Codice Civile art. 1346 - Requisiti.Requisiti. [I]. L'oggetto del contratto deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile [1418 2]. InquadramentoLa nozione di oggetto del contratto non è pacifica in dottrina (per una riflessione critica sui plurimi orientamenti che si sono registrati sul punto Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 351). In base ad una prima ricostruzione l'oggetto del contratto si identifica con la sua prestazione (Galgano, 199; Osti, 503). Al riguardo si evidenzia che la nozione di prestazione, propria dei rapporti obbligatori, può tuttavia comprendere non solo ciò che il soggetto si obbliga a fare o dare, ma anche ogni modificazione della situazione materiale che derivi dall'impegno assunto dalle parti nello stringere il vincolo contrattuale; quindi l'oggetto del negozio sarebbe più in generale rappresentato dai comportamenti cui le parti si impegnano, considerati singolarmente e non nel loro collegamento teleologico (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 175). Avverso l'opinione che riconduce l'oggetto del contratto alla prestazione si è obiettato che, affinché possa essere riportato all'oggetto anche l'effetto traslativo del diritto, occorrerebbe necessariamente aderire ad una concezione oltremodo generica di prestazione, identificandola con il risultato dedotto nel rapporto obbligatorio; il che renderebbe difficile la distinzione tra la prestazione e il contenuto del contratto (Irti, Oggetto del negozio giuridico, in Nss. D.I., XI, Torino, 1963, 803). Secondo altra impostazione l'oggetto del contratto consiste nell'oggetto della volontà delle parti, ossia nel contenuto dell'autoregolamento adottato dalle parti (Sacco, in Tr. Vas., 1975, 476; Bianca, 320; Carresi, in Tr. C. M., 1987, 372). In questa prospettiva l'oggetto costituirebbe espressione dell'aspetto obiettivo dell'intero contratto e si porrebbe in una posizione intermedia e strumentale, realizzando la trasformazione della situazione giuridica iniziale in quella finale (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 352); esso inoltre sarebbe elemento estrinseco al contratto, identificandosi con il punto di riferimento esterno al rapporto contrattuale (Santoro Passarelli, 129). Un'ulteriore opinione ritiene che l'oggetto del contratto corrisponda al bene (o alla cosa) che mediante il contratto diventa materia di trasferimento o di godimento (Messineo, 1961, 836; Allara, 63; Ferri, 385). Sicché l'oggetto si distinguerebbe dalla prestazione, e si contrapporrebbe ad essa; infatti la prestazione è riferita al contenuto del rapporto obbligatorio e consiste nel comportamento al quale il debitore è tenuto. Inoltre l'oggetto identificato con il bene (o la cosa) si differenzia altresì dal contenuto del contratto, rappresentato dall'insieme delle clausole e disposizioni che formano l'autoregolamento negoziale (Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, 689). Una lettura affine a tale ultima ricostruzione, volta a confutare la tesi secondo cui la teoria che identifica l'oggetto con il bene non avrebbe spiegazione nei contratti che abbiano come unici punti di riferimento diritti e rapporti, ma non beni, rileva che l'oggetto immediato è rappresentato dal trasferimento del diritto mentre l'oggetto mediato è rappresentato dal bene (Romano, Vendita. Contratto estimatorio, in Tr. G. S.-P., V, 1, Milano, 1960, 61). Prendendo atto della molteplicità di significati attribuiti all'oggetto, una corrente di pensiero più recente ha osservato che non sussiste una nozione unitaria di oggetto del contratto, ma ricorrono più nozioni di oggetto, che possono coesistere qualora siano modellate proprio sugli effetti principali che il contratto è destinato a produrre; sicché per oggetto del contratto deve intendersi la prestazione (o il diritto alla prestazione) nel caso di contratti a contenuto obbligatorio e la cosa (o il diritto sulla cosa) nel caso di contratti a contenuto dispositivo (Gitti, L'oggetto del contratto e le fonti di determinazione dell'oggetto dei contratti di impresa, in Riv. dir. civ., 2005, I, 12). La previsione sui requisiti dell'oggetto del contratto, il quale deve essere possibile, lecito e determinato o determinabile, a pena di nullità del contratto stesso, confermerebbe l'adesione a plurimi concetti di oggetto: infatti la possibilità e la liceità si riferirebbero