Codice Civile art. 1348 - Cose future.InquadramentoIn linea di principio il legislatore riconosce, quale espressione dell'autonomia giuridicamente rilevante attribuita ai privati dall'ordinamento, la validità dei contratti, anche innominati, nei quali sia dedotta la prestazione di un bene non ancora esistente (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 364). A fronte della teoria che assimila la venuta ad esistenza della cosa ad una condicio iuris di efficacia, il contratto avente ad oggetto la prestazione di cose future è ricondotto: da alcuni alla categoria dei contratti perfetti o completi in senso tecnico, pur mancando un elemento che deve ancora essere integrato, con la conseguenza che il contratto sarebbe immediatamente efficace in senso stretto, sebbene detta efficacia sia parziale, sicché nelle more esso produrrà tutti gli effetti corrispondenti alla sua funzione che non siano impediti dall'inesistenza della cosa (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 364); da altri alla categoria dei negozi incompleti a formazione progressiva e con effetti anticipati, che si completerebbero con il venire ad esistenza della cosa e da tale momento produrrebbero effetti in senso stretto (Rubino, in Tr. C. M., XXIII, 1962, 173); infine una più recente prospettazione lo configura come contratto ad efficacia obbligatoria, che impegna la parte all'attribuzione delle cose ivi convenute nonché di regola ad adoperarsi per la loro produzione, con la conseguenza che, qualora la produzione del bene divenga impossibile, il contratto si risolverebbe (Bianca, 320). Aderendo a tale ultima impostazione, ove l'impossibilità sia imputabile a difetto di diligenza della parte che si sia impegnata ad adoperarsi affinché la cosa venga ad esistenza, questa sarà tenuta al risarcimento dei danni nella misura dell'interesse positivo (Bianca, 321). Qualora invece la parte non debba adoperarsi per la produzione del bene, la venuta ad esistenza della cosa è stata qualificata come condizione sospensiva, il cui mancato avveramento determinerebbe l'inefficacia retroattiva del contratto (Bianca, 322). Il negozio avente ad oggetto la prestazione di cose future deve essere considerato valido quanto alla sua struttura, sebbene sia necessario ai fini della sua efficacia che la cosa venga ad esistenza nel tempo previsto (Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, 692). Ove ciò non si verifichi, il contratto diverrà inutile, non potendo più realizzare la sua funzione. Tuttavia sotto l'aspetto delle conseguenze si determinerà una situazione diversa rispetto al contratto nullo: questo di regola, e fin dall'origine, non produce alcun effetto, mentre nel caso in esame il negozio avrà comunque già prodotto tutti gli effetti propri della sua funzione che non siano impediti dall'inesistenza della cosa (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 373). Con riguardo ai rapporti tra le parti e verso i terzi, qualora si ritenga che il contratto avente ad oggetto la prestazione di cose future sia già perfetto o contenutisticamente completo sin dal momento della stipulazione, non è opportuna la valutazione del successivo comportamento degli stipulanti alla luce della limitata e generica prospettiva della culpa in contrahendo, dovendo invece ritenersi giustificato il ricorso ai normali rimedi previsti dall'ordinamento nei casi di deficienza del sinallagma (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 376). Viceversa la tesi che ritiene il contratto incompleto sino a che la cosa non venga ad esistenza, sostiene che il comportamento delle parti antecedente a tale momento possa essere valutato sub specie di responsabilità precontrattuale (Rubino, in Tr. C. M., XXIII, 1962, 174). Nei contratti aventi ad oggetto la prestazione di cosa futura non è elemento necessario la determinazione del tempo in cui la cosa dovrà venire ad esistenza, che invece può stabilirsi in base alla natura del contratto e a quella del suo oggetto, tenuto conto degli interessi delle parti (Cass. n. 683/1967). La S.C. ritiene che si tratti di contratto perfetto ab initio, con effetti obbligatori ed immediatamente trascrivibile, fermo restando che gli effetti della trascrizione si produrranno solo quando il bene venga ad esistenza (Cass. n. 2126/1997). In questa prospettiva è stato qualificato come fattispecie riconducibile alla norma in commento il contratto di divisione immobiliare con stralcio di quota che preveda la costituzione in comproprietà ai condividenti tutti di una strada da realizzare sulla porzione di terreno non stralciata, poiché esso attribuisce al titolare della quota stralciata il diritto di esigere dagli altri contraenti il rilascio dell'area convenzionalmente deputata allo scopo, configurandosi in suo favore un diritto di credito funzionale alla tutela dello ius ad rem a lui spettante una volta che la strada, intesa quale cosa futura, sia venuta ad esistenza (Cass. n. 15522/2013). L'ambito di applicazioneFigure particolari in cui si ha applicazione di tale principio si riscontrano in tema di fideiussione e di vendita. In altre ipotesi invece, per espressa disposizione di legge, la prestazione di cose future