Codice Civile art. 1345 - Motivo illecito.InquadramentoI motivi si identificano con gli interessi e i bisogni particolari che le parti intendono soddisfare mediante il contratto, oltre gli effetti tipici dell'operazione giuridico-economica in concreto posta in essere (Roppo, 1977, 180). Si tratta dunque della rappresentazione di un fatto o di un evento che il soggetto si forma e dalla quale rimane condizionata la propria volontà (Messineo, 1961, 833). La mutevolezza dei motivi e la loro attinenza alla sfera interiore del soggetto li rende solitamente ignoti e non conoscibili dall'altro contraente, anche se per la parte a cui fanno capo possono assurgere a ragione essenziale della conclusione del negozio (Roppo, 1977, 180). In questa dimensione la previsione che limita la rilevanza dei motivi alla sola ipotesi in cui essi siano esclusivi e comuni per un verso si pone a garanzia dei contraenti in genere per tutti i casi in cui difettino i requisiti dell'esclusività e della comunanza (Sacco, in Tr. Vas., 1975, 564) e per altro verso determina un'eccezione alla regola che normalmente esclude che il motivo possa giustificare la nullità del contratto (Ferri, 380; Distaso, in Comm. Utet, 1980, 849). Nondimeno l'irrilevanza del motivo discende non da una pretesa essenza giuridicamente impalpabile del motivo, bensì dal ruolo che le parti decidono di assegnargli (Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, 730). Pertanto il motivo rileva sul piano giuridico nella misura in cui è concretamente in grado di condizionare gli effetti propri del negozio; e così il motivo illecito acquista rilevanza non già per il carattere patologico della sua illiceità, ma per la particolare posizione che assume nell'assetto di interessi contemplato dalle parti (Ferri, 383). Ne discende che l'estensione della valutazione in ordine all'illiceità anche al campo dei motivi si giustifica alla stregua dell'esigenza dell'ordinamento di evitare che i privati facciano un uso riprovevole della sfera di autonomia loro riconosciuta; mentre fa da contraltare a tale estensione la pretesa del legislatore che l'indagine su tale forma di contratto illecito sia condotta entro i determinati limiti segnati dai requisiti del motivo, appunto per evitare ingiustificate invasioni nella sfera delle rappresentazioni soggettive ed individuali (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 348). Il progressivo assorbimento della nozione di motivi rilevanti nell'ambito della causa in concreto spiega agevolmente la ragione per la quale la disposizione in commento appaia dotata di una scarsa rilevanza pratica (Ferri, 381) ovvero perché la rilevanza dei motivi sia confinata entro spazi marginali, che impongono un rigido giudizio valutativo sull'integrazione dei requisiti prescritti affinché il motivo illecito possa indurre la nullità del contratto (Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, 730). Secondo altra ricostruzione la norma troverebbe applicazione solo nei contratti gratuiti informali, nei quali, non potendosi con sicurezza identificare una causa, sarebbe possibile far emergere un motivo illecito, come nelle ipotesi di comodato di locale con destinazione esclusiva o determinante a bisca clandestina o a casa di tolleranza (Sacco-De Nova, in Tr. Res., 1999, 841). I motivi corrispondono alle ragioni psicologiche del processo formativo della volontà di ciascuno dei contraenti e non rilevano ai fini dell'individuazione (o definizione giuridica) del contratto (Cass. n. 1552/1973). Inoltre ai fini dell'indagine sul contenuto del contratto, sono irrilevanti i motivi perseguiti dal singolo contraente, ancorché determinanti della volontà negoziale, ossia i moventi, ove non si siano esteriorizzati in una condizione o in una pattuizione contrattuale (Cass. n. 9840/1999; Cass. n. 3384/1977; Cass. n. 887/1963). Sicché l'intento pratico perseguito da ciascun contraente rappresenta un motivo o impulso interno, di carattere squisitamente subiettivo ed estraneo al congegno negoziale (Cass. n. 957/1970). Altrettanto si comprende perché, una volta acclarata l'oggettiva impossibilità che il negozio