all'oggetto inteso come prestazione mentre la determinatezza o determinabilità riguarderebbero l'oggetto inteso come contenuto o come espressione della sua rappresentazione contrattuale (Carresi, in Tr. C. M., 1987, 212; Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 134; Cataudella, 51). Anche la giurisprudenza è oscillante in ordine all'individuazione del significato di oggetto del contratto. Secondo un primo indirizzo l'oggetto immediato del contratto si identifica con la prestazione, da valutare con riguardo al singolo atto di autonomia posto in essere dai privati (Cass. n. 19509/2012; Cass. n. 7273/2006; Cass. n. 12860/1992); l'oggetto del contratto si riferisce alla prestazione, ovvero al contenuto del negozio, e non al bene in sé (Cass. n. 19190/2003). Altro orientamento sostiene che l'oggetto del contratto è costituito dai beni che vengono scambiati e non dall'utilità che le parti conseguono con lo scambio; tale utilità, considerata in rapporto alla funzione economico-sociale che il negozio è oggettivamente idoneo ad assolvere, costituisce la causa del contratto mentre, in rapporto alle finalità particolari e contingenti che la parte si ripromette di conseguire, configura il motivo del contratto stesso (Cass. n. 6771/1991); sicché formano oggetto del contratto la cosa o il comportamento in sé (Cass. n. 4013/1998; Cass. n. 10779/1994; Cass. n. 1910/1978). Ad un concetto di oggetto risultante dall'intervenuta convergenza delle volontà delle parti, che sia logicamente ricostruibile anche aliunde o per relationem, fanno riferimento altri arresti (Cass. n. 2473/2013; Cass. n. 8810/2003); in questa prospettiva l'oggetto del contratto si concretizza nel contenuto del negozio, che può essere determinato mediante il riferimento o il rinvio ad elementi estrinseci (fattuali o negoziali) che assumono la funzione ed il significato di elementi integrativi ex post del medesimo contenuto, secondo la volontà stessa degli autori del negozio (Cass. n. 3593/1983); ed ancora l'oggetto del contratto deve poter attuarsi e corrispondere a quel preciso interesse che la volontà delle parti ha inteso regolare (Cass. n. 5931/1978). La possibilitàIn dottrina l'impossibilità dell'oggetto viene distinta in fisica o materiale e in giuridica: nel primo caso la prestazione ha ad oggetto cose non esistenti in natura o attività praticamente irrealizzabili; nel secondo la prestazione ha ad oggetto beni o attività che non possono essere dedotti in un rapporto giuridico, facendosi riferimento in proposito al concetto di incommerciabilità (Galgano, 201; Osti, 504; Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 355). L'impossibilità giuridica consegue ai limiti posti dall'ordinamento all'autonomia privata, senza che al loro superamento sia connesso un connotato di riprovevolezza, come invece accade qualora siano violati divieti in senso tecnico, derivanti da norme giuridiche o dai principi del buon costume, ipotesi queste ultime che danno luogo ad illiceità dell'oggetto (Bianca, 323). In ragione di altra elaborazione occorrerebbe avere riguardo al rapporto esistente tra la prestazione e la norma giuridica che ostacola la sua realizzazione: ove il diritto non offra gli strumenti per la sua realizzazione, si verserebbe in ipotesi di impossibilità giuridica; si tratterebbe invece di illiceità quando la legge, con norma imperativa o proibitiva, vieta la prestazione dedotta nel contratto (Galgano, 119; Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 355). Altro autore riconduce tout court l'impossibilità giuridica all'illiceità dell'oggetto (Carresi, in Tr. C. M., 1987, 243). Inoltre l'impossibilità dell'oggetto è distinta in assoluta o definitiva, quando sia radicalmente preclusa all'attualità e per il futuro la possibilità che l'oggetto possa venire ad esistenza o possa essere commerciabile, e in relativa o temporanea, quando detta impossibilità sia solo transeunte; solo la prima ipotesi di impossibilità determina l'invalidità del contratto, poiché ciò che conta, ai fini della validità del negozio, è che l'oggetto sia possibile al momento in cui il negozio stesso diventa efficace, con la conseguenza che, ove in virtù di un'impossibilità temporaneamente cristallizzata al momento della conclusione del contratto l'oggetto sia possibile al momento in cui il negozio acquista effetti, il contratto sarà valido (Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, 691). Nondimeno l'impossibilità relativa sarebbe equiparabile a quella assoluta se la prestazione è infungibile (Sacco, in Tr. Vas., 1975, 504). L'impossibilità deve essere inoltre originaria, poiché l'impossibilità sopravvenuta incide sul rapporto e non sul contratto. Ancora deve avere rilevanza oggettiva, poiché si distingue nettamente dalla mera inettitudine iniziale del debitore alla prestazione, che non può in alcun caso determinare l'invalidità del contratto, bensì deve essere valutata sul piano dell'inadempimento (Bianca, 319; Carresi, in Tr. C. M., 1987, 238). La discriminazione tra impossibilità oggettiva e soggettiva dell'oggetto, ossia tra l'impossibilità rilevante per qualsiasi consociato e l'impossibilità che riguarda esclusivamente determinate parti, non è condivisa da altro filone della dottrina, secondo cui ciò che assume rilevanza ai fini del giudizio sulla possibilità dell'oggetto è l'astratta realizzabilità di quanto le parti hanno fissato nella regola contrattuale (Sacco-De Nova, in Tr. Res., 1999, 51; Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 354), sicché ben può essere impossibile anche un oggetto che non risulti concretamente realizzabile solo in ragione del tipo contrattuale prescelto dalle parti, perché il medesimo bene potrebbe essere o non dedotto quale oggetto dell'operazione economica a seconda del tipo contrattuale che la governa (Galgano, 118; Costanza, 196). Più problematica appare la nozione di impossibilità laddove occorre stabilire se si tratti di oggetto non suscettibile di commercio ovvero di oggetto privo di qualità essenziali o affetto da vizi; e ciò per le differenti conseguenze che discendono dall'atto di valutazione: nella prima ipotesi il negozio dovrà essere dichiarato nullo; nella seconda il rimedio esperibile è quello della risoluzione per inadempimento (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 178). In base alla giurisprudenza la nullità del contratto per l'impossibilità dell'oggetto postula che la prestazione sia obiettivamente insuscettibile di essere effettuata per la sussistenza di impedimenti originari di carattere materiale o giuridico che ostacolino in modo assoluto il risultato cui essa è diretta e non può farsi discendere da fattori esterni che non hanno efficacia giuridica ostativa all'esecuzione della prestazione dedotta nel contratto (Cass. n. 37804/2022; Cass. n. 18002/2011; Cass. n. 6927/2001; Cass. n. 6362/1987; Cass. n. 6407/1984); nel primo caso (impossibilità materiale o fisica) la prestazione non può essere attuata, perché riferita ad attività materialmente inattuabili, mentre nel secondo (impossibilità giuridica) la prestazione non può avere esecuzione perché riguardante beni o comportamenti rispetto ai quali la legge non consente la costituzione di rapporti giuridici (Cass. n. 28430/2011; Cass. n. 6066/1978). Inoltre detta impossibilità deve avere carattere obiettivo e non meramente soggettivo (Cass. n. 369/1971; Cass. n. 1712/1968). È irrilevante ai fini della validità del contratto la mera eventualità di un'impossibilità sopravvenuta (Cass. n. 1706/1973). Così il contratto atipico col quale le parti si obblighino al trasferimento del mero possesso, disgiunto dal diritto, è nullo per impossibilità giuridica dell'oggetto, in quanto l'animus possidendi, per la sua soggettività, può riferirsi solo al possessore attuale e non al possessore precedente (Cass. n. 13222/2014). Ricorre altresì l'impossibilità giuridica dell'oggetto in ordine alla stipulazione di contratto di locazione (o di affitto di azienda) relativo a beni che per essere situati in una particolare zona possono avere solo una certa destinazione e non altra (Cass. n. 18886/2008; Cass. n. 12142/2002). Ancora è affetto da nullità ipso iure per impossibilità giuridica dell'oggetto l'atto di cessione di aree destinate a parcheggio, concluso in violazione dell'art. 9, comma 5, l. n. 122/1989, trattandosi di parcheggi soggetti a vincolo di destinazione ed a vincolo di inscindibilità dall'unità principale, cioè a utilizzazione vincolata e al tempo stesso, a circolazione controllata (Cass. n. 2248/2012). La nullità del contratto o della singola clausola contrattuale per impossibilità della cosa o del comportamento che ne forma oggetto richiede che tale impossibilità, oltre che oggettiva e presente fin dal momento della stipulazione, sia