Codice Civile art. 1349 - Determinazione dell'oggetto.

Cesare Trapuzzano

Determinazione dell'oggetto.

[I]. Se la determinazione della prestazione dedotta in contratto è deferita a un terzo e non risulta che le parti vollero rimettersi al suo mero arbitrio, il terzo deve procedere con equo apprezzamento. Se manca la determinazione del terzo o se questa è manifestamente iniqua o erronea, la determinazione è fatta dal giudice [778 3, 1287 3, 1473 2, 2264, 2603 4; 113 c.p.c.].

[II]. La determinazione rimessa al mero arbitrio del terzo non si può impugnare se non provando la sua mala fede. Se manca la determinazione del terzo e le parti non si accordano per sostituirlo, il contratto è nullo.

[III]. Nel determinare la prestazione il terzo deve tener conto anche delle condizioni generali della produzione a cui il contratto eventualmente abbia riferimento.

Inquadramento

Le parti possono affidare la determinazione dell'oggetto ad un terzo. Il terzo è definito arbitratore mentre l'operazione da questi posta in essere configura l'arbitraggio. La norma individua nel terzo il soggetto cui spetta il potere di determinazione e indica i parametri che questi dovrà rispettare ai fini della determinazione della prestazione; nondimeno, nulla dice in ordine all'ambito di operatività del potere del terzo, ossia non delimita gli elementi che sono passibili di determinazione a cura dell'arbitratore; in specie non chiarisce se la determinazione rimessa al terzo debba essere limitata o meno alla sola prestazione, benché disciplini esclusivamente le conseguenze che discendono dall'ipotesi di deferimento della determinazione della prestazione (Gabrielli, in Tr. Res. Gab., 2006, 814). L'affidamento della determinazione ad un terzo costituisce una clausola accessoria e non essenziale del contratto (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 183; Gabrielli, in Tr. Res. Gab., 2006, 825) e può essere contenuta anche in un patto separato ma collegato al contratto, purché rivesta la stessa forma richiesta per il contratto (Carresi, in Tr. C. M., 1987, 206). Il contratto ad oggetto determinabile è un contratto già concluso nonché valido ed efficace fin dalla sua stipulazione, sebbene incompleto con riferimento alla determinazione dell'oggetto (Santoro Passarelli, 338). Secondo una tesi minoritaria il contratto contenente la clausola di attribuzione al terzo si caratterizzerebbe per un'incompletezza strutturale e sarebbe collocabile tra le fattispecie a formazione progressiva, sicché sarebbe privo di immediata efficacia (Gabrielli, in Tr. Res. Gab., 2006, 820). Il contratto può essere immediatamente trascritto, senza che sia necessaria la previa determinazione del terzo (Gabrielli, in Tr. Res. Gab., 2006, 850).

Con la clausola di arbitraggio, inserita in un negozio concluso ma incompleto in uno dei suoi elementi, le parti demandano ad un terzo arbitratore la determinazione della prestazione, impegnandosi ad accettarla (Cass. n. 13954/2005; Cass. n. 4283/2002). In particolare la funzione di diritto sostanziale dell'arbitraggio è quella di eliminare un'incompletezza o indeterminatezza del contenuto del contratto, relativa a un punto sul quale non sia ancora intervenuto l'accordo delle parti (Cass. n. 4253/1974; Cass. n. 1223/1968; Cass. n. 1055/1963). Il deferimento ad un terzo della determinazione della prestazione non postula necessariamente un contratto definitivo, ben potendo le parti con il contratto preliminare assumere, per una qualsiasi ragione d'opportunità, l'obbligazione di concludere un contratto definitivo comportante prestazioni predeterminate da un terzo arbitratore e delle quali le parti stesse possano preventivamente, attraverso le impugnazioni previste dall'art. 1349, addirittura impedire l'effetto traslativo (Cass. n. 3227/1995). La clausola di arbitraggio ha natura accessoria (Cass. n. 4215/1957). La norma dedicata all'arbitraggio è applicabile anche con riferimento ai negozi unilaterali (Cass. n. 1039/1967).

