Codice Civile art. 1374 - Integrazione del contratto.Integrazione del contratto. [I]. Il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo gli usi e l'equità. InquadramentoNell'esecuzione del contratto si deve tenere conto non solo di quanto è stato stabilito in via convenzionale, ma anche delle conseguenze che ne discendono secondo la legge o, in mancanza, secondo gli usi e l'equità. L'integrazione del contratto in base alle fonti indicate dà luogo ad ulteriori obblighi contrattuali, rispetto ai quali vale la disciplina dell'inadempimento (Bianca, 472). È escluso che le parti possano derogare in termini generali alla norma in esame (Rodotà, 102). Secondo una parte della dottrina l'integrazione opera sul piano degli effetti, anche in ragione della collocazione sistematica della disposizione, nel senso che la somma degli effetti del contratto risulta non soltanto da quanto discende dalle clausole elaborate dalle parti, ma anche da quanto deriva dall'applicazione delle fonti integrative indicate dalla norma, ossia la legge, gli usi e l'equità, e inoltre dagli artt. 1339, 1340 e 1349 (Messineo, 1961, 936). Più recentemente altra dottrina ha sminuito la contrapposizione tra contenuto ed effetti del contratto, ritenendo che l'integrazione operi già sul piano strutturale dell'atto e di seguito si trasmetta sul piano funzionale degli effetti (Di Majo, L'esecuzione del contratto, Milano, 1967, 206). In base ad un'ulteriore impostazione occorre distinguere tra accordo dei privati e regolamento contrattuale; per effetto di tale discriminazione si ritiene che il contenuto del regolamento contrattuale dipenda non solo dall'accordo dei privati ma anche dall'integrazione del contratto (Rodotà, 86; Galgano, in Comm. S.B. 1993, 65; Roppo, 122). A fronte delle ricostruzioni innanzi riferite, le quali, riconducendo l'etero-integrazione del contratto all'operatività di fonti diverse dall'attività negoziale dei contraenti, e con essa concorrenti, prescindono dalla valutazione di completezza del relativo regolamento, altre impostazioni sostengono che l'integrazione presuppone una lacuna del contratto, sebbene essa non debba essere tale da rendere l'oggetto indeterminabile (altrimenti ne conseguirebbe la nullità del contratto). In questa prospettiva la lacuna deve essere tale che, senza l'intervento integrativo a cura delle fonti citate, il regolamento sarebbe inattuabile ovvero deve esigere l'introduzione di una certa clausola in concreto, che non sia stata dettata dalle parti, alla stregua delle finalità obiettive della contrattazione approvate dall'ordinamento (Gazzoni, 295). Secondo la S.C. il presupposto dell'integrazione di cui all'art. 1374 è l'incompleta o ambigua espressione della volontà dei contraenti. Ne consegue che, in caso di completa ed inequivoca espressione di tale volontà, non può farsi questione di integrazione del contratto ma eventualmente solo di invalidità totale o parziale dello stesso se in contrasto con disposizioni di legge (Cass. n. 6747/2014; Cass. n. 8577/2002; Cass. n. 5862/1994; Cass. n. 1884/1983). L'art 1374 trova applicazione soltanto in sede di integrazione degli effetti di una già manifestata volontà negoziale; siffatta funzione integrativa non modifica il contratto, con l'aggiungere ad esso qualcosa, in quanto le ulteriori conseguenze, che se ne fanno derivare secondo la legge, gli usi e l'equità, corrispondono all'intento voluto dalle parti (Cass. n. 3065/1972; Cass. S.U., n. 3044/1963). Il principio di etero-integrazione trova applicazione anche per i contratti stipulati dalla P.A. (Cass. n. 6559/1988). La fonte eteronoma della leggeAi fini dell'integrazione del contratto la legge ha un ruolo primario rispetto agli usi e all'equità (Galgano, in Comm. S.B. 1993, 66). L'equità costituisce un criterio residuale (Bianca, 492). Le norme suppletive, ossia dispositive o derogabili di legge concorrono a determinare il contenuto del contratto, salva una diversa previsione delle parti. Le norme imperative di legge si applicano direttamente al rapporto contrattuale, nonostante l'eventuale diversa previsione delle parti (Bianca, 472). Le clausole contrattuali contrarie a norme imperative sono colpite da nullità e sono di diritto automaticamente sostituite da queste (Galgano, in Comm. S.B. 1993, 68). In proposito trovano applicazione gli artt. 1339 e 1419, comma 2. Non trova invece applicazione l'art. 1419, comma 1 (Carresi, in Tr. C. M. 1987, 583; Rodotà, 52). Fattispecie in cui si realizza la determinazione legale del contenuto contrattuale si riscontrano in tema di prezzi imperativi, fissati mediante atti della pubblica amministrazione (Rodotà, 37), di durata del contratto e di corrispettivo nel contratto di locazione, almeno sino a quando hanno operato le prescrizioni sull'equo canone. Anche secondo la giurisprudenza un ruolo prevalente nella prospettiva dell'integrazione del contratto è svolto dalla legge (Cass. n. 3044/1963). È escluso che la sostituzione delle clausole nulle, in quanto contrarie a norme imperative, possa determinare la nullità dell'intero contratto (Cass. n. 555/1978). In base all'etero-integrazione opera per legge, a favore degli acquirenti delle singole unità abitative, il diritto d'uso del parcheggio