Codice Civile art. 1383 - Divieto di cumulo.Divieto di cumulo. [I]. Il creditore non può domandare insieme la prestazione principale e la penale, se questa non è stata stipulata per il semplice ritardo. InquadramentoQualora la penale sia stata pattuita per l'inadempimento, il creditore non può richiedere contestualmente l'adempimento della prestazione principale e la penale. La prestazione principale potrà invece essere richiesta unitamente alla penale quando quest'ultima sia stata stabilita per il ritardo. Nulla esclude che le parti possano prevedere una penale per l'inadempimento e una per il ritardo; in tal caso potranno essere richieste entrambe le penali, ma è comunque preclusa la richiesta della prestazione principale (De Nova, 380). Sotto il profilo della ratio del divieto di cumulo un filone della dottrina ritiene che la norma avrebbe un fondamento meramente logico (Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 337), poiché se l'inadempimento è definitivo, non potrà aversi azione per l'adempimento della prestazione principale; se non è definitivo, si rientrerà ancora nell'ipotesi del ritardo e dunque non potrà esservi azione per una penale pattuita per l'inadempimento definitivo. In questa prospettiva il contenuto precettivo della disposizione è stato ritenuto addirittura superfluo, potendo comunque il divieto di cumulo ricavarsi dai principi generali dell'ordinamento (Marini, 168). Ma in senso contrario altra impostazione evidenzia che l'inadempimento definitivo non sempre preclude l'azione di adempimento, quando la prestazione sia ancora possibile e permanga l'interesse del creditore, sicché il divieto di cumulo avrebbe comunque una concreta portata precettiva; in ogni caso le pretese contemplate nel divieto di cumulo possono essere entrambe esercitate, subordinando la penale alla mancata esecuzione dell'obbligazione principale, ipotesi che non viola la prescrizione sul divieto (Bianca, Diritto civile, V, La Responsabilità, Milano, 1994, 230). Inoltre il divieto si riferisce all'inadempimento della medesima obbligazione, sicché non è impedito di richiedere la penale prevista per l'inadempimento di una certa obbligazione e l'adempimento coattivo delle altre obbligazioni contemplate nello stesso contratto (Bianca, cit., 230; Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 337). Pertanto secondo un autore il concorso tra adempimento e penale convenuta per l'inadempimento è ammissibile ogni volta che sia sostanzialmente possibile (Marini, 167). Con riferimento al profilo funzionale del rapporto tra obbligazioni secondo un primo indirizzo la prestazione principale e la penale per l'inadempimento costituirebbero oggetto di obbligazioni in concorso alternativo, sebbene non si tratti né di obbligazioni alternative né di obbligazioni facoltative (Magazzù, 193). In base ad altra opinione la penale si sostituirebbe all'obbligazione principale nel contesto di una conversione analoga a quella che normalmente si verifica in caso di inadempimento cui consegue una tutela risarcitoria (Marini, 168). La norma che vieta il cumulo nel caso indicato è inderogabile, con la conseguenza che un'eventuale pattuizione di segno contrario sarà affetta da nullità (De Nova, 380; contra Trimarchi, 1954, 105). Il giudizio espresso dal giudice di merito sulla cumulabilità della prestazione principale con la penale, per essere stata quest'ultima pattuita per il ritardo, si risolve in un accertamento di fatto riservato alla competenza esclusiva del predetto giudice (Cass. n. 751/1969). Nondimeno, secondo la giurisprudenza, non è vietato alle parti, nell'ambito dell'autonomia della loro volontà, il cumulo dell'esecuzione coattiva delle ulteriori obbligazioni con il pagamento della penale che sia stata stabilita per l'inadempimento di una delle obbligazioni principali del contratto, quale quella di stipulare l'atto pubblico di vendita e di divisione entro un termine espressamente stabilito (Cass. n. 1807/1963; Cass. n. 4568/1957). La penale per l'inadempimentoQuando la penale sia stata concordata per l'inadempimento, il creditore, maturato il presupposto dell'inadempimento, potrà scegliere se agire per l'adempimento della prestazione inadempiuta, ma in tal caso non potrà richiedere la penale, ovvero se agire per la risoluzione, ma in tal caso potrà richiedere la sola penale e non l'adempimento della prestazione principale; potrà chiedere la penale anche quando abbia inizialmente promosso il giudizio per ottenere l'adempimento e ciò fino a quando non abbia effettivamente conseguito la prestazione principale (Carresi, in Tr. C. M. 1987, 255; Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 339); ed infatti l'efficacia preclusiva del divieto di cumulo è ricondotta non alla semplice domanda ma