L'arbitraggio e l'arbitrato

La figura dell'arbitratore e l'operazione di arbitraggio sono contrapposte alla figura dell'arbitro e all'operazione di arbitrato (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 184). La differenza tra arbitraggio e arbitrato si sostanzia nel diverso contenuto del mandato conferito dalle parti ad uno o più terzi: nell'arbitraggio le parti incaricano l'arbitratore di determinare uno degli elementi del negozio, sia esso ritenuto già concluso o in fase di formazione, non ancora perfezionato o perfezionato ma non completo per la mancanza di quell'elemento; nell'arbitrato invece le parti demandano all'arbitro di definire un conflitto tra esse esistente. E ciò sia che si tratti di arbitrato rituale, nel quale all'arbitro è affidato un giudizio sulla controversia nelle forme e con gli effetti previsti per il contenzioso giudiziale e in sua sostituzione, sia che si tratti di arbitrato irrituale o libero, nel quale l'arbitro designato è chiamato a risolvere un contrasto tra le parti di un rapporto senza che alla relativa decisione sia attribuita l'efficacia della pronunzia giurisdizionale, avendo essa piuttosto mera efficacia contrattuale (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 184; Bianca, 330).

Anche la S.C. fonda la differenza tra arbitraggio e arbitrato, rituale o irrituale, sull'esistenza di un'integrazione del contenuto negoziale quanto al primo e di una composizione di una lite quanto al secondo (Cass. n. 8289/1995; Cass. n. 4794/1984; Cass. n. 268/1984). Difettando nell'arbitraggio un rapporto controverso, esso, pur trovando applicazione in numerosi contratti tipici, non è configurabile nella transazione, della quale è presupposto essenziale una controversia attuale o prevista (Cass. n. 5707/2002). La verifica in ordine all'esistenza di un arbitrato, rituale o irrituale, ovvero di un arbitraggio è questione interpretativa(Cass. n. 2949/1983; Cass. n. 494/1965). Ulteriore differenza si riscontra sul piano dell'impugnabilità delle rispettive deliberazioni: poiché l'arbitratore non formula un giudizio né risolve una controversia, e la sua determinazione integra un negozio giuridico, la stessa è soggetta non alle impugnazioni di carattere processuale, bensì ai rimedi che la legge sostanziale appresta contro i negozi nulli o annullabili, quali l'impugnazione per dolo, manifesto errore o violazione dei limiti del mandato (Trib. Lanusei 13 novembre 1989); per converso il lodo adottato nell'ambito di un arbitrato irrituale non è impugnabile per manifesta iniquità, giacché tale impugnativa è ammessa dalla legge solo in presenza di un arbitraggio (Cass. n. 4364/1983).

L'arbitraggio e la perizia contrattuale

L'arbitraggio si distingue altresì dalla figura della perizia contrattuale, non espressamente contemplata dalla legge, ma frutto dell'elaborazione della dottrina e della giurisprudenza. La perizia si riscontra quando le parti demandano ad uno o più terzi, scelti per la loro particolare competenza tecnica il compito, non di determinare l'oggetto del contratto né di risolvere una controversia tra esse esistente, bensì di formulare un apprezzamento tecnico, che le parti stesse si impegnano ad accettare quale diretta espressione della loro volontà negoziale. In questa ipotesi non vi è arbitraggio per la mancanza di un contratto da completare né arbitrato irrituale per la mancanza di una controversia da risolvere. Ma in senso critico un filone della dottrina ritiene che ove vi sia una perizia contrattuale si ricade o in una consulenza tecnica d'ufficio ovvero nell'ambito dell'arbitrato irrituale o dell'arbitraggio (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 385; Bianca, 331).

