Codice Civile art. 1381 - Promessa dell'obbligazione o del fatto del terzo.Promessa dell'obbligazione o del fatto del terzo. [I]. Colui che ha promesso l'obbligazione o il fatto di un terzo è tenuto a indennizzare l'altro contraente, se il terzo rifiuta di obbligarsi o non compie il fatto promesso [1372]. InquadramentoLa promessa dell'obbligazione o del fatto del terzo si realizza quando il promittente si impegna nei confronti del promissario in ordine al fatto che un terzo soggetto si obblighi o compia una certa prestazione. L'accodo così raggiunto ha efficacia obbligatoria tra le parti e non fa sorgere alcun obbligo con riguardo al terzo (Alcaro, 70). La dottrina prevalente assegna alla promessa del fatto del terzo natura contrattuale; segnatamente si tratterebbe di contratto di prestazione di garanzia, in cui il mancato comportamento del terzo sarebbe condizione dell'obbligazione del garante, con la conseguenza che attraverso la promessa il promittente sopporterebbe il rischio del rifiuto del terzo (Scalfi, 79). Altra opinione riconduce la fattispecie alla categoria delle promesse che possono integrare un contratto o consistere in un atto unilaterale, purché sorretto da causa adeguata (Graziani, Le promesse unilaterali, in Tr. Res., IX, 1989, 659). La promessa può essere a titolo oneroso o gratuito, dovendosi fare riferimento ai termini del rapporto tra promittente e stipulante (Alcaro, 78). Il contratto con cui si assume la promessa è a forma libera e può essere provato con ogni mezzo (Scalfi, 90). In senso parzialmente difforme si ritiene che ove il patto sia accessorio ad un negozio che richiede la forma scritta ad substantiam anche il patto deve rivestire la stessa forma a pena di nullità (Alcaro, 79). La promessa del fatto del terzo si connota per la funzione di garanzia di un determinato risultato (Cass. n. 9114/2020). Il terzo rimane del tutto estraneo alla stipulazione (Cass. n. 1110/1980). L'obbligo assunto dal terzo deve risultare in modo certo e univoco, non occorrendo tuttavia un'espressa dichiarazione di volontà (Cass. n. 1556/1980; Cass. n. 757/1978; Cass. n. 1531/1964; Cass. n. 2995/1963). Secondo la S.C. la promessa non richiede la forma scritta neanche quando abbia ad oggetto il trasferimento di beni immobiliari ad opera del terzo (Cass. n. 3601/1974). Quando l'inserimento della promessa del fatto del terzo è operato nel contesto di altro contratto a prestazioni corrispettive, con effetti integrativi dell'obbligazione gravante su uno dei contraenti a vantaggio dell'altro, sì da condizionare la funzionalità causale del contratto stesso, l'autonomia dei due negozi deve per questa compenetrazione causale ritenersi venuta meno ed il mancato adempimento del terzo, libero in quanto estraneo alla promessa di compiere o non compiere il fatto promesso, è inadempimento colpevole del promittente per il fatto stesso di aver assunto un impegno da adempiersi dal terzo senza essere sicuro che questi avrebbe adempiuto (Cass. n. 2699/1996; Cass. n. 5216/1993; Cass. n. 2480/1968). La natura dell'obbligo assunto dal promittenteSecondo una prima opinione la promessa del fatto del terzo integra un'autonoma obbligazione del promittente verso il promissario, avente ad oggetto un facere, ossia l'adoperarsi affinché il terzo compia il fatto promesso (Cherubini, 30; Alcaro, 78; Messineo, 1961, 974). Altra dottrina si esprime invece in termini di obbligazione di indennità, subordinata alla condizione legale sospensiva, negativa e casuale della non assunzione dell'obbligo o del non conseguimento del fatto da parte del terzo (Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 329). Altra tesi propende per la ricostruzione in termini di obbligazione di garanzia, intesa come assunzione del rischio di un evento sfavorevole, rientrante nello schema assicurativo (Giorgianni, L'inadempimento, III, Milano, 1975, 274; Scalfi, 47). Altri qualifica la promessa come obbligazione di risultato cui si obbliga il promittente e di cui lo stesso risponde (Bianca, L'obbligazione del fatto del terzo, Diritto civile, IV, L'obbligazione, Milano, 1990, 120). Secondo la giurisprudenza prevalente con la promessa del fatto del terzo il