anche assoluta e definitiva, rimanendo invece ininfluenti a tal fine le difficoltà più o meno gravi, di carattere materiale o giuridico, che ostacolino in maniera non irrimediabile il risultato a cui la prestazione è diretta (Cass. n. 4013/1998). La liceitàL'oggetto è illecito quando sia in contrasto con norme imperative, l'ordine pubblico o il buon costume. Il requisito della liceità o illiceità non deve essere ascritto al bene in sé e per sé, bensì alla prestazione, ossia all'attività dei soggetti e quindi al contenuto degli atti di autonomia che i privati pongono in essere (Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, 693; Messineo, 1961, 837). Al requisito dell'illiceità non si applica il principio eccezionale stabilito dall'art. 1347 per il solo requisito della possibilità, sicché ove sopravvenga l'abrogazione della norma, a fronte del cui precetto l'oggetto era illecito al tempo della stipulazione del contratto, quest'ultimo resta invalido (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 177); ne discende che la liceità dovrà ricorrere già al momento della formazione del contratto (Santoro Passarelli, 133). Secondo una tesi l'accertamento dell'illiceità dell'oggetto renderebbe superflua la ricerca intorno alla liceità o meno della causa, poiché basterebbe la prima ad invalidare l'intero negozio; anzi l'oggetto non impedirebbe al negozio di avere causa illecita (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 177). La nullità del contratto deriva da una situazione obiettiva di inconciliabilità tra l'attuazione della volontà contrattuale, inerente ad un oggetto che manchi del requisito della liceità, e l'interesse pubblico, alla cui esclusiva tutela è predisposta la sanzione di nullità (Cass. n. 3690/1977). L'oggetto del contratto è illecito allorché concerne cose o fatti di rilevanza patrimoniale che per la loro stessa tipologia, così come contemplata dalle parti, siano insuscettibili di commercio per contrarietà a norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume (Cass. n. 21829/2013). Qualora la norma non preveda espressamente l'incommerciabilità dell'oggetto del contratto non può ritenersi la nullità della compravendita sotto il profilo dell'illiceità dell'oggetto, in quanto oggetto della compravendita è il trasferimento della proprietà della cosa la quale in sé non è suscettibile di valutazione in termini di liceità (Cass. n. 409/2000; Cass. n. 2090/1968; Cass. n. 179/1962). Pertanto la cessione di un'opera d'arte, conclusa nell'erroneo convincimento comune ai contraenti della sua genuinità, non configura un contratto nullo per illiceità dell'oggetto, ma una vendita di aliud pro alio (Cass. n. 19509/2012; Cass. n. 8199/1990). Al contempo il carattere abusivo dell'immobile locato ovvero la mancanza di certificazione di abitabilità non importa nullità del contratto locatizio, non incidendo detti vizi sulla liceità dell'oggetto del contratto (Cass. n. 22312/2007). Il contratto di appalto per la costruzione di un'opera che comporti l'abusiva occupazione di spazio demaniale è nullo, avendo un oggetto illecito per violazione di norme imperative del cod. nav. (Cass. n. 21475/2013), e così l'appalto per la costruzione di un'opera senza la concessione edilizia (Cass. n. 7961/2016). Non basta la pura e semplice abrogazione della norma, la contrarietà alla quale rendeva illecito il patto, ad eliminare l'invalidità (Cass. n. 319/1959). La consapevolezza dell'illiceità e la relativa previsione negoziale non sono condizioni determinanti affinché si abbia invalidità (Cass. n. 3690/1977; contra Cass. n. 4395/1976). La determinatezza o determinabilitàL'oggetto è determinato quando il contratto contenga una descrizione di esso sufficiente ad individuarlo (Cataudella, 111). Si tratta di concetto inevitabilmente destinato a confondersi con quello più ampio di autonomia contrattuale, e ciò perché solo un'attenta opera di interpretazione del complessivo regolamento negoziale e della comune volontà delle parti potrà permettere una completa determinazione dell'oggetto del contratto (Sacco-De Nova, in Tr. Res., 1999, 119; Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 358). Un'indicazione anche approssimativa degli elementi essenziali dell'oggetto può talvolta bastare, e ciò a voler significare una certa tolleranza a favore del debitore, tanto più che per determinati contratti