La perizia contrattuale ricorre nell'ipotesi in cui le parti deferiscano ad uno o più soggetti terzi, scelti per la loro particolare competenza tecnica, il compito di formulare un accertamento da effettuarsi sulla scorta di precise regole tecniche che esse si impegnano preventivamente ad accettare come diretta espressione della loro volontà negoziale (Cass. n. 18906/2017; Cass. n. 4178/1985; Cass. n. 4151/1976; Cass. n. 854/1972). Sul piano delle differenze anche la perizia contrattuale costituisce fonte di integrazione del contratto, ma essa si distingue dall'arbitraggio perché l'arbitro-perito non deve ispirarsi alla ricerca di un equilibrio economico secondo un criterio di equità mercantile, ma deve attenersi a norme tecniche ed ai criteri tecnico-scientifici propri della scienza, arte, tecnica o disciplina nel cui ambito si iscrive la valutazione che è stato incaricato di compiere. Ne consegue che nel caso di perizia contrattuale va esclusa l'esperibilità della tutela tipica prevista dall'art. 1349 per manifesta erroneità o iniquità della determinazione del terzo, trattandosi di rimedio circoscritto all'arbitraggio, in quanto presuppone l'esercizio di una valutazione discrezionale e di un apprezzamento secondo criteri di equità mercantile, inconciliabili con l'attività strettamente tecnica dell'arbitro-perito (Cass. n. 28511/2018; Cass. n. 13954/2005). In base ad una diversa opinione, la perizia contrattuale consiste nello svolgimento di constatazioni e accertamenti mentre l'arbitraggio si sostanzia nella determinazione uno degli elementi del negozio in via sostitutiva della volontà delle parti (Cass. n. 12155/1999). Ulteriore distinzione emergerebbe sul piano dei rimedi esperibili; infatti solo la determinazione all'esito di arbitraggio secondo equo apprezzamento può essere impugnata perché manifestamente iniqua o erronea mentre la determinazione del perito contrattuale è sottratta ad ogni discrezionalità (Cass. n. 2738/1970). Quanto ai profili distintivi rispetto all'arbitrato irrituale, la perizia contrattuale si inserisce in una fattispecie negoziale diretta ad eliminare, su basi transattive o conciliative, una controversia insorta tra le parti, mediante mandato conferito ad un terzo, così come avviene nell'arbitrato libero, dal quale si differenzia per il diverso oggetto del contrasto, che attiene ad una questione tecnica e non giuridica (come nell'arbitrato libero), ma non per gli effetti, dato che in entrambi il contrasto è superato mediante la creazione di un nuovo assetto di interessi dipendente dal responso del terzo, che le parti si impegnano preventivamente a rispettare (Cass. n. 10023/2005; Cass. n. 1721/1998; Cass. n. 3791/1995). Quanto alla distinzione con l'arbitrato rituale, nella perizia contrattuale la decisione dei periti è impugnabile (analogamente a quanto previsto per l'arbitrato irrituale) soltanto attraverso le tipiche azioni di annullamento e di risoluzione per inadempimento dei contratti, e non anche attraverso gli strumenti previsti dal c.p.c. per i lodi rituali, con la conseguenza che eventuali errori in procedendo o in iudicando, comprensivi della violazione dei principi della collegialità e del contraddittorio, rilevano soltanto se siano sfociati in cause di invalidità (incapacità o vizi del consenso) o di risoluzione della perizia stessa (Cass. n. 5678/2005; Cass. n. 4151/1976). Per la tesi secondo cui la perizia contrattuale non avrebbe autonomia dall'arbitrato irrituale e ne rappresenterebbe una specie si è espresso un arresto di legittimità (Cass. n. 2941/1978).

Il contenuto della determinazione dell'arbitratore

Il potere di determinazione del terzo deve essere attribuito da tutte le parti del contratto. Il conferimento di questo potere è stato ricondotto da alcuni al mandato, connotato da gratuità, salvo che le parti non abbiano espressamente previsto un compenso per l'opera del terzo (Bianca, 333); secondo altra opinione si rientrerebbe nell'ambito di un contratto d'opera intellettuale, anche in ragione della natura non negoziale della dichiarazione determinativa del terzo (Gabrielli, in Tr. Res. Gab., 2006, 854; Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 185; Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 388). Il potere determinativo, secondo la lettera della norma, è volto alla determinazione della prestazione, ma nel richiamo alla prestazione sarebbe possibile ravvisare, come ritenuto da una parte della dottrina, l'ammissibilità della determinazione del contenuto contrattuale; in ogni caso essa non può comprendere l'individuazione del tipo contrattuale o la fissazione di tutti gli elementi del contratto (Bianca, 327). Secondo una tesi minoritaria invece sarebbe possibile un'interpretazione estensiva della disposizione, che consenta la determinazione, oltre che della prestazione, anche del tipo contrattuale (Carresi, in Tr. C. M., 1987, 206), poiché da tale rimessione nessun rischio potrebbe discendere, in ragione della sua attribuzione ad un terzo e non alle parti e della previsione di meccanismi di protezione avverso gli eventuali atti di arbitrio del terzo (Santoro Passarelli, 339). Avverso questa impostazione si è obiettato che una norma sul contratto in generale in ordine al potere di determinazione del terzo, a fronte delle norme specifiche che ammettono tale potere con riferimento ai singoli tipi contrattuali, si giustifica solo in quanto abbia una funzione di delimitazione della facoltà di determinazione che le parti possono deferire ad un terzo; altrimenti la disposizione non avrebbe alcuna rilevanza pratica (Gabrielli, in Tr. Res. Gab., 2006, 830). In questa prospettiva la determinazione del terzo deve essere circoscritta alla prestazione, come indicato con valenza precettiva dalla norma, sebbene essa non escluda espressamente che la determinazione possa concernere altri elementi (Gabrielli, in Tr. Res. Gab., 2006, 830). D'altronde, il contratto che preveda il deferimento del potere di determinazione ad un terzo è comunque un contratto valido e completo, almeno sotto il profilo degli elementi essenziali, il che sarebbe escluso da una volizione delle parti diretta a rimettere al terzo il tipo negoziale e la causa (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 386).