non è ammessa, come accade per la donazione che non può che avere ad oggetto cose presenti, ovvero non è implicitamente configurabile in relazione alle modalità di perfezionamento o alla funzione del contratto stesso, come accade nei contratti reali che si perfezionano con la consegna della res (Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, 693). Ma in senso contrario altra dottrina ritiene che sia ammissibile la figura del contratto reale avente ad oggetto cosa futura, poiché la traditio della cosa rappresenterebbe una mera modalità di esecuzione del contratto; in questo senso è configurabile il pegno di cosa futura (Gabrielli, in Tr. Res. Gab., 2006, 766). Il riferimento alla cosa futura deve essere inteso in senso relativo e ciò in una duplice direzione: sia con riguardo alla qualificazione che di tale attributo offre il diritto, secondo cui devono reputarsi future le cose e i diritti inesistenti in natura e pure quelli esistenti ma che non costituiscono beni giuridici autonomi, come gli alberi tagliati e i frutti non separati, ma anche quelli che non si formano in natura bensì costituiscono il risultato di un'attività lavorativa; sia in relazione al contesto del contratto, in quanto occorre stabilire se gli stipulanti abbiano inteso disporre di una cosa attuale che risulta tuttavia inesistente, e in tal caso il contratto è invalido, ovvero di una cosa futura se e quando verrà ad esistenza (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 366). Non può essere ricondotto alla figura del contratto avente ad oggetto cosa futura né il contratto avente ad oggetto cose altrui né il contratto avente ad oggetto cose generiche (Carresi, in Tr. C. M., 1987, 238; Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 367). La prestazione che abbia ad oggetto un fare o un non fare è di per se stessa proiettata in un momento successivo. Anche la S.C. qualifica espressamente come cose future sia quelle inesistenti sia quelle esistenti ma che non costituiscono beni giuridici autonomi sia quelle che si producono in natura sia quelle che sono frutto di un'attività lavorativa (Cass. n. 1788/1967; Cass. n. 1209/1966). Sono consentite la cessione di un credito futuro, quando sia determinabile con riferimento ad uno specifico rapporto (Cass. n. 2798/1978; Cass. n. 3421/1977), e la divisione di cosa futura (Cass. n. 2263/1978; Cass. n. 4231/1974). La speranza della futura esistenza della cosaUna fattispecie diversa da quella disciplinata dalla norma si determina rispetto al contratto aleatorio, il quale abbia ad oggetto non la cosa futura (emptio rei speratae), quanto la speranza della sua futura esistenza (emptio rei spei). Nondimeno è stata considerata un'ipotesi di contratto avente ad oggetto una cosa futura la fattispecie relativa alla cessione di un credito semplicemente sperato, ossia meramente eventuale, senza che l'aleatorietà che in tal caso connota il contratto di cessione ne implichi l'invalidità, essendo insita pure essa nella nozione di cosa futura (Cass. n. 4040/1990). Nell'ipotesi di emptio spei speratae, a norma dell'art. 1472, comma 2, la vendita è soggetta alla condicio iuris della venuta ad esistenza della cosa alienata, la cui mancata realizzazione comporta non già la risoluzione del contratto per inadempimento, bensì la sua nullità per mancanza dell'oggetto. E poiché, ove si tratti dei frutti naturali della cosa, il passaggio di proprietà avviene, a mente dell'art. 821, con la separazione dei primi dalla seconda, ne consegue che il rischio del verificarsi di eventi che impediscano la venuta ad esistenza dei frutti naturali della cosa, al pari del rischio della mancata venuta ad esistenza di quest'ultima, è a carico del venditore, giacché grava su di esso, salvo patto contrario, l'obbligazione di separazione dei frutti dalla cosa principale che si trovi nel suo dominio e possesso e dunque nella sua disponibilità giuridica e materiale (Cass. n. 14461/2011). BibliografiaAllara, La teoria generale del contratto, Torino, 1955; Benedetti, Dal contratto al negozio unilaterale, Milano, 1969; Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 1997; Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, Diritto civile, 1.2, Fatti e atti giuridici, Torino, 1990; Carraro, Negozio in frode alla legge, in Nss. D.I., Torino, 1968; Cataudella, I contratti. Parte generale, Torino, 2014; Costanza, Il contratto atipico, Milano, 1981; Di Majo, voce Causa del negozio giuridico, in Enc. giur., Roma, 1988; Donisi, voce Atti unilaterali, in Enc. giur., Roma, 1988; Ferri, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1968; Galgano, Diritto civile e commerciale, II, 1, Padova, 1993; Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 1990; Giorgianni, voce Causa (diritto privato), in Enc. dir., Milano, 1960; Messineo, voce Contratto (diritto privato), in Enc. dir., Milano, 1961; Osti, voce Contratto, in Nss. D.I., Torino, 1959; Rescigno, Manuale del diritto privato italiano, Napoli, 1990; Roppo, Il contratto, Bologna, 1977; Roppo, voce Contratto, in Dig. civ., Torino, 1989; Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, rist. 1985; Trabucchi, voce Buon costume, in Enc. dir., Milano, 1959. |