscritto a pena di nullità la conclusione tra persone lontane si ha quando alla proposta in forma scritta segua l'accettazione pur essa in forma scritta e questa pervenga a conoscenza del proponente prima dell'eventuale revoca della proposta (Cass. n. 2712/1996; Cass. n. 5370/1989). La previsione secondo cui, quando il proponente richieda una forma determinata per l'accettazione, questa non ha effetto se sia data in forma diversa, è posta nell'esclusivo interesse del proponente, che può pertanto rinunciarvi, accontentandosi di un'adesione manifestata in modo diverso (Cass. n. 10138/2006; Cass. n. 406/2004; Cass. n. 1064/1965). Nei contratti conclusi per telefono luogo della conclusione è quello in cui l'accettazione giunge a conoscenza del proponente ed in cui questi, attraverso il filo telefonico, ha immediata e diretta conoscenza dell'accettazione (Cass. n. 3400/2021; Cass. n. 16417/2009; Cass. S.U., n. 6581/1994; Cass. n. 142/1974; Cass. n. 2253/1973; Cass. n. 267/1970; Cass. n. 864/1965). Per converso un accordo telefonico o uno scambio di lettere non può segnare il perfezionamento del contratto, qualora tra le parti sia intervenuta una successiva corrispondenza, con una nuova proposta e una nuova accettazione, sì da evidenziare il loro intento di assegnare ai precedenti contatti il valore di mere trattative preliminari (Cass. n. 1283/1989). Costituisce valutazione di fatto, riservata al giudice del merito, stabilire se dall'accettazione di una determinata proposta si possa desumere l'avvenuto perfezionamento di un contratto, sicché il relativo accertamento, se sorretto da motivazione immune da vizi logici e da violazioni di legge, si sottrae al controllo di legittimità (Cass. n. 11152/2004; Cass. S.U.,n. 5823/1981). In specie, compete al giudice di merito stabilire se l'accettazione sia o meno tardiva, quando il proponente non abbia fissato un termine per la risposta e la valutazione debba essere compiuta, in base alla reale, obiettiva e concreta situazione di fatto, secondo la natura dell'affare o gli usi, indipendentemente dalle dichiarazioni e dai comportamenti delle parti (Cass. n. 1844/1986; Cass. n. 2592/1956). Gli usi cui allude la norma si identificano non solo con le consuetudini locali ma anche con l'eventuale pratica corrente tra le parti (App. Lecce 29 settembre 1956). Il proponente non può imporre all'oblato di non esprimere la propria eventuale accettazione prima di un certo momento (Cass. n. 6210/1990). L'ipotesi prevista dall'ultimo comma dell'art. 1326, secondo cui un'accettazione non conforme alla proposta equivale a nuova proposta, ricorre anche quando le modifiche richieste in sede di accettazione siano di valore secondario, sicché l'accettazione deve essere integralmente conforme alla proposta affinché possa determinarsi la conclusione del contratto (Cass. n. 2472/1999; Cass. n. 77/1993; Cass. n. 1072/1985; Cass. n. 1717/1964); e ciò a prescindere dall'intenzione del soggetto da cui proviene (Cass. n. 14/1968). La difformità ricorre anche quando sia derivata da un errore di trasmissione unicamente imputabile a colpa dell'ufficio telegrafico trasmittente; le conseguenze dell'errore in parola restano così a carico di chi si è valso di quel mezzo di trasmissione della volontà, salva, secondo l'apprezzamento incensurabile del giudice di merito, la prova della riconoscibilità dell'errore stesso per la parte destinataria (Cass. n. 1277/1951). Si configura come nuova proposta anche la modifica, da parte dell'accettante, del termine per l'esecuzione indicato nella proposta, implicando la realizzazione di un assetto d'interessi sostanzialmente diverso da quello indicato dal proponente, specie in caso di attribuzione, anche implicita, di essenzialità al nuovo termine (Cass. n. 12899/2019;  Cass. n. 3609/1987). Ove l'accettazione contenga delle modifiche, di qualsiasi natura, il contratto può ritenersi perfezionato solo nel momento in cui la parte che ha accettato con modifiche l'originaria proposta abbia, a sua volta, avuto conoscenza dell'accettazione della parte originaria proponente, la quale può avvenire anche tacitamente (Cass. n. 1738/1985).