Il rapporto tra parti e arbitratore è stato qualificato da alcuni arresti come prestazione d'opera (Cass. n. 1039/1967), da altri come mandato negoziale collettivo, con la conseguenza che il negozio costituente la fonte dei poteri del terzo può essere revocato anche ad opera di una sola parte qualora ricorra una giusta causa, trovando applicazione l'art. 1726 (Cass. n. 4283/2002; Cass. n. 3179/1953); ove sia qualificato come mandato con rappresentanza, la relativa procura dovrebbe rivestire la stessa forma prescritta per il contratto a cui la determinazione del terzo si riferisce (Cass. n. 3965/1969). Il contratto di conferimento di incarico professionale o di mandato al terzo arbitratore non può essere risolto per inadempimento, ostandovi la previsione dell'art. 1349, che consente l'impugnazione della determinazione di quest'ultimo solo se manifestamente iniqua o erronea (arbitrium boni viri) o in presenza di comprovata malafede (arbitrium merum), che, altrimenti, resterebbe vanificata (Cass. n. 13379/2014). In base ad un arresto risalente, la determinazione del terzo potrebbe estendersi anche a tutti gli elementi del contratto (Cass. n. 3167/1957). In senso contrario si rileva che esso può riguardare solo alcuni elementi, purché non essenziali, in quanto non direttamente definiti dalle parti e non suscettibili di una preventiva compiuta determinazione perché connessi allo sviluppo del rapporto (Cass. n. 700/1968; Cass. n. 1055/1963; Cass. n. 185/1962).

La natura della determinazione dell'arbitratore

L'atto dell'arbitratore, attraverso cui questi procede alla determinazione dell'oggetto, è stato qualificato da alcuni come negozio giuridico di accertamento che si collega al contratto ad oggetto determinabile, il quale a sua volta è valido ed efficace fin dal momento della sua stipulazione, indipendentemente dal modo con cui il terzo procederà alla stessa (Santoro Passarelli, La transazione, Napoli, 1986, 51; Carresi, in Tr. C. M., 1987, 207). Secondo altra ricostruzione si tratta di atto dovuto riconducibile sotto l'aspetto formale alla categoria degli atti di partecipazione, privo di natura negoziale, il cui contenuto può essere un giudizio o una valutazione (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 184); in base ad altro divisamento ricorre un atto giuridico di arbitramento, diverso dalla dichiarazione di scienza, che si collega al contratto in dipendenza del patto di arbitraggio (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 388); ancora altro autore ha osservato che si tratta di un atto di scienza che si impone alle parti, in quanto preventivamente accordatesi sull'attribuzione ad esso di efficacia integrativa del contratto (Bianca, 328); infine l'atto del terzo, inserendosi nel contratto secondo lo schema della relatio, è stato equiparato ad un mero fatto (Irti, Disposizione testamentaria rimessa all'arbitrio altrui, Milano, 1967, 244). Salvo che non si iscriva nel novero dei negozi, per l'efficacia dell'atto è sufficiente la capacità naturale dell'arbitratore. Non rilevano i vizi del volere, atteso che il legislatore determina tassativamente le impugnative esperibili avverso la determinazione del terzo (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 390). Inoltre l'atto dell'arbitratore non deve necessariamente rivestire la stessa forma prescritta per il contratto cui esso attiene (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 389; Gabrielli, in Tr. Res. Gab., 2006, 867). In base ad una tesi opposta, la determinazione, avendo natura negoziale, dovrebbe essere resa nella stessa forma del contratto che va ad integrare (Sacco-De Nova, in Tr. Res., 1999, 129). La norma individua due ipotesi di arbitraggio: quella in cui le parti richiedono all'arbitratore di procedere con equo apprezzamento; quella invece in cui le parti si rimettono al mero arbitrio del terzo arbitratore. Qualora non risulti espressamente nel contratto che le parti hanno inteso rimettersi al mero arbitrio del terzo, si concretizza un'ipotesi di arbitraggio secondo equo apprezzamento; sicché la rimessione all'arbitrium boni viri è presunta  iuris tantum. In ragione del tipo di arbitraggio a cui le parti hanno inteso demandare la determinazione dell'oggetto, ne discendono diverse conseguenze sia in ordine ai profili di contestazione dell'atto determinativo dell'arbitratore sia in ordine ai riflessi della mancata determinazione dell'arbitratore.

