Codice Civile art. 1375 - Esecuzione di buona fede.

Cesare Trapuzzano

Esecuzione di buona fede.

[I]. Il contratto deve essere eseguito secondo buona fede [1337, 1358, 1366, 1460].

Inquadramento

L'esecuzione del contratto deve avvenire nel rispetto del canone di buona fede in senso oggettivo, inteso quale regola o criterio di valutazione del comportamento, in contrapposizione alla buona fede in senso soggettivo, che rileva come stato psicologico in cui versa la parte (Galgano, in Comm. S.B. 1993, 95; Bianca, 473). La buona fede oggettiva evocata dalla norma costituisce applicazione in sede contrattuale del più generale principio di correttezza previsto dall'art. 1175, senza che sia ravvisabile una precisa distinzione tra i due concetti (Messineo, 1961, 937; Bianca, 437; Rodotà, 133). La buona fede in sede contrattuale rileva, oltre che nella fase esecutiva, anche nella fase di formazione e conclusione del negozio, in chiave interpretativa e nella situazione di pendenza della condizione sospensiva. La disposizione che impone l'osservanza del canone di buona fede in sede di esecuzione del contratto non è derogabile (Bianca, 473; Rodotà, 180). In ragione di una prima opinione la regola di buona fede assurge al rango di elemento integrativo del regolamento contrattuale mediante il richiamo alla legge quale fonte di integrazione del contratto, sicché la previsione della norma sarebbe sistematicamente collegata con la norma precedente, che ne costituirebbe il fondamento giustificativo (Rodotà, 175). In questa dimensione la buona fede, configurandosi come clausola generale, consente un'articolazione dell'ordinamento sulla base dei principi desumibili dalla Costituzione (Rodotà, 135). Nella stessa prospettiva si è affermata la funzione integrativa della buona fede, la quale permette di determinare la prestazione dovuta dai contraenti (Galgano, in Comm. S.B. 1993, 97; Bianca, 472). In base ad altra corrente di pensiero si è sostenuto che la buona fede, intesa come correttezza, assume rilievo nella fase di attuazione del rapporto obbligatorio quale criterio di valutazione da parte del giudice del comportamento delle parti (Natoli, L'attuazione del rapporto obbligatorio, I, in Tr. C. M., II, 1988, 170), al fine di attenuare il rigido giudizio di conformità di tale comportamento alla legge; e ciò attraverso una valutazione in concreto e a posteriori del giudicante (Bigliazzi Geri, Buona fede nel diritto civile, in Dig. civ., II, 1988, 170). Sicché la clausola attiene alla dinamica e non alla statica del rapporto. Pertanto la buona fede rilevante in executivis concerne le modalità di esecuzione della prestazione dovuta, offrendo al giudice un parametro per governare la discrezionalità delle parti nell'esecuzione del contratto (Di Majo, Delle obbligazioni in generale, in Comm. S.B., Bologna, 1985, 315).

La giurisprudenza attribuisce rilevanza primaria al ruolo della buona fede in sede di integrazione del rapporto (Cass. n. 960/1986). Al riguardo la buona fede nell'esecuzione del contratto si sostanzia in un generale obbligo di solidarietà che impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere tanto da specifici obblighi contrattuali, quanto dal dovere extracontrattuale del neminem laedere, trovando tale impegno solidaristico il suo limite precipuo unicamente nell'interesse proprio del soggetto, tenuto pertanto al compimento di tutti gli atti giuridici e/o materiali che si rendano necessari alla salvaguardia dell'interesse della controparte, nella misura in cui essi non comportino un apprezzabile sacrificio a suo carico (Cass. n. 8494/2020; Cass. n. 10182/2009; Cass. n. 5348/2009; Cass. n. 13345/2006; Cass. n. 264/2006; Cass. n. 20399/2004).

I doveri strumentali secondo buona fede

La buona fede, intesa come lealtà e correttezza che amplia il regolamento contrattuale, costituisce fonte di obblighi integrativi di protezione e sicurezza; cola conseguenza che nella fase attuativa è imposto alle parti il rispetto di doveri integrativi e strumentali di avviso, informazione, solidarietà e protezione nei confronti della persona e dei beni della controparte (Bianca, 474; Rodotà, 130). Sicché la buona fede esprime una concreta esigenza di solidarietà e si cristallizza come obbligo di salvaguardia dell'utilità della controparte nei limiti in cui ciò non ne importi un apprezzabile sacrificio (Bianca, 474). Sul piano pratico, nel rispetto di tale canone, non è consentito suscitare e speculare su falsi affidamenti ovvero contestare ragionevoli affidamenti ingenerati (Bianca, 479). Anche un mero contegno di inerzia può costituire violazione del parametro di buona fede (Bianca, 480). Secondo la tesi che attribuisce alla buona fede una valenza dinamica di criterio di valutazione di comportamenti, siffatti doveri non promanerebbero dal canone di correttezza; si tratterebbe invece di doveri che già risultano dalle discipline dei singoli tipi contrattuali, come il dovere di informazione, ovvero che sono già coperti dalla clausola generale dell'art. 2043, sicché la loro elencazione appare o puramente ripetitiva o inutile (Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, Obbligazioni e contratti, 3, Torino, 1989, 70).