La natura giuridica di proposta e accettazione

Proposta e accettazione sono qualificate come atti prenegoziali, ossia quali dichiarazioni di volontà ancora in movimento e dirette a produrre un effetto provvisorio che si esaurisce nella predisposizione del negozio (Santoro Passarelli, 209; Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 45). In senso contrario altro autore sostiene che la proposta, in quanto attributiva del potere di accettazione, deve essere considerata quale negozio unilaterale, che produce un suo autonomo effetto preliminare ed avente una distinta disciplina giuridica e un distinto contenuto rispetto al contratto che mira a concludere, volto a regolare il potere di accettazione. In particolare l'atto-proposta individua il suo destinatario e può fissare le modalità di tempo, di luogo e di forma dell'accettazione. A sua volta l'accettazione, quale atto di esercizio di uno specifico diritto potestativo di formare una data fattispecie contrattuale, rileva sotto il profilo dell'osservanza delle modalità fissate dalla legge e dal proponente (Bianca, 266). In base ad altra opinione, proposta e accettazione sono entrambe atti negoziali, sia perché i requisiti propri del contratto alla cui formazione sono ordinate (forma, capacità giuridica, capacità di agire, ecc.) debbono riscontrarsi tanto nell'una che nell'altra e nel momento in cui ciascuna viene emessa, sia perché entrambe producono singolarmente effetti finalizzati alla formazione del contratto, sia perché la stessa indagine che deve compiere l'interprete per accertare se vi sia stata, e quale sia stata, una comune intenzione delle parti si risolve, e non può non risolversi, nell'interpretazione delle dichiarazioni o più in generale dei comportamenti di ciascuna di esse (Carresi, in Tr. C. M., 1987, 754). In forza di altra ricostruzione, tali atti devono essere classificati come atti giuridici in senso stretto (Roppo, 1989, 1). Si tratta inoltre di atti unilaterali recettizi, la cui efficacia è subordinata alla condizione che siano portati a conoscenza del destinatario (Roppo, 1989, 2). La natura recettizia di un atto può dipendere dalla funzione partecipativa che esso riveste ovvero può rispondere ad un'esigenza di tutela del destinatario (Bianca, 220; Roppo, 1989, 2; Giampiccolo, 42). Affinché sia soddisfatto il requisito della ricettizietà non è sufficiente che la dichiarazione sia percepita da altri soggetti, bensì occorre che essa sia portata a conoscenza di soggetti determinati, destinatari della medesima, e ciò con modalità ed attività che si possano reputare idonee, ossia che importino la trasmissione della dichiarazione all'indirizzo del destinatario nonché l'impiego di modalità ed attività tali da dimostrare la volontà del dichiarante di portare la dichiarazione a conoscenza del destinatario per gli effetti propri che, nei suoi confronti, la stessa è destinata a produrre (Sacco, in Tr. Vas., 1975, 163). Con riferimento alla proposta, ove dall'atto non sia possibile rilevare alcun destinatario, si realizza l'ipotesi dell'invito a trattare, salvo che non ricorra un'offerta al pubblico (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 88). Qualora la proposta contrattuale sia emessa invito domino, fuori della sfera di applicabilità dell'art. 1433, in cui è previsto uno specifico incarico di trasmettere, l'attività dichiarativa solo parziale (l'espressione esiste ma non è indirizzata) crea un'apparenza di proposta. In tal caso colui che riceve sarà protetto quando il suo affidamento sia incolpevole e il dichiarante sia in colpa (Sacco, in Tr. Vas., 1975, 68).