La S.C. qualifica l'atto di determinazione dell'arbitratore come negozio giuridico di accertamento (Cass. n. 1479/1976; Cass. n. 4253/1974; Cass. n. 2707/1972; Cass. n. 834/1972; Cass. n. 1788/1970; Cass. n. 1930/1951; contra Cass. n. 1479/1976). Il fatto che le parti nel contratto demandino la determinazione dell'oggetto ad un terzo, usando l'espressione secondo cui “si rimettono alla decisione inappellabile del terzo”, non importa rimessione all'arbitrium merum (Cass. n. 1050/1948). In mancanza di espressa qualificazione da parte dei contraenti del tipo di arbitraggio voluto, l'interpretazione del contenuto e dell'estensione dei poteri dell'arbitratore spetta al giudice di merito, la cui pronunzia in proposito non è censurabile in sede di legittimità se conforme alle regole legali di ermeneutica e sorretta da motivazione immune da vizi (Cass. n. 4931/1998; Cass. n. 3922/1968).

L'arbitraggio secondo equo apprezzamento

L'equo apprezzamento si traduce in una valutazione a cura dell'arbitratore, in base al modello del buon padre di famiglia, che deve tenere conto di tutte le circostanze di specie note o conoscibili secondo la comune diligenza e deve apprezzarle in modo obiettivo (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 391). Detta valutazione è vincolata a criteri tecnici di comune accezione (Gabrielli, in Tr. Res. Gab., 2006, 856). Poiché in tal caso il giudizio del terzo deve essere ispirato a criteri di buona fede, l'intervento del giudice è ancora possibile, qualora la determinazione dell'arbitratore manchi o sia manifestamente iniqua o erronea (Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, 698; Cataudella, 112). L'iniquità si identifica in una chiara irragionevolezza o sproporzione del risultato finale della determinazione; essa deve essere oggettiva e non rileva il dolo o la colpa dell'arbitratore (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 392). Il sindacato sull'iniquità non consente al giudice di operare un accertamento sulla giustezza della determinazione; piuttosto permette di rilevare l'eventuale eccesso di potere del terzo arbitratore (Gabrielli, in Tr. Res. Gab., 2006, 872); in senso contrario altro autore osserva che l'iniquità assumerebbe rilievo solo ove si traduca in un'intrinseca e indiscutibile inattendibilità della determinazione, che dovrebbe essere sottoposta al controllo giudiziale (Sacco-De Nova, in Tr. Res., 1999, 127). L'errore è rilevante indipendentemente dalla circostanza che abbia determinato l'iniquità della determinazione (Bianca, 334). In particolare può trattarsi di un errore di calcolo o di una deduzione per certo contrastante con le premesse, alla luce delle comuni regole di tecnica ed esperienza (Bianca, 334). L'iniquità o l'erroneità devono essere manifeste, ossia riconoscibili a prima vista. La determinazione del terzo cui sia demandata una valutazione secondo equo apprezzamento è invalida, oltre che nei casi espressamente previsti dalla norma, anche nelle ipotesi di mala fede, violenza, se ed in quanto diretta ad alterare l'esercizio del potere di determinazione del terzo a scapito di una delle parti, incapacità, qualora questa abbia impedito un'obiettiva valutazione degli interessi contrattuali (Bianca, 334). Legittimate a proporre l'impugnazione sono le sole parti, non il terzo arbitratore per difetto di interesse, non essendo la dichiarazione da questi resa destinata a produrre effetti nella sua sfera giuridica (Sacco-De Nova, in Tr. Res., 1999, 129; Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 186). L'impugnabilità davanti al giudice della determinazione iniqua non realizza un'ipotesi di annullabilità in senso tecnico e quindi non soggiace alla relativa disciplina, e in specie non è convalidabile (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 393). Per converso altro autore sostiene che le parti sono libere di accettare l'atto di determinazione del terzo, indipendentemente dalla sua validità, eventualmente anche dando esecuzione al contratto nella consapevolezza dell'invalidità della determinazione compiuta dal terzo (Bianca, 334). La determinazione del giudice, ammissibile in tutti i casi in cui la determinazione del terzo sia invalida (Bianca, 335), costituisce esercizio di un'attribuzione di volontaria giurisdizione, previo accertamento preliminare in via contenziosa che le parti non sono più tenute ad adottare, in quanto viziata, la determinazione del terzo (Redenti, Diritto processuale civile, III, Milano 1995, 588). In senso contrario altro autore ritiene che si tratti di giudizio ordinario (Gabrielli, in Tr. Res. Gab., 2006, 877). Le modalità procedimentali della determinazione giudiziale in via surrogatoria seguono, nei