prescelto possa realizzare il motivo illecito, detto negozio, venendo a mancare la ragione della comminata nullità, resti indenne da quella (Cass. n. 2861/1955). L'illiceità del motivoIl motivo è illecito quando si traduce in una finalità vietata dall'ordinamento, poiché contraria a norma imperativa ovvero ai parametri dell'ordine pubblico o del buon costume, o quando è connotato da uno scopo diretto ad eludere una norma imperativa, in ragione della stipulazione del contratto (Bianca, 590). Affinché il motivo illecito possa dar luogo ad un contratto illegale, esso deve essere esclusivo ai fini della stipulazione del contratto e comune ad entrambe le parti. Anche la S.C. ritiene che il motivo illecito, il quale, se comune e determinante, determina la nullità del contratto, si identifica con una finalità vietata dall'ordinamento perché contraria a norma imperativa, ai principi dell'ordine pubblico o del buon costume, ovvero poiché diretta ad eludere, mediante detta stipulazione, una norma imperativa (Cass. n. 20576/2010; Cass. S.U.,n. 10603/1993). La valutazione compiuta al riguardo dal giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità, se congruamente e correttamente motivata (Cass. n. 16130/2009). Sicché i motivi non assumono rilevanza quando prevalgano altri fini che in sé non siano confliggenti con tali divieti (Cass. n. 7832/1998). Nel caso di rappresentanza il motivo illecito rilevante è quello imputabile al rappresentato, sicché la norma si applicherà quando il rappresentante agisce, oltre che nel nome, anche nell'interesse del rappresentato (Cass. n. 3179/1958). Il motivo illecito importa la nullità del contratto qualora sia stato il solo a determinare la volontà delle parti e sia comune ad entrambe (Cass. n. 2453/1971; Cass. n. 1549/1969; Cass. n. 2950/1966). I motivi soggettivi rilevano, qualora siano illeciti, anche nell'ambito del rapporto di lavoro presso le P.A. regolato dopo la privatizzazione dalle norme di diritto privato, poiché l'atto del datore di lavoro incidente sulla prestazione lavorativa è un atto paritetico, ancorché espressione del potere di supremazia gerarchica, privo dell'efficacia autoritativa propria del provvedimento amministrativo (Cass. n. 11589/2003). Il patto parasociale che impegna i soci a votare in assemblea contro l'eventuale proposta di intraprendere l'azione di responsabilità sociale nei confronti degli amministratori è contrario agli artt. 2392 e 2393, che sono norme imperative inderogabili, con conseguente nullità del patto, in quanto avente motivi comuni illeciti, perché la clausola mira a far prevalere l'interesse di singoli soci che per regolamentare i propri rapporti si sono accordati a detrimento dell'interesse generale della società al promovimento della detta azione, dal cui esito positivo avrebbe potuto ricavare benefici economici (Cass. n. 10215/2010). Il contratto con cui una parte attribuisca al proprietario di un fondo vicino — dichiarato inedificabile dal piano regolatore — il diritto di costruire, promettendo di risarcire i danni in caso di eventuale proposizione di un'azione civile o amministrativa, e con cui il vicino, in corrispettivo, costituisca una servitus altius non tollendi, è nullo per illiceità dei motivi, comuni ad entrambe le parti e consistenti nell'intenzione di eludere le norme imperative, ossia il divieto di edificare, del piano regolatore (Cass. n. 3606/1978). Non può ritenersi concluso per motivo illecito il contratto di cessione dell'azienda a soggetto che, per le sue caratteristiche imprenditoriali ed in base alle circostanze del caso concreto, renda probabile la cessazione dell'attività produttiva e dei rapporti di lavoro, non potendo ritenersi tale il motivo, perseguito con un negozio traslativo, di addossare ad altri la titolarità di obblighi ed oneri conseguenti (Cass. n. 6969/2013; Cass. n. 10108/2006). L'esclusività del motivoIl motivo illecito è esclusivo quando sia stato il solo a determinare la conclusione del contratto. Il fatto che il motivo sia decisivo per la stipulazione del contratto non ne implica comunque la sua identificazione con la causa, quale