Secondo la giurisprudenza, la proposta di concludere un contratto costituisce atto giuridico di natura negoziale, diretta a provocare l'accettazione del destinatario (Cass. n. 15856/2012; Cass. n. 15510/2011; Cass. n. 6788/1990). A sua volta, anche l'accettazione ha valore negoziale, quand'anche manifestata in modo tacito (Cass. n. 6162/2007), in quanto essa costituisce manifestazione di volontà di concludere il contratto, che deve essere diretta e deve pervenire al proponente quale effetto dell'azione dell'accettante (Cass. n. 5072/1986). Più risalente è la tesi secondo cui proposta e accettazione sarebbero atti prenegoziali, vale a dire atti giuridici in senso stretto che precedono il contratto, il quale si perfeziona allorché alla proposta segue l'accettazione, e quando l'una e l'altra si fondono in una unica volontà (Cass. n. 14/1968). Ad ogni modo, alla proposta e all'accettazione, indipendentemente dalla qualifica in termini di atti negoziali, non è applicabile il criterio ermeneutico della comune intenzione e del comportamento complessivo delle parti, anche in ragione dell'argomento che può trarsi dalla previsione dell'art. 1362, che riferisce tali criteri all'esegesi del contratto concluso e non in via di formazione, bensì si applica il criterio dell'interpretazione complessiva dell'atto di cui all'art. 1363 (Cass. n. 41/1990). In ragione della loro natura recettizia verso destinatari determinati, in ipotesi di dichiarazione alla quale sia ricollegabile una pluralità di effetti, in relazione ai vari soggetti cui, a fini diversi, viene comunicata e che, quindi, può essere indirizzata a ciascuno di questi soggetti, per stabilire se si sia o meno in presenza di una dichiarazione indirizzata ad un determinato soggetto, non rileva che a taluno di essi la dichiarazione sia inviata con la formula “per conoscenza”, ma è necessario accertare se, malgrado la formula usata, il mittente abbia inteso porre in essere una dichiarazione di volontà indirizzata a tutti i destinatari per i diversi effetti che essa è destinata a produrre nei confronti di ciascuno (Cass. S.U., n. 5823/1981).

La sopravvenuta inefficacia di proposta e accettazione

Sia la proposta sia l'accettazione possono essere ritirate. A differenza della revoca, disciplinata dall'art. 1328, si realizza l'ipotesi del ritiro quando il proponente o l'accettante, dopo aver spedito la proposta o l'accettazione, o aver dato incarico ad un messo di recapitarle, si attivano per fare in modo che esse non giungano al destinatario ovvero per fare in modo che, se e quando giungano al destinatario, siano precedute da una controdichiarazione che le priva della loro efficacia. Sicché il ritiro si configura come atto dotato di efficacia impeditiva (Carresi, in Tr. C. M., 1987, 758; Sacco, in Tr. Vas., 1975, 85). Gli effetti della proposta sono inoltre caducati quando essa sia rifiutata dall'oblato (Sacco, in Tr. Vas., 1975, 89). Secondo la dottrina, la formulazione di una controproposta, a cura del destinatario della proposta, non integra la fattispecie del rifiuto (Bianca, 231). Il rifiuto libera il proponente dagli effetti vincolanti della proposta formulata, sempre ché il proponente non manifesti la volontà di tenere ferma la proposta anche dopo il rifiuto (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 58; Galgano, 174). Inoltre, proposta e accettazione perdono efficacia ove l'emittente muoia o perda la capacità prima del perfezionamento del contratto (Bianca, 240). Infine, la proposta si estingue quando scada il termine in essa fissato o ordinariamente necessario secondo la natura degli affari o gli usi senza che l'accettazione sia pervenuta al proponente.

Secondo la giurisprudenza, il rifiuto può realizzarsi anche attraverso la formulazione di una controproposta (Cass. n. 6891/1983). Anche la giurisprudenza ritiene che il rifiuto liberi il proponente dal vincolo rappresentato dalla sua originaria proposta, anche in difetto di una sua formale revoca, salvo che non si dimostri la perdurante volontà di tenere ferma detta proposta anche dopo il rifiuto dell'accettazione (Cass. n. 6891/1983; Cass. n. 341/1947). La proposta contrattuale perde efficacia, ipso iure, con la morte o con la sopravvenuta incapacità del proponente, di tal che il destinatario non può concludere il contratto accettando la proposta quando essa è ormai venuta meno, né l'erede del proponente è vincolato da essa (Cass. n. 4093/1979).