dispongono in tal senso gli usi locali (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 359). L'oggetto è invece determinabile ove le parti abbiano indicato gli strumenti per giungere ad individuarlo (Cataudella, 111). In tal caso il completamento del contratto ha natura successiva, alla stregua dell'espressa attribuzione (ad un dato esterno al contratto, alle parti stesse o ad un terzo) del compito di procedere alla determinazione del contenuto del contratto sulla scorta di regole determinative previste dal contratto stesso, anche denominate disposizioni contrattuali indirette, regole che dunque devono essere a monte complete (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 360). L'attività delle parti o del terzo, volta a conferire determinatezza al contratto in ragione delle regole in esso stabilite, non può essere qualificata come mera attività esecutiva o attuativa del negozio, ma si colloca in una posizione a sé stante quale attività propriamente di completamento (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 181). Sotto l'aspetto meramente descrittivo l'integrazione si realizza qualora si riscontri un'espansione degli effetti del contratto in forza di mezzi di produzione esterni e concorrenti rispetto alla volontà delle parti; diversamente la determinazione senza ricorso a tali mezzi è opera esclusiva dell'accordo (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 361). Sul punto un filone della dottrina distingue una determinabilità in senso lato da una determinabilità in senso stretto: nel primo caso il contratto contiene il criterio per il calcolo della quantità o per la specificazione della qualità in relazione a precisi dati obiettivi, di modo che l'individuazione dell'oggetto si risolve in un mero calcolo o in una valutazione puramente tecnica, ossia non già in un'operazione di integrazione ma di semplice esecuzione del contratto ad opera della parte che è tenuta ad adempiervi, comportando che ogni questione che si ponga sulla corretta attuazione di tali dati assurge al rango di questione interpretativa e non di validità del contratto; nel secondo caso il contratto prevede solo un'attività ulteriore delle parti o di un terzo, affinché si possa giungere all'individuazione dell'oggetto, attività questa di integrazione vera e propria del contratto (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 178; Carresi, in Tr. C. M., 1987, 232). Tale distinzione è criticata da altri autori, secondo cui comunque non potrà verificarsi alcuno degli effetti contrattuali finché non intervenga la determinazione-individuazione dell'oggetto (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 359). L'attività diretta alla determinazione dell'oggetto può essere demandata ad una o ad entrambe le parti ovvero ad un terzo e può essere il risultato di un fatto naturale, di un fatto umano, di una dichiarazione delle parti o di terzi (Sacco-De Nova, in Tr. Res., 1999, 126) o di un successivo accordo tra le parti stesse, avente natura accessoria rispetto a quello principale (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 183; Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 362). Sul piano della collocazione sistematica i contratti con oggetto determinabile ricadrebbero tra i negozi per relationem in senso sostanziale, ossia con contenuto determinabile a mezzo di una relazione, diversamente dai negozi per relationem in senso formale, con contenuto determinato, ma espresso attraverso una relazione (Sacco, in Tr. Vas., 1975, 558; Carresi, in Tr. C. M., 1987, 245). Il riferimento a fatti presenti o passati può essere compiuto indipendentemente dalla circostanza che le parti ne abbiano diretta cognizione (Bianca, 327). Gli atti attraverso i quali i contraenti ovvero uno di loro procedono alla determinazione costituiscono atti dovuti e, ove si ritenga che atto di determinazione dell'oggetto negoziale del contratto e atto dovuto possano coesistere, tali atti sono qualificati anche come negoziali (così Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 360); in senso contrario, sono qualificati come accordi non negoziali di natura determinativa, strutturalmente dipendenti dal contratto principale. Infine la determinazione dell'oggetto si differenzia dall'individuazione del bene, pur ricorrendo tra i due aspetti uno stretto nesso di consequenzialità logica e giuridica, poiché