L'abuso del diritto costituisce espressione della regola di buona fede (Cass. n. 17642/2012). Esso non è ravvisabile nel solo fatto che una parte del contratto abbia tenuto una condotta non idonea a salvaguardare gli interessi dell'altra, quando tale condotta persegua un risultato lecito attraverso mezzi legittimi, essendo invece configurabile allorché il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà sono attribuiti (Cass. n. 15885/2018; Cass. n. 10568/2013; Cass. n. 8567/2012; Cass. n. 20106/2009). La buona fede impone di evitare il pregiudizio dell'interesse della controparte alla corretta esecuzione dell'accordo ed al conseguimento della relativa prestazione (Cass. n. 19879/2011). In virtù di tale principio ciascuna parte è tenuta da un lato ad adeguare il proprio comportamento in modo da salvaguardare l'utilità della controparte e dall'altro a tollerare anche l'inadempimento della controparte che non pregiudichi in modo apprezzabile il proprio interesse (Cass. n. 5240/2004). Secondo la giurisprudenza, ai fini dell'inadempimento al canone di correttezza può essere sufficiente anche un comportamento di mera inerzia (Cass. 2500/1986). La violazione della buona fede non richiede un proposito doloso di recare pregiudizio alla controparte, ma è sufficiente che ricorra una condotta sleale, ossia non improntata alla diligente correttezza (Cass. n. 3185/2003; Cass. n. 14726/2002; Cass. n. 868/1988; Cass. n. 960/1986). Così la deliberazione di esclusione del socio per morosità, nonostante la richiesta da parte di quest'ultimo di chiarimenti e la manifestata disponibilità a pagare la somma richiesta, una volta accertatane la motivazione, costituisce reazione sproporzionata e lesiva del criterio della buona fede oggettiva (Cass. n. 22097/2013).

La riconduzione della presupposizione alla buona fede

Controversa è la rilevanza giuridica dell'istituto della presupposizione o base negoziale. Accanto alle teorie che attribuivano alla presupposizione il ruolo di condizione non sviluppata del negozio (Santoro Passarelli, 194) o di errore sul motivo del contratto (Rescigno, voce Condizione, in Enc. dir. 1961, 788), è stata sviluppata anche l'impostazione secondo cui la presupposizione avrebbe attinenza con il canone di buona fede oggettiva. In specie si è argomentata la rilevanza giuridica della presupposizione quale clausola risolutiva tacita, che si può implicitamente desumere dal complesso di circostanze oggettive interessanti la formazione e l'esecuzione del contratto (Girino, voce Presupposizione, in Nss. D.I. 1966, 783), ovvero che risulti da un insieme di indici obiettivi di valutazione dell'economia del contratto (Bessone-D'Angelo, voce Presupposizione, in Enc. dir. 1986, 326). Tuttavia secondo l'opinione prevalente la presupposizione trova fondamento nell'art. 1467 e si sostanzia in un evento non prevedibile che, verificandosi nel corso del rapporto contrattuale, incide sulla situazione economica originariamente contemplata dai contraenti, consentendo l'esperimento del rimedio della risoluzione per eccessiva onerosità.

La giurisprudenza aderisce ad una ricostruzione della presupposizione volta a ricondurla nell'ambito delle sopravvenienze. In tema di rapporti giuridici sorti da contratto la presupposizione deve intendersi come figura giuridica che si avvicina da un lato ad una particolare forma di condizione, da considerarsi implicita e comunque certamente non espressa nel contenuto del contratto e dall'altro alla stessa causa del contratto, intendendosi per causa la funzione tipica e concreta che il contratto è destinato a realizzare; il suo rilievo resta dunque affidato all'interpretazione della volontà contrattuale delle parti, da compiersi in relazione ai termini effettivi del negozio giuridico dalle medesime stipulato. Deve pertanto ritenersi configurabile la presupposizione tutte le volte in cui dal contenuto del contratto si evinca che una situazione di fatto, considerata, ma non espressamente enunciata dalle parti in sede di stipulazione del medesimo, quale presupposto imprescindibile della volontà negoziale, venga successivamente mutata dal sopravvenire di circostanze non imputabili alle parti stesse, in modo tale che l'assetto che costoro hanno dato ai loro rispettivi interessi venga a trovarsi a poggiare su una base diversa da quella in forza della quale era stata convenuta l'operazione negoziale, così da comportare la risoluzione del contratto stesso ai sensi dell'art. 1467 (Cass. n. 6631/2006).

Le conseguenze della violazione della buona fede in fase esecutiva

La violazione del canone di buona fede in fase esecutiva dà luogo a responsabilità contrattuale. Inoltre può comportare l'invalidità dell'atto o la sua conservazione all'esito della sostituzione dei precetti che discendono dalla clausola di buona fede alla parte del contenuto contrattuale affetta da tale difformità. La sostituzione opera di diritto, benché in fatto richieda l'intervento giudiziale (Rodotà, 182).

Il principio di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto, espressione del dovere di solidarietà fondato sull'art. 2 Cost., impone a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra e costituisce un dovere giuridico autonomo a carico di entrambe, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da norme di legge; ne consegue che la sua violazione costituisce di per sé inadempimento e può comportare l'obbligo di risarcire il danno che ne sia derivato (Cass. n. 9200/2021; Cass. n. 1618/2009; Cass. n. 21250/2008; Cass. n. 23273/2006; Cass. n. 2855/2005). Anche la facoltà prevista nel contratto di recesso ad nutum non esime il giudice dalla verifica del suo esercizio secondo buona fede oggettiva (Cass. n. 10324/2020).

Bibliografia

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