Il silenzio

Il contratto si può perfezionare, benché vi sia il silenzio della parte, quando la legge conferisca valore di consenso all'inerzia del soggetto interessato. Inoltre, il silenzio può valere come manifestazione tacita di consenso quando sia accompagnato da circostanze tali da renderlo significativo come sintomo rivelatore dell'intenzione della parte (Galgano, 161; Bianca, 215). Si discorre in queste fattispecie in termini di silenzio circostanziato. In specie, il silenzio può valere come dichiarazione quando, instaurata una certa relazione tra le parti, il comune modo di agire ovvero la clausola di buona fede impongano l'onere o il dovere di parlare, sicché il tacere dell'una possa essere inteso come adesione alla volontà manifestata dall'altra (Bianca, 215; Sacco, in Tr. Vas., 1975, 28). Ancora, le parti possono previamente concordare in modo esplicito di attribuire un determinato valore al silenzio: si pensi al caso in cui, prima dell'invio della proposta, le parti potenzialmente interessate alla conclusione di contratti futuri stabiliscano che, ove una di esse invii una proposta, il silenzio serbato all'esito della comunicazione deve essere considerato come un equipollente dell'accettazione espressa. In mancanza di una certa significazione attribuita al silenzio dalla legge, dal contesto o dall'accordo delle parti, il contegno di silenzio è neutro o non significativo, secondo i brocardi latini qui tacet neque adfirmat neque negat ovvero qui tacet non utique fatetur; sed tamen verum est eum non negare (Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, 585). Qualora il silenzio valga come consenso, soggiace ad ogni effetto al medesimo regime giuridico ed è, quindi, sottoposto alle impugnative contrattuali per vizi del consenso o per incapacità (Galgano, 162).

Anche secondo la giurisprudenza, l'accettazione non può essere desunta dal mero silenzio serbato su una proposta, pur quando questa faccia seguito a precedenti trattative intercorse tra le parti, delle quali mostri di aver tenuto conto, assumendo il silenzio valore negoziale soltanto se, in date circostanze, il comune modo di agire o la buona fede, nei rapporti instauratisi tra le parti, impongano l'onere o il dovere di parlare, ovvero se, in un dato momento storico e sociale, avuto riguardo alla qualità dei contraenti e alle loro relazioni di affari, il tacere di uno possa intendersi come adesione alla volontà dell'altro (Cass. n. 25460/2023Cass. n. 10533/2014; Cass. n. 6162/2007; Cass. n. 3403/2004; Cass. n. 5363/1997; Cass. n. 8083/1987). Pertanto, il silenzio, in sé e per sé, non costituisce mai manifestazione negoziale, potendo acquistare tale significato soltanto in relazione alle circostanze in cui viene osservato o che lo accompagnano; nel qual caso, peraltro, si verte in tema di comportamento tacito concludente o manifestazione negoziale tacita (Cass. n. 3957/1983; Cass. n. 5743/1981; Cass. n. 83/1979). Nel campo negoziale per aversi manifestazione tacita della volontà di una parte occorrono facta concludentia e cioè univoci e non equivoci, incompatibili con una volontà contraria a quella che da essa si argomenta. Tale incompatibilità non deve essere logica ed assoluta, quale può essere data dal principio di contraddizione, essendo sufficiente che sia pratica e relativa, quale risulta dal concetto predominante nella vita pratica degli affari (Cass. n. 5606/1986; Cass. n. 6591/1983).