limiti della compatibilità, le regole stabilite in tema di determinazione del prezzo nella compravendita, di cui all'art. 82 disp. att. (Bianca, 332). I vizi della determinazione giudiziale possono essere fatti valere in sede di reclamo (Bianca, 335). Le parti non possono ricorrere al giudice qualora si siano accordate per l'arbitraggio, ma non abbiano trovato l'accordo sul nome dell'arbitratore né abbiano indicato i criteri per la sua identificazione (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 392). Sicché ove tale individuazione sia rimessa ad un successivo accordo delle parti, l'incompletezza del contratto in tal modo stipulato, oltre a far dubitare della sua stessa conclusione, ne evidenzierebbe una nullità strutturale (Gabrielli, in Tr. Res. Gab., 2006, 856). In senso contrario, altri autori evidenziano che in questo caso la volontà delle parti potrebbe essere interpretata nel senso della costituzione del vincolo contrattuale, rinviando solo la determinazione di un suo elemento, cosicché, anche traendo argomento dall'art. 1473, comma 2 (Bianca, 333), il giudice adito potrebbe procedere alla determinazione ovvero nominare il terzo arbitratore (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 182). Ove al contrario la determinazione del terzo manchi per fatto del terzo nominato che, dopo aver assunto l'incarico, non riesca a portarlo a compimento per una pluralità di ragioni, anche a lui non imputabili (come la sopravvenuta incapacità, la morte, l'inidoneità soggettiva a svolgere l'incarico), ferma restando la necessità di valutare se le circostanze indicate siano riconducibili ad un ordinario inadempimento (Bianca, 334), le parti possono comunque pervenire alla determinazione dell'oggetto sostituendo il terzo con un'altra persona designata di comune accordo o in mancanza chiedendo l'intervento del giudice affinché sia quest'ultimo a provvedere alla determinazione (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 394; Gabrielli, in Tr. Res. Gab., 2006, 865).

Il terzo arbitratore, a meno che le parti si siano affidate al suo mero arbitrio, deve procedere con equo apprezzamento alla determinazione della prestazione, adottando cioè un criterio di valutazione ispirato all'equità contrattuale, che in questo caso svolge una funzione di ricerca in via preventiva dell'equilibrio mercantile tra prestazioni contrapposte e di perequazione degli interessi economici in gioco. Pertanto l'equo apprezzamento si risolve in valutazioni che, pur ammettendo un certo margine di soggettività, sono ancorate a criteri obbiettivi, desumibili dal settore economico nel quale il contratto incompleto si iscrive, in quanto tali suscettibili di dare luogo ad un controllo in sede giudiziale circa la loro applicazione nel caso in cui la determinazione dell'arbitro sia viziata da iniquità o erroneità manifesta, il che si verifica quando sia ravvisabile una rilevante sperequazione tra prestazioni contrattuali contrapposte, determinate attraverso l'attività dell'arbitratore (Cass. n. 13954/2005). Una pronunzia ha sostenuto che, per stabilire quando la determinazione della prestazione da parte del terzo sia impugnabile per manifesta iniquità, deve farsi riferimento, in mancanza di un criterio legale, al principio desumibile dall'art. 1448, sicché ricorre la manifesta iniquità in presenza di una valutazione inferiore alla metà di quella equa (Cass. n. 24183/2004). In forza di altro arresto, la determinazione può essere effettuata dal giudice anche quando essa manchi, purché nessuna delle parti abbia chiesto la nomina dell'arbitratore (Cass. n. 1664/1957). Qualora il terzo cui sia stato demandato dalle parti il compito di determinare la prestazione dedotta nel contratto non lo faccia, né a ciò provvedano le parti direttamente ed una di esse adisca il giudice chiedendo la condanna della controparte all'adempimento della prestazione, la relativa controversia avente ad oggetto il predetto adempimento, e il necessario presupposto della determinazione della prestazione da eseguire, può essere risolta dal giudice, anche in applicazione del principio generale di economia processuale, nel duplice oggetto, con una decisione il cui risultato ha la funzione di integrare il contratto nel suo elemento manchevole (Cass. n. 3835/2019; Cass. n. 5272/1983; Cass. n. 1569/1962). L'iniquità deve emergere dal risultato finale della determinazione e non soltanto dalla valutazione del procedimento seguito (Cass. n. 2666/1960). La giurisprudenza ritiene che la dichiarazione del terzo, una volta incorporata al contratto da cui promana, è impugnabile solo con i mezzi che la legge sostantiva appresta contro i negozi nulli od annullabili (Cass. n. 2795/1966).