funzione economico-individuale del negozio in concreto. Secondo una tesi nei contratti di scambio il motivo esclusivo non potrebbe mai dirsi integrato, dal momento che ogni contraente si induce a contrarre non tanto e non solo per un motivo esterno, quanto piuttosto per l'ottenimento della controprestazione (Sacco-De Nova, in Tr. Res., 1999, 844). Ma in senso contrario si afferma che l'esclusività del motivo va intesa come mera prevalenza del motivo illecito sulle altre ragioni che in concreto possono avere assunto una rilevanza causale nella determinazione a contrarre. Anche in giurisprudenza si rileva che il motivo è esclusivo qualora sia determinante del consenso delle parti (Cass. n. 12830/1992; Cass. n. 8337/1987). Secondo altro arresto il motivo può assumere una rilevanza essenziale, quando si inserisca nella struttura negoziale in funzione di specifica, anche se non esplicita, condizione del rapporto (Cass. n. 2493/1974). La comunanza del motivoIl motivo illecito deve essere inoltre comune ad entrambe le parti, ossia entrambe le parti devono essere indotte alla stipulazione del contratto per il medesimo motivo. Si ha motivo comune quando rappresentazioni del medesimo contenuto determinano in modo identico i contraenti (Ferrando, I motivi, in Enc. giur., XX, Roma, 1990, 38). Ma secondo altra dottrina la comunanza del motivo non può essere intesa come piena consapevolezza e condivisione, in capo ad entrambi i contraenti, dell'illiceità dell'operazione posta in essere, quanto piuttosto come volontà comune di procedere allo sfruttamento, sia pure per finalità diverse, di un interesse messo al bando dal diritto; l'oggettiva speculazione su quell'interesse proibito, che è alla base della stipulazione del contratto, giustificherebbe l'illiceità dello stesso (Roppo, 1977, 181; Breccia, 297). Non basta pertanto che uno dei soggetti sia animato subiettivamente da un motivo illecito, né che questo sia semplicemente noto alla controparte (Roppo, 1977, 181). La mera conoscenza del motivo può determinare la nullità del contratto, fuori dall'ambito dell'art. 1345, unicamente quando il motivo stesso si sia concretato nella consumazione di un reato, rispetto al quale la prestazione del consenso alla conclusione del contratto costituisca una partecipazione al reato stesso. Non basta neanche la natura bilaterale del motivo illecito, quando non sia convergente verso un risultato unico (Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, 730). Infatti il motivo comune postula che esso operi su ciascuno dei contraenti, nel senso di determinarli identicamente al perseguimento della medesima finalità illecita (Messineo, 1961, 833). Qualora il contratto sia stipulato da una delle parti per più motivi, basta che anche uno solo di essi non sia comune con il motivo illecito della controparte affinché il contratto non sia nullo (Carresi, in Tr. C. M., 1987, 348). Il soggettivo scopo illecito di una parte, quando non sia comune all'altra parte, rimane irrilevante (Cass. n. 9111/2005). Affinché il motivo sia comune è necessario che i due contraenti si siano ispirati al perseguimento della stessa finalità illecita (Cass. n. 4921/1980). Anche gli arresti giurisprudenziali escludono che assuma rilevanza il mero motivo che anima una delle parti, che sia semplicemente noto alla controparte, ma non comune (Cass. n. 2544/1984; Cass. n. 46/1963). Affinché il motivo sia comune è necessario che abbia determinato nello stesso modo la volontà delle parti (Cass. n. 4521/1980; Cass. n. 1693/1951). Pertanto, quando una parte abbia concluso il contratto per più motivi, di cui anche uno solo non sia comune con quello illecito della controparte, il contratto non è nullo (Cass. n. 1627/1960). Il motivo illecito negli atti unilateraliLa limitata rilevanza del motivo illecito nel contratto lascia intendere che per gli atti unilaterali opera l'opposto principio della sindacabilità del motivo immorale a cura del destinatario dell'atto unilaterale e conseguentemente del giudice (Rescigno, 269). Il requisito della comunanza del motivo non viene necessariamente meno negli atti unilaterali, traducendosi