La conclusione dei contratti plurilaterali

Nei contratti plurilaterali la proposta deve provenire da una delle future parti e deve essere indirizzata a ciascuno dei futuri eventuali accettanti; la proposta può provenire anche congiuntamente da più parti. Ove ricorra un contratto plurilaterale, in cui, per sua natura o per le modalità di stipulazione, sia necessaria la partecipazione di ogni singola parte o, quantomeno, di talune parti, il contratto si conclude soltanto quando sia stata ricevuta l'accettazione di tutte tali parti; ove, viceversa, in ragione della sua natura o delle modalità di conclusione, il contratto possa sussistere anche senza la partecipazione di alcuni dei soggetti previsti, la conclusione può aversi anche quando uno qualsiasi dei destinatari della proposta abbia accettato e l'accettazione della proposta sia pervenuta al proponente, salvo ad esplicare effetti nei confronti degli altri nel momento in cui pervenga l'accettazione anche di questi. Un primo orientamento reputa che il contatto plurilaterale possa reputarsi concluso quando l'accettazione sia pervenuta non solo al proponente ma anche agli altri accettanti (Messineo, in Tr. C. M., 1968, 158); nondimeno, tali ulteriori accettanti possono, esplicitamente o non, rinunziare a riceverne notizia, salvo essere resi edotti della conclusione del contratto nel più breve tempo possibile (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 102). Secondo altra parte della dottrina, affinché il contratto plurilaterale possa ritenersi perfezionato, sarà necessario che l'accettazione giunga a conoscenza di tutte le altre parti ovvero sarà sufficiente che l'accettazione giunga a conoscenza di una sola delle parti, in base alla valutazione circa la sussistenza o meno di un interesse di ciascuno ad avere notizia dell'accettazione di tutti gli altri (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 60). In senso diverso, altro autore osserva che ognuno degli interessati, nel momento in cui riceve la dichiarazione di accettazione, ha diritto di considerarsi quale mandatario del dichiarante, sicché ha facoltà di far proseguire, ossia di girare, tale dichiarazione a tutte le altre parti (Sacco, in Tr. Vas., 1975, 77). Chi abbia accettato, benché il contratto non sia ancora concluso, non può nelle more revocare l'accettazione e, del pari, il proponente, una volta ricevuta anche una sola accettazione, non può revocare la proposta, altrimenti incorrendo in responsabilità precontrattuale (Carresi, in Tr. C. M., 1987, 760).

I contratti fra più parti possono realizzarsi e perfezionarsi attraverso l'adesione, anche se in momenti diversi, delle singole parti, sicché il contratto si perfeziona e diviene efficace con il consenso di tutti i contraenti (Cass. n. 718/1980; Cass. 1046/1943).

Particolari ipotesi di proposta

In tema di prelazione e di riscatto agrario la denuntiatio, cui è tenuto il proprietario venditore del fondo ai sensi dell'art. 8 l. n. 590/1965 e dell'art. 7 l. n. 817/1971, è una proposta contrattuale, che deve necessariamente rivestire la forma scritta ad substantiam, in quanto diretta ad assicurare esigenze di certezza anche nei confronti del terzo acquirente per l'ipotesi di mancato tempestivo esercizio della prelazione (Cass. n. 2187/2014; Cass. n. 13211/2010; Cass. n. 1348/2009). Ai fini del perfezionamento del contratto, è sufficiente l'accettazione della proposta di alienazione contenuta nella denuntiatio, costituendo il pagamento differito del prezzo solo una condicio iuris per il trasferimento di proprietà (Cass. n. 25419/2013). In tema di dismissione del patrimonio immobiliare da parte degli enti pubblici, la denuntiatio praelationis che il locatore effettua, ai sensi dell'art. 3, comma 109, l. n. 662/1996, non integra una proposta contrattuale ma un atto dovuto di interpello e la dichiarazione del conduttore di esercizio del diritto di prelazione non costituisce accettazione della proposta e non comporta l'immediato acquisto dell'immobile ma determina solo l'insorgenza dell'obbligo, a carico di entrambe le parti, di pervenire alla conclusione del contratto, con possibilità di tutela ex art. 2932 (Cass. n. 9972/2008). La forma scritta ad substantiam richiesta per la validità della clausola compromissoria non postula che la corrispondente volontà sia indefettibilmente espressa in un unico documento recante la contestuale sottoscrizione di entrambe le parti, che può anche realizzarsi con lo scambio delle missive contenenti, rispettivamente, la proposta e l'uniforme accettazione del deferimento della controversia ad arbitri (Cass. n. 15993/2014; Cass. n. 2256/2007).

Bibliografia

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