all'effettiva esecuzione della prestazione (Trimarchi, 1954, 103). Per converso l'adempimento della prestazione principale non può più essere richiesto una volta che il creditore abbia promosso il giudizio per richiedere il pagamento della penale pattuita, in applicazione del principio secondo cui electa una via non datur recursus ad alteram di cui all'art. 1453, comma 2 (De Nova, 380; contra Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 339). La penale può essere richiesta senza la necessità di proporre domanda di risoluzione del contratto (De Nova, 380; Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 339); è comunque possibile la congiunta domanda di risoluzione e di pagamento della penale per l'inadempimento (Bianca, cit., 231). La scelta compete al creditore, ma nel caso in cui questi non se ne avvalga, chiedendo le due prestazioni cumulativamente, essa non passa al debitore poiché non si tratta di obbligazioni alternative, sicché entrambe le domande non potranno trovare accoglimento per violazione del divieto (Bianca, cit., 230). Non è pacifico in dottrina se il creditore possa richiedere il risarcimento del danno secondo i criteri ordinari, previa dimostrazione della sua esistenza e del suo effettivo ammontare, in sostituzione della richiesta della penale. L'ordinamento contempla specificamente tale possibilità per il solo istituto della caparra confirmatoria, mentre con riguardo alla disciplina della penale è espressamente previsto che la pattuizione della clausola importa la limitazione del danno all'importo stabilito nella penale alla condizione processuale che l'esistenza della penale sia dedotta in giudizio dallo stesso creditore ovvero in via di eccezione dal debitore, sicché è precluso al creditore rinunciare alla penale e chiedere il risarcimento dei danni onerandosi della prova del suo ammontare e senza soggiacere alle limitazioni quantitative previste nella clausola (Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 339; Magazzù, 194). In senso contrario invece altro autore afferma che ricorre la possibilità di un'applicazione analogica dell'art. 1385, comma 3, con riferimento alla penale, alla stregua dell'identità di ratio tra i due istituti, con la conseguenza che il creditore per effetto dell'inadempimento potrebbe abdicare alla penale e domandare l'integrale risarcimento dei danni, senza però usufruire del beneficio dell'esonero dalla dimostrazione dell'effettiva entità del danno, che spetta solo nel caso in cui questi si avvalga della penale, e con il rischio di ottenere una riparazione di entità inferiore alla misura della penale previamente concordata (Trimarchi, 1954, 73). È invece pacificamente ammessa la richiesta del risarcimento del danno nella sua interezza qualora nella penale sia espressamente prevista la risarcibilità del danno ulteriore (De Nova, 380). Nelle obbligazioni di durata assistite da una clausola penale il divieto di cumulo fra la prestazione principale e la penale concerne le sole prestazioni già maturate ed inadempiute, ma non anche quelle non ancora maturate, non coperte dalla penale, giacché in caso contrario il debitore potrebbe sottrarsi all'obbligazione attraverso il proprio inadempimento (Cass. n. 6015/2018; Cass. n. 24910/2015; Cass. n. 2976/2005). Nel caso in cui il creditore abbia adito l'autorità giudiziaria con due distinte domande, una volta ad ottenere l'adempimento della prestazione principale e l'altra volta ad ottenere la penale stabilita per l'inadempimento, il giudice deve ritenere che, in analogia a quanto previsto per le obbligazioni alternative, l'attore con la proposizione della prima domanda ha operato la scelta, con la preclusione della possibilità di chiedere successivamente l'altra prestazione. Nell'ipotesi invece di proposizione delle due domande nello stesso giudizio da parte del creditore, queste vanno rigettate, non potendo il giudice effettuare una scelta che compete alla parte (Cass. n. 5887/2001). La penale, quando non sia stata prevista dalle parti anche per il semplice ritardo, può essere applicata solo per un inadempimento a cui sia seguita la risoluzione del contratto e, nel caso in cui il creditore abbia dovuto — perché l'inadempimento era di scarsa importanza e tale da non giustificare la risoluzione del contratto, ai sensi dell'art. 1455 — o voluto — per la sua autonoma determinazione — accettare la prestazione tardiva, non preclude quindi la liquidazione del danno conseguente al ritardo secondo i criteri indicati dall'art. 1223 (Cass. n. 3033/1995). In base ad altro assunto la richiesta del pagamento della penale stabilita per l'inadempimento non esige l'espressa domanda di risoluzione del contratto, essendo sufficiente la prova dell'avveramento dell'inadempimento dedotto nella