promittente assume una prima obbligazione di facere, consistente nell'adoperarsi affinché il terzo si impegni o tenga il comportamento promesso, onde soddisfare l'interesse del promissario, ed una seconda obbligazione di dare, cioè di corrispondere l'indennizzo nel caso in cui nonostante si sia adoperato il terzo si rifiuti di obbligarsi o di tenere il comportamento oggetto della promessa, sicché, qualora l'obbligazione di facere non venga adempiuta e l'inesecuzione, totale o parziale, sia imputabile al promittente, il promissario avrà a disposizione gli ordinari rimedi contro l'inadempimento (quali la risoluzione del contratto, l'azione di inadempimento, l'azione di adempimento), mentre se nonostante l'esatto adempimento dell'obbligazione di facere, il promissario non abbia ottenuto il risultato sperato a causa del rifiuto del terzo, diverrà attuale l'altra obbligazione di dare, in virtù della quale il promittente sarà tenuto a corrispondere l'indennizzo (Cass. n. 19873/2023; Cass. n. 24853/2014; Cass. n. 13105/2004; Cass. n. 19472/2003; Cass. n. 1137/2003). Altra pronuncia qualifica l'obbligazione assunta dal promittente come pura obbligazione di facere (Cass. n. 12118/1992). Altri arresti valorizzano l'obbligazione assunta dal promittente nei termini di obbligazione di risultato (Cass. n. 19/1975). L'oggetto della promessaIl promittente si obbliga a che un terzo tenga un certo comportamento, positivo o negativo. Quest'ultimo può consistere nella stipulazione o non stipulazione di un negozio giuridico, nell'assunzione di un'obbligazione, nella rinuncia ad un diritto, nell'astensione da un acquisto, nell'esecuzione di opera materiale (Bianca, cit., 114; Carresi, in Tr. C. M. 1987, 671). La promessa del fatto altrui contenuta in un testamento è giuridicamente irrilevante (Scalfi, 79). Ove il terzo non sia identificato o la prestazione dallo stesso dovuta sia illecita, impossibile o indeterminata, la promessa è nulla; mentre deve essere ritenuta valida la promessa del fatto di un incapace, quando i contraenti siano a conoscenza del suo stato; ove ne siano all'oscuro si ricade nella problematica dell'errore (Scalfi, 111). Oggetto della promessa può essere non soltanto il fatto materiale del terzo ma anche il compimento di un'attività negoziale da parte del medesimo (Cass. n. 3601/1974). Il fatto promesso può essere anche quello della pubblica amministrazione, come il rilascio del certificato di abitabilità o della licenza edilizia (Cass. n. 12507/1993; Cass. n. 1991/1987; Cass. n. 3524/1983). Le conseguenze dell'inattuazione della promessaAll'esito della promessa assunta dal promittente può conseguirne l'adempimento quando il terzo si obblighi verso il promissario o compia in suo favore il fatto promesso. Viceversa, quando il terzo rifiuti di obbligarsi o di compiere il fatto, il promittente ha l'obbligo di corrispondere un indennizzo in favore del promissario; e ciò alla stregua del dato obiettivo del rifiuto da parte del terzo di obbligarsi o di dare esecuzione alla prestazione (Alcaro, 81). Invece l'obbligazione del terzo o il fatto del terzo, all'esito del suo rifiuto, non può costituire oggetto di esecuzione in forma specifica, poiché il terzo è estraneo alla promessa e non ha assunto alcun obbligo verso il promissario (Carresi, in Tr. C. M. 1987, 671). Il promittente è però liberato se il comportamento del terzo è dovuto ad un fatto non imputabile al terzo stesso (Alcaro, 81). Infatti l'indennità non è dovuta quando l'inattuazione non dipenda da mancanza di volontà del terzo di assolvere a quanto costituisce oggetto della promessa, ma da obiettive cause impeditive che integrino un'impossibilità definitiva e assoluta; ove l'impossibilità sia parziale, potrà farsi ricorso all'applicazione dell'art. 1464; nel caso di impossibilità temporanea, l'indennità sarà dovuta ove alla cessazione di questa permanga l'interesse del promissario e intervenga il rifiuto del terzo; nel caso di mancanza di un termine potranno applicarsi i criteri di cui all'art. 1256, comma 2 (Cherubini, 40). Al contempo il promittente non è responsabile qualora il terzo assuma l'obbligazione verso il promissario, ma rimanga poi inadempiente (Alcaro, 82). Secondo un filone della dottrina non si rientrerebbe nella fattispecie in esame quando il promittente si obblighi ad ogni cura per indurre il terzo a compiere un determinato atto, o in cui vi sia l'assunzione espressa dell'obbligo di pagare una penale o di risarcire i danni nel caso di rifiuto del terzo; sicché la norma in commento costituirebbe una norma di interpretazione particolare di un negozio inadeguato nella sua formulazione (Scalfi, 27). Quando la promessa sia inserita in un negozio a prestazioni corrispettive, il promissario può avvalersi degli ordinari rimedi contro l'inadempimento e in particolare della risoluzione (Bianca, cit., 115). Qualora il terzo divenga incapace successivamente alla promessa, potrà essere integrata l'ipotesi del suo rifiuto solo nel caso di inabilitazione, ove il curatore acconsenta e l'inabilitato rifiuti; il rifiuto non è integrato nel caso di incapacità naturale del terzo, poiché esso presuppone la capacità di intendere e di volere del terzo stesso (Scalfi, 127). L'adempimento del contratto si realizza in conseguenza dell'assunzione ad opera del terzo dell'obbligazione o per il fatto del terzo (Cass. n. 3601/1974; Cass. n. 1050/1969). Il promittente nel caso di rifiuto del terzo, non può eseguire la prestazione promessa in luogo del terzo (Cass. n. 1991/1987). Ove il fatto del terzo non corrisponda esattamente a quanto promesso contrattualmente, ma il promissario accetti comunque tale fatto in sostituzione o lo ritenga satisfattivo dei suoi interessi, si avrà ugualmente esecuzione della promessa ai sensi dell'art. 1197 (Cass. n. 1488/1966; Cass. n. 2995/1963). Per l'inammissibilità dell'esecuzione in forma specifica è orientata anche la S.C. (Cass. n. 1991/1987; Cass. n. 822/1983; Cass. n. 2363/1981). L'impossibilità sopravvenuta, in quanto causa di estinzione delle obbligazioni avente portata generale, esplica la sua efficacia estintiva anche in relazione alla promessa del fatto del terzo (Cass. n. 5347/1998). Le conseguenze derivanti dal mancato compimento del fatto promesso, per il rifiuto del terzo di obbligarsi o di tenere il comportamento oggetto della promessa, devono essere graduate sulla base della condotta in concreto mantenuta dal promittente, nel senso che questi è tenuto al mero indennizzo nel caso in cui sia stato diligente nell'attivarsi presso il terzo onde soddisfare l'interesse del promissario ed è obbligato invece a risarcire i danni secondo le generali regole risarcitorie allorquando siano ravvisabili colpa o negligenza e il promissario dia la prova degli effettivi danni subiti in conseguenza dell'inadempimento (Cass. n. 4539/2004; Cass. n. 19472/2003; Cass. n. 12973/1995). L'obbligo di corrispondere l'indennizzo non presuppone l'imputabilità dell'inadempimento, incentrata sulla valutazione di diligenza del debitore (Cass. n. 5216/1993; Cass. n. 12118/1992; Cass. 1379/1980; Cass. n. 4449/1976). Nondimeno un arresto ha evidenziato che il promittente ha l'onere di allegare e provare fatti eventualmente escludenti la sua responsabilità (Cass. n. 4872/1979). Nell'ipotesi in cui con un unico contratto una parte prometta il fatto del terzo e in via alternativa si impegni a risarcire il promissario per la mancata prestazione del terzo, un'eventuale causa di invalidità della seconda obbligazione non fa venir meno la prima (Cass. n. 4205/1975). La natura dell'indennizzoL'indennizzo non è indicativo di una prestazione avente carattere sanzionatorio (Bianca, cit., 115). L'ammontare dell'indennizzo deve essere commisurato unicamente all'utilità non conseguita dal promissario (Cherubini, 51; Alcaro, 81; Scalfi, 134). Un autore ritiene però che l'indennizzo segua sostanzialmente un criterio di liquidazione risarcitorio, sicché è problematica una distinzione netta dal risarcimento dei danni (Scognamiglio, Indennità, in Nss. D.I. 1962, 594). Diversamente dal risarcimento dei danni, il quale tende a ricostruire la situazione patrimoniale del danneggiato lesa dal comportamento illegittimo del danneggiante, l'indennizzo è volto a compensare la lesione di interessi altrui conseguente al legittimo esercizio di un diritto (Cass. n. 8614/1997; Cass. n. 