piuttosto nella rilevanza giuridica dell'affidamento riposto nell'atto dal suo destinatario, indipendentemente dalla natura recettizia dell'atto stesso. Sicché il motivo illecito in questi casi potrà dare luogo alla nullità dell'atto unilaterale in quanto si faccia previamente riferimento alla comprensione e ponderazione di tali motivi a cura del destinatario dell'atto. Ove non ricorra tale situazione di affidamento, sarà possibile attribuire rilevanza al motivo illecito determinante ed esclusivo dell'autore dell'atto, purché esso risulti dal contenuto dell'atto stesso, similmente a quanto espressamente previsto per il testamento e la donazione dagli artt. 626 e 788 (Breccia, 298). In giurisprudenza si è osservato che la norma dettata dall'art. 1345, la quale, derogando al principio secondo il quale i motivi dell'atto di autonomia privata sono di regola irrilevanti, eccezionalmente qualifica illecito il contratto determinato da un motivo illecito comune alle parti, in virtù del disposto di cui all'art. 1324, trova applicazione anche rispetto agli atti unilaterali, laddove essi siano finalizzati esclusivamente al perseguimento di scopi riprovevoli ed antisociali, rinvenendosi l'illiceità del motivo, al pari della illiceità della causa, a mente dell'art. 1343, nella contrarietà dello stesso a norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume (Cass. n 20197/2005; Cass. n. 11191/2002; Cass. n. 755/1982). Con riferimento al contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato il recesso senza preavviso di ciascun contraente forma oggetto di un diritto potestativo, il cui legittimo esercizio è esclusivamente condizionato all'esistenza di una giusta causa, senza che rilevino i motivi alla base della decisione di recedere dal contratto, non sindacabili dal giudice ai fini della decisione sull'indennità sostitutiva del preavviso, salvo che gli stessi non siano illeciti od esprimano lo sviamento della causa contrattuale allo scopo di eludere l'applicazione di una norma imperativa, e sempreché non sia configurabile una simulazione dell'atto (Cass. n. 9116/2015). Non può considerarsi ritorsivo un licenziamento palesemente (anche se erroneamente) basato sull'inosservanza di direttive aziendali, qualora manchi la prova, il cui onere incombe sul lavoratore, della sussistenza di un motivo illecito determinante (Cass. n. 3986/2015). Viceversa il licenziamento per ritorsione, diretta o indiretta — assimilabile a quello discriminatorio — costituisce l'ingiusta e arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore colpito o di altra persona ad esso legata e pertanto accomunata nella reazione, con conseguente nullità del licenziamento, quando il motivo ritorsivo sia stato l'unico determinante e sempre che il lavoratore ne abbia fornito prova, anche con presunzioni (Cass. n. 6575/2016; Cass. n. 17087/2011; Cass. n. 14816/2005). BibliografiaAllara, La teoria generale del contratto, Torino, 1955; Benedetti, Dal contratto al negozio unilaterale, Milano, 1969; Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 1997; Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, Diritto civile, 1.2, Fatti e atti giuridici, Torino, 1990; Carraro, Negozio in frode alla legge, in Nss. D.I., Torino, 1968; Cataudella, I contratti. Parte generale, Torino, 2014; Costanza, Il contratto atipico, Milano, 1981; Di Majo, voce Causa del negozio giuridico, in Enc. giur., Roma, 1988; Donisi, voce Atti unilaterali, in Enc. giur., Roma, 1988; Ferri, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1968; Galgano, Diritto civile e commerciale, II, 1, Padova, 1993; Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 1990; Giorgianni, voce Causa (diritto privato), in Enc. dir., Milano, 1960; Messineo, voce Contratto (diritto privato), in Enc. dir., Milano, 1961; Osti, voce Contratto, in Nss. D.I., Torino, 1959; Rescigno, Manuale del diritto privato italiano, Napoli, 1990; Roppo, Il contratto, Bologna, 1977; Roppo, voce Contratto, in Dig. civ.,Torino, 1989; Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, rist. 1985; Trabucchi, voce Buon costume, in Enc. dir., Milano, 1959. |