frequentemente l'individuazione rappresenta la fase finale del procedimento di determinazione dell'oggetto (Gabrielli, Il rapporto giuridico preparatorio, Milano, 1974, 127). Sotto il profilo strutturale la determinazione concerne esclusivamente il perfezionamento del contratto e dunque prelude alla nascita della fonte del rapporto mentre l'individuazione riguarda l'identificazione dell'oggetto del rapporto obbligatorio già sorto in virtù del contratto; sotto il profilo degli effetti che ne derivano alla mancata determinazione dell'oggetto consegue la nullità del contratto, alla mancata individuazione consegue solo l'inefficacia (in senso reale) dello stesso ai sensi dell'art. 1378 (Gabrielli, cit., 127). Il requisito della determinatezza o della determinabilità dell'oggetto esprime la fondamentale esigenza di concretezza dell'atto contrattuale, avendo le parti la necessità di sapere l'impegno assunto ovvero i criteri per la sua concreta determinazione, il che può essere pregiudicato dalla possibilità che la misura della prestazione sia discrezionalmente determinata, sia pure in presenza di precise condizioni legittimanti, da una soltanto delle parti (Cass. n. 24790/2017; Cass. n. 5513/2008). La determinabilità dell'oggetto del contratto in tanto sussiste in quanto l'oggetto medesimo possa essere in concreto determinato con riferimento ad elementi prestabiliti dalle parti ed aventi una preordinata rilevanza obiettiva, mentre non è sufficiente il riferimento ad elementi concernenti la fase di esecuzione del contratto, come il comportamento successivo delle parti (Cass. n. 6519/2007). In ogni caso la disposizione non va intesa in modo rigoroso, dovendosi ritenere sufficientemente identificato tale oggetto quando sia indicato nei suoi elementi essenziali (Cass. n. 3363/1981). Così il requisito della determinatezza o determinabilità dell'oggetto del contratto, in caso di compravendita di bene immobile, non postula l'indicazione dei tre confini, richiesta dall'art. 29 l. n. 52/1985 al solo fine della trascrizione dell'atto, ma soltanto la sicura individuabilità del bene, per la quale può essere sufficiente nel contratto l'indicazione dei suoi dati catastali e il riferimento alle mappe censuarie (Cass. n. 6166/2006; Cass. n. 6481/1998; Cass. n. 4461/1997; ma per la tesi secondo cui la sicura identificazione del bene evincibile da altri dati non postula la specificazione dei dati catastali Cass. n. 16078/2020 ; Cass. n. 11237/2016 ). Sempre in tema di compravendita nell'atto devono essere indicati gli elementi necessari per l'identificazione del bene venduto, i quali devono essere certi ed oggettivi, cioè idonei per l'individuazione dell'oggetto. Detta ipotesi pertanto non ricorre nella vendita di un bene — costituito da un lotto di terreno da staccarsi da uno più grande — di cui non siano specificati i confini e venga indicata solo per approssimazione anche l'estensione, essendo tali elementi privi di certezza in ordine all'oggettiva consistenza del bene (Cass. n. 9235/2000; Cass. n. 1165/2000; Cass. n. 6570/1991; Cass. n. 3562/1989).Sicché, laddove un terreno debba essere distaccato da una maggiore estensione e sia indicato soltanto quantitativamente, nella misura della sua superficie (genus limitatum), sussiste il requisito della determinabilità dell'oggetto, quando sia accertato che le parti avevano considerato la maggior estensione di proprietà del venditore come genus, essendo stata la stessa perfettamente individuata nel contratto, nonché stabilita la misura della estensione da distaccare e sempre che per la determinazione del terreno non debba richiedersi una nuova manifestazione di volontà delle parti, null'altro occorrendo, ai fini della sussistenza del suddetto requisito, se non l'adempimento del venditore che deve prestare la cosa determinata solo nel genere ex art. 1178 (Cass. n. 14585/2021; Cass. n. 7279/2006). Sicché, laddove un terreno debba essere distaccato da una maggiore estensione e sia indicato soltanto quantitativamente, nella misura della sua superficie (genus limitatum), sussiste il requisito della determinabilità dell'oggetto, quando sia accertato che le parti avevano considerato la maggior estensione di proprietà del venditore come genus, essendo stata la stessa perfettamente individuata nel contratto, nonché stabilita la misura della estensione da distaccare e sempre che per la determinazione