3228/1984). Sicché deve essere liquidato, in assenza di espressa determinazione delle parti, con criteri equitativi (Cass. n. 6984/1991, in Foro it. 1992, I, 1248, con nota di Ponzanelli). Costituisce modifica ammissibile in appello la richiesta di indennizzo, a fronte della domanda avanzata in primo grado di adempimento dell'obbligo contrattuale originariamente assunto dal promittente, quando sia sopravvenuto il rifiuto del terzo, costituendo tale modifica una mera riduzione della domanda iniziale (Cass. n. 17168/2012). Viceversa, qualora sia chiesto in primo grado il risarcimento dei danni, è domanda nuova inammissibile in appello la richiesta dell'indennizzo (Cass. n. 8522/1996). Ove le parti abbiano previamente pattuito la misura dell'indennizzo, non si ricade comunque nella fattispecie della clausola penale e dunque esso non è suscettibile di riduzione (Cass. n. 13120/1997). Le lettere di patronageSolo le lettere di patronage forti possono essere ricondotte allo schema della promessa dell'obbligazione o del fatto del terzo, costituendo garanzie atipiche (Mazzoni, Lettere di patronage, in Dig. civ. 1992, 574). Una parte della giurisprudenza riconduce le lettere di patronage alle promesse del fatto del terzo (Cass. n. 32026/2019; Trib. Bologna 14 settembre 1988; Trib. Milano 1 dicembre 1983; App. Roma 4 ottobre 1978); altra giurisprudenza ritiene che si tratti di promesse unilaterali atipiche del fatto proprio (Trib. Roma 18 luglio 1985); infine altra impostazione ritiene che l'istituto debba essere esaminato nell'ambito della responsabilità extracontrattuale (App. Roma 17 ottobre 1989). La distinzione dalla vendita di cosa altrui e dalla fideiussioneL'ipotesi in cui il promittente abbia promesso una data attività negoziale del terzo si differenzia dalla vendita di cosa altrui poiché il promittente si impegna a far vendere la cosa dal terzo proprietario direttamente al promissario mentre nella vendita di cosa altrui il venditore si obbliga ad acquistare la cosa dal terzo (Alcaro, 83; Bianca, cit., 117). La dottrina fonda la distinzione tra promessa dell'obbligazione del terzo e fideiussione sul fatto che l'obbligazione assunta dal promittente ha carattere del tutto autonomo dall'obbligazione eventualmente assunta dal terzo (Alcaro, 83; Briganti, Fideiussione e promessa del fatto altrui, Camerino, 1981, 143). Viceversa nella fideiussione il terzo è obbligato ad eseguire la medesima prestazione del debitore garantito. Pertanto chi promette il fatto altrui non diviene obbligato a compiere quel fatto, ma è tenuto a che il terzo lo compia; chi garantisce l'obbligazione altrui diviene obbligato egli stesso ad eseguire tale obbligazione (Bianca, cit., 116). Sulla distinzione tra promessa dell'obbligazione negoziale del terzo e vendita di cosa altrui si esprime negli stessi termini la giurisprudenza, secondo cui la vendita o la promessa di vendita di cosa altrui non integra una promessa del fatto del terzo, in quanto con essa il venditore (o il promittente venditore) assume in proprio l'obbligazione del trasferimento del bene (Cass. n. 12410/2001; Cass. n. 3839/1983; Cass. n. 2995/1963). Nella promessa dell'obbligazione o del fatto del terzo l'obbligo assunto dal promittente verso il promissario consiste nell'adoperarsi affinché il terzo si obblighi a fare, ovvero faccia, ciò che il promittente medesimo ha promesso alla propria controparte, sicché il rifiuto del terzo non libera il primo, il quale è tenuto a indennizzare il promissario, mentre la fideiussione assolve alla funzione di garantire un obbligo altrui già (pre)esistente secondo lo schema previsto dall'art. 1936, affiancando al primo un secondo debitore di pari o diverso grado (Cass. n. 16225/2003; Cass. n. 15235/2001; Cass. n. 2965/1990). BibliografiaAlcaro, Promessa del fatto del terzo, in Enc. dir., Milano, 1988; Bavetta, La caparra, Milano, 1963; Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 1997; Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, Diritto civile, 1.2, Fatti e atti giuridici, Torino 1990; Cariota Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, 1949; Cataudella, I contratti. 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