sui relativi spazi delle nuove costruzioni, anche in contrasto con la volontà contrattuale (Cass. n. 5160/2006; Cass. n. 13143/2003). La fonte eteronoma degli usi normativiLa disposizione si riferisce agli usi normativi o consuetudini, quali fonti sussidiarie del diritto. Le consuetudini consistono in norme non scritte che un ambiente sociale osserva costantemente nel tempo — diuturnitas —, ritenendo che siano giuridicamente rilevanti — opinio iuris ac necessitatis — (Bianca, 339). Esse trovano applicazione in assenza di norme di legge (praeter legem) o quando sono espressamente richiamate dalla legge (secundum legem), secondo quanto previsto dall'art. 8 disp. prel. (Bianca, 490; Galgano, in Comm. S.B., 1993, 65). La natura sussidiaria degli usi normativi nella scala gerarchica delle fonti esclude che esse possano prevalere su una disposizione normativa (contra legem), derogabile o inderogabile che sia (Carresi, in Tr. C.M., 1987, 575; Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 307). In materia contrattuale numerose norme rinviano agli usi: art. 1326, comma 2, art. 1333, comma 2, art. 1454, comma 2, art. 1492, comma 2, art. 1498, comma 2, art. 1510, comma 2, art. 1709. La S.C. aderisce alla nozione innanzi esposta di usi normativi, i quali esigono, oltre al requisito oggettivo o materiale o esteriore della reiterazione uniforme e costante di un certo comportamento, anche il requisito soggettivo o spirituale o psicologico consistente nella consapevolezza di prestare osservanza, operando in un certo modo, ad una norma giuridica, per la convinzione che il comportamento tenuto è giuridicamente obbligatorio, in quanto conforme ad una norma che già esiste o che si reputa debba fare parte dell'ordinamento giuridico (Cass. S.U., n. 21095/2004; Cass. n. 3096/1999; Cass. n. 4388/1985; Cass. n. 1079/1972; Cass. n. 183/1972). La regola dell'integrazione del contratto secondo gli usi opera esclusivamente in relazione a quegli effetti del contratto in ordine ai quali le parti non hanno espresso la loro volontà ovvero vi hanno provveduto in maniera lacunosa e va quindi esclusa quando le parti hanno compiutamente e univocamente regolato gli effetti del contratto e il contenuto delle loro prestazioni (Cass. n. 1884/1983; Cass. n. 4093/1977). Gli usi normativi vincolano le parti anche se queste non vi hanno fatto sia pure tacito riferimento e non ne hanno avuto conoscenza (Cass. n. 2147/1974; Cass. n. 2259/1964); infatti gli usi normativi obbligano le parti anche se da esse ignorati (in quanto l'applicazione degli stessi è esclusa soltanto ove risulti con certezza che i contraenti non abbiano voluto riferirsi ad essi) e prevalgono sulle stesse norme di legge aventi carattere dispositivo (Cass. n. 5135/2007). Avendo il giudice l'obbligo di conoscere la legge, ma non anche gli usi, questi ultimi, ove il giudice non ne sia a conoscenza, debbono essere provati (anche per quanto riguarda l'elemento dell'opinio iuris ac necessitatis) a cura della parte che li allega, e la relativa prova non può essere fornita per la prima volta nel giudizio di legittimità (Cass. n. 4853/2007; Cass. n. 864/1965). La fonte eteronoma dell'equitàL'equità assume rilevanza come criterio concorrente nella determinazione degli effetti giuridici del contratto, mentre non vale ad attribuire al giudice un potere modificativo del contenuto contrattuale eventualmente iniquo, né interpretativo del medesimo, già completo in tutti i suoi elementi (Bianca, 492). L'equità non deve essere intesa come un richiamo a norme extragiuridiche, ossia come criterio metagiuridico di valutazione, bensì nel senso che il contratto deve essere valutato secondo criteri di logica giuridica (Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 307). Affinché possa operarsi un simile richiamo occorre un'espressa norma in tal senso, come accade nell'ipotesi regolata dall'art. 1384 (Bianca, 490). In base all'equità i singoli interessi devono essere contemperati in relazione all'economia dell'affare (Bianca, 578). Le clausole “secondo accordi a venire” e “a condizioni eque” implicano conseguenze diverse: nel primo caso, in difetto di accordo, il contratto è nullo per indeterminatezza dell'oggetto; nel secondo, si dà luogo all'integrazione ai sensi dell'art. 1374 (Sacco, in Tr. Vas. 1975, 561). La funzione dell'equità è puramente suppletiva, nel senso che colma le lacune non coperte dagli usi o da altre legittime fonti, ma non è un canone interpretativo del contratto già completo in tutti i suoi elementi (Cass. n. 4626/1983). L'equità costituisce un elemento sussidiario per derivare dalle norme contrattuali elementi apprezzabili al fine di determinare i limiti e il contenuto delle obbligazioni contratte; essa va intesa non come richiamo di norme extragiuridiche per un giudizio secondo equità in luogo di una pronuncia secondo diritto, bensì nel senso che il contratto deve essere valutato secondo corretti criteri di logica giuridica per la determinazione di norme, ma integrativa o sussidiaria per un puntuale adattamento della norma al caso concreto; essa opera nell'ambito di quest'ultima e s'inquadra in un giudizio di diritto (Cass. n. 1189/1965). 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