L'arbitraggio secondo mero arbitrio

In base al mero arbitrio il terzo arbitratore può decidere secondo il suo criterio individuale, sicché il suo apprezzamento sarà sottratto a qualsiasi tipo di controllo di merito e il suo intervento sarà impugnabile solo nel caso di valutazione compiuta con mala fede (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 394). Si tratta di valutazione affidata alla libera discrezione dell'arbitratore, il quale si servirà delle sue possibilità cognitive secondo i criteri che riterrà più opportuni (Gabrielli, in Tr. Res. Gab., 2006, 857). Ciò non esclude che la prestazione del terzo possa essere comunque valutata secondo gli standards della diligenza e della buona fede oggettiva, benché possa essere impugnata solo quando ricorra il dolo, almeno generico, ossia la mala fede che lo ha indotto a realizzare un atto scorretto (Sacco-De Nova, in Tr. Res., 1999, 127). L'arbitratore secondo mero arbitrio può anche deferire la determinazione, della quale tuttavia assume la paternità, ad un altro soggetto terzo. A sua volta la mala fede sarà integrata qualora la determinazione dell'arbitratore sia avvinta da motivi illeciti, quali la corruzione o l'intenzione di nuocere ad una delle parti, la collusione fraudolenta con una delle parti (Galgano, 206; Sacco, in Tr. Vas., 1975, 560; Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 186). Ove la determinazione del terzo arbitratore che procede secondo mero arbitrio manchi, non si può procedere alla sostituzione del terzo con il giudice, in ragione della natura personale e fiduciaria del potere conferito all'arbitratore, e il contratto di cui doveva essere determinato l'oggetto sarà nullo (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 394; Cataudella, 113).

Secondo la S.C. l'arbitratore, al quale sia stata affidata la determinazione della prestazione dedotta in contratto, può decidere secondo il suo criterio individuale, in quanto le parti hanno riposto piena fiducia nella sua correttezza ed imparzialità, oltre che nella sua capacità di discernimento, sicché il suo apprezzamento si sottrae ad ogni controllo nel merito della decisione e le parti possono impugnare la determinazione effettuata solo dimostrando che egli ha agito intenzionalmente a danno di una di esse. In tal caso (ed a differenza dell'ipotesi in cui la determinazione sia stata rimessa all'equo apprezzamento del terzo, nella quale l'iniquità manifesta che può giustificare l'impugnazione deve essere oggettiva) assume rilievo decisivo l'atteggiamento psicologico dell'arbitratore che, tradendo la fiducia conferitagli, si pieghi volontariamente ed in piena consapevolezza agli interessi di una delle parti, non essendo sufficiente che l'incarico non sia stato compiutamente eseguito e che le determinazioni siano prive di ragionevolezza (Cass. n. 13379/2014; Cass. n. 858/1999).

Le condizioni generali della produzione

Il terzo chiamato a determinare l'oggetto del contratto, sia che proceda secondo equo apprezzamento sia che proceda secondo mero arbitrio, deve tenere conto anche delle condizioni generali della produzione, cui il contratto faccia eventualmente riferimento. La disposizione costituisce un tentativo di inserire nel contratto considerazioni di carattere generale, estranee all'autoregolamento di privati interessi, e in tal senso desta perplessità (Gabrielli, in Tr. Res. Gab., 2006, 859). Tuttavia secondo alcuni tale previsione assumerebbe il carattere di una generica esortazione, contro la quale non sarebbe possibile adottare alcun mezzo di reazione, ove al terzo si contesti di non aver osservato la prescrizione (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 395).