del terreno non debba richiedersi una nuova manifestazione di volontà delle parti, null'altro occorrendo, ai fini della sussistenza del suddetto requisito, se non l'adempimento del venditore che deve prestare la cosa determinata solo nel genere ex art. 1178 (Cass. n. 14585/2021; Cass. n. 7279/2006). Ed ancora nel caso in cui il venditore in sede di stipulazione del negozio dichiari che il prezzo è stato pagato, non si configura nullità per mancanza del requisito essenziale del prezzo, perché l'esigenza della determinatezza o determinabilità del prezzo è soddisfatta da tale dichiarazione, essendo in essa necessariamente implicito che l'oggetto dell'obbligazione assunta dal compratore è stato determinato per accordi intercorsi tra le parti, non potendosi concepire il pagamento di un prezzo che non sia stato in concreto esattamente definito (Cass. n. 4854/2012; Cass. n. 7848/1996; Cass. n. 1836/1993). L'estensione della garanzia fideiussoria a tutte le obbligazioni presenti e future assunte dal debitore nei confronti di una banca non è incompatibile con quanto previsto dall'art. 1346 essendo nell'indicata ipotesi, l'oggetto della fideiussione determinabile per relationem, sulla base di operazioni il cui compimento è sottratto al mero arbitrio della banca e comunque nei limiti del tetto massimo garantito che deve essere predeterminato nella fideiussione (Cass. n. 831/1998; Cass. n. 2577/1996). Ai fini della sussistenza del requisito della determinatezza o determinabilità dell'oggetto del contratto devono essere in questo indicati gli elementi necessari per l'identificazione immediata (determinatezza) o mediata (determinabilità) del bene. Tuttavia l'indicazione può essere operata anche per relationem, purché gli elementi estrinseci richiamati siano certi e oggettivi, cioè idonei per l'individuazione dell'oggetto (Cass. n. 8028/2018; Cass. n. 25205/2014; Cass. n. 2072/2013; Cass. n. 13823/2002; Cass. n. 2823/1986). Nei contratti in cui è richiesta la forma scritta ad substantiam l'oggetto del contratto deve essere determinato o determinabile sulla base degli elementi risultanti dal contratto stesso, non potendo farsi ricorso ad elementi estranei ad esso. Ne consegue che se le parti di una compravendita immobiliare hanno fatto riferimento per individuare il bene ad una planimetria allegata all'atto, è necessario che essa non solo sia sottoscritta dai contraenti, ma anche espressamente indicata nel contratto come parte integrante del contenuto dello stesso (Cass. n. 21352/2014; Cass. n. 12506/2007). Siffatta conclusione vale anche per il preliminare di vendita che rinvii ad essa (Cass. n. 26351/2020; Cass. n. 1626/2020). Il concetto di determinatezza dell'oggetto del contratto assume carattere più o meno rigoroso in relazione alla natura ed al contenuto del negozio. In particolare, se oggetto del contratto è un genus o una prestazione fungibile, è sufficiente l'indicazione della categoria di appartenenza della cosa o della prestazione mentre, ove si tratti di una species o di una prestazione infungibile, gli elementi di individuazione debbono essere più precisi (Cass. n. 2561/1971). BibliografiaAllara, La teoria generale del contratto, Torino, 1955; Benedetti, Dal contratto al negozio unilaterale, Milano, 1969; Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 1997; Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, Diritto civile, 1.2, Fatti e atti giuridici, Torino, 1990; Carraro, Negozio in frode alla legge, in Nss. D.I., Torino, 1968; Cataudella, I contratti. Parte generale, Torino, 2014; Costanza, Il contratto atipico, Milano, 1981; Di Majo, voce Causa del negozio giuridico, in Enc. giur., Roma, 1988; Donisi, voce Atti unilaterali, in Enc. giur., Roma, 1988; Ferri, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1968; Galgano, Diritto civile e commerciale, II, 1, Padova, 1993; Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 1990; Giorgianni, voce Causa (diritto privato), in Enc. dir., Milano, 1960; Messineo, voce Contratto (diritto privato), in Enc. dir., Milano, 1961; Osti, voce Contratto, in Nss. D.I., Torino, 1959; Rescigno, Manuale del diritto privato italiano, Napoli, 1990; Roppo, Il contratto, Bologna, 1977; Roppo, voce Contratto, in Dig. civ., Torino, 1989; Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, rist. 1985; Trabucchi, voce Buon costume, in Enc. dir., Milano, 1959. |