In applicazione di tale richiamo, in sede arbitrale si è rilevato che nel giudizio di revisione delle tariffe di un appalto di servizi gli effetti notori della svalutazione monetaria debbono essere contemperati con quelli, altrettanto notori, della particolare crisi che affligge il settore economico cui ineriscono le prestazioni oggetto del contratto (Coll. arb. 11 novembre 1985).

L'ammissibilità della determinazione rimessa ad una delle parti

Dubbia è l'ammissibilità di una determinazione dell'oggetto demandata ad una sola delle parti. Secondo la tesi negativa la mancata determinazione dell'oggetto e la rimessione della stessa alla volontà di una delle parti evidenzierebbe la sostanziale assenza di un accordo e dunque impedirebbe di considerare già perfezionato il contratto (Bianca, 327), salvo che la determinazione non avvenga secondo rigidi criteri predefiniti nel contratto stesso e dunque sia rimessa all'equo apprezzamento della parte, con il riconoscimento della possibilità per l'altra parte di impugnare la determinazione quantomeno secondo gli stessi parametri fissati dall'art. 1349, comma 1, per la determinazione del terzo (Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 361). In base ad altra ricostruzione, traendo spunto dall'art. 1285, la determinazione successiva del contenuto contrattuale potrebbe essere rimessa ad una delle parti solo nei limiti in cui la determinazione medesima non si presti ad alterare la posizione della controparte (Bianca, 335). Secondo la tesi favorevole la determinazione dell'oggetto demandata ad una delle parti non può essere ricondotta all'ambito di operatività dell'art. 1349, posto che ogni assimilazione tra parte e terzo arbitratore nel compimento dell'opera di determinazione risulterebbe arbitraria e difficilmente convincente; piuttosto il campo normativo in cui tale fattispecie opera risiede nell'art. 1346, una volta che si sia esattamente operata un'attività di ricostruzione interpretativa della determinabilità dell'oggetto; alla luce di questo inquadramento giuridico occorrerebbe anzitutto verificare se e in che misura il contratto contenga sufficienti elementi di identificazione dell'oggetto e dunque delimiti con sufficiente precisione il compito determinativo della parte, sottraendolo ad un ingiustificato arbitrio e riconducendolo ad un ordinario adempimento di un obbligo contrattuale, in quanto tale controllabile secondo gli standards della diligenza e della buona fede oggettiva (Sacco-De Nova, in Tr. Res., 1999, 130; Galgano, 122).

La giurisprudenza sostiene che devesi considerare indeterminabile l'oggetto del contratto nel quale l'individuazione del bene non sia desumibile dagli elementi contenuti nel relativo atto scritto, ma sia rimessa ad una successiva scelta di uno dei contraenti, restando irrilevante a tal fine l'eventuale adempimento della controprestazione (Cass. n. 26988/2013).

Bibliografia

Allara, La teoria generale del contratto, Torino, 1955; Benedetti, Dal contratto al negozio unilaterale, Milano, 1969; Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 1997; Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, Diritto civile, 1.2, Fatti e atti giuridici, Torino, 1990; Carraro, Negozio in frode alla legge, in Nss. D.I., Torino, 1968; Cataudella, I contratti. Parte generale, Torino, 2014; Costanza, Il contratto atipico, Milano, 1981; Di Majo, voce Causa del negozio giuridico, in Enc. giur., Roma, 1988; Donisi, voce Atti unilaterali, in Enc. giur., Roma, 1988; Ferri, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1968; Galgano, Diritto civile e commerciale, II, 1, Padova, 1993; Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 1990; Giorgianni, voce Causa (diritto privato), in Enc. dir., Milano, 1960; Messineo, voce Contratto (diritto privato), in Enc. dir., Milano, 1961; Osti, voce Contratto, in Nss. D.I., Torino, 1959; Rescigno, Manuale del diritto privato italiano, Napoli, 1990; Roppo, Il contratto, Bologna, 1977; Roppo, voce Contratto, in Dig. civ., Torino, 1989; Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, rist. 1985; Trabucchi, voce Buon costume, in Enc. dir., Milano, 1959.

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