penale (Cass. n. 1702/1968). La penale per il ritardoQualora per contro la penale sia stata stabilita per il semplice ritardo, non è precluso al creditore di domandare sia l'adempimento della prestazione principale sia la penale per il ritardo. Ed infatti le fattispecie del ritardo nell'adempimento e dell'esecuzione della prestazione sono tra esse logicamente conciliabili (Marini, 167). Secondo alcuni a tale ipotesi deve essere equiparata quella in cui sia integrato un inesatto adempimento (Carresi, in Tr. C. M. 1987, 255). La previsione di una penale per il ritardo non preclude al creditore la domanda di risoluzione del contratto quando sia stato stabilito un termine essenziale o quando il ritardo ecceda la normale tollerabilità (De Nova, 381). L'accettazione senza riserve di una prestazione tardivamente eseguita non determina alcuna rinunzia alla penale e non impedisce quindi di pretendere la penale espressamente concordata per il ritardo (De Nova, 381; Marini, 169; Bianca, cit., 230). Se al ritardo segue l'inadempimento definitivo, il creditore può invocare, oltre alla penale per il ritardo, il risarcimento dei danni conseguente all'inadempimento (De Nova, 381) o, nel caso di duplice previsione della penale sia per il ritardo sia per l'inadempimento, può domandare cumulativamente entrambe le penali (De Nova, 381). Ove la penale sia stata stabilita per il ritardo, il risarcimento dei danni da inadempimento è limitato ai nocumenti ulteriori e diversi da quello coperto dalla penale (De Nova, 381; Mirabelli, in Comm. Utet 1984, 339). Anche secondo la S.C. la norma, nel vietare il cumulo della penale pattuita per l'inadempimento con la prestazione principale, non esclude che la penale per il ritardo possa cumularsi nel caso di risoluzione del contratto con il risarcimento del danno da inadempimento (Cass. n. 12826/2004); in tale ipotesi peraltro, per evitare un ingiusto sacrificio dell'obbligato ed il correlativo indebito arricchimento del creditore, dovrà tenersi conto nella liquidazione della prestazione risarcitoria dell'entità del danno per il ritardo, che sia stato già autonomamente considerato nella determinazione della penale (Cass. n. 10660/2022; Cass. n. 27994/2018; Cass. n. 10441/2017;Cass. n. 591/2005; Cass. n. 12349/2002; Cass. n. 4120/1984; Cass. n. 936/1974). È ammissibile la richiesta cumulativa delle penali concordate per il ritardo e per l'inadempimento (Cass. n. 8813/2003; Cass. n. 12349/2002; Cass. n. 1541/1996; Cass. n. 4120/1984). Qualora la penale venga fissata per il solo ritardo, il creditore, esigendola, non perde il diritto di pretendere la prestazione pur dopo il verificarsi di tale ritardo, né quindi il diritto, a fronte di un inadempimento definitivo, di essere risarcito del danno ulteriore e diverso rispetto a quello coperto dalla penale medesima (Cass. n. 1300/1986). La previsione di una penale per il ritardo è compatibile con la fissazione di un termine non essenziale (Cass. n. 590/1982). Viceversa, salva diversa volontà delle parti, la penale prevista per l'inadempimento non può essere applicata anche per il semplice ritardo, solo perché nel contratto è stato previsto un termine (non essenziale) di adempimento dell'obbligazione, perché, attesa la tendenziale incompatibilità tra il diritto alla penale ed il conseguimento della prestazione principale, si renderebbe altrimenti più gravosa per il debitore la responsabilità derivante dall'inadempimento meno grave, costituito da quel ritardo che non faccia perdere all'obbligazione la sua utilità e che quindi consenta anche l'adempimento tardivo, rispetto alla responsabilità derivante dall'inadempimento definitivo, in cui, salva diversa pattuizione, la clausola ha l'effetto di limitare il risarcimento del danno alla penale convenuta (Cass. n. 7078/1995). Ove la penale sia stata pattuita solo in funzione dell'inadempimento ed il creditore, interessato a conseguire (anche tardivamente) la prestazione dovuta, insti per l'adempimento, legittimamente egli può domandare anche il risarcimento dei danni da ritardo, di talché la relativa liquidazione non dovrà necessariamente essere contenuta nei limiti predeterminati dalle parti con la clausola penale, dovendo per converso essere operata secondo i normali criteri di liquidazione (Cass. n. 16492/2002). BibliografiaAlcaro, Promessa del fatto del terzo, in Enc. dir., Milano, 1988; Bavetta, La caparra, Milano, 1963; Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 1997; Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, Diritto civile, 1.2, Fatti e atti giuridici, Torino 1990; Cariota Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, 1949; Cataudella, I contratti. Parte generale, Torino, 2014; Cherubini, La promessa del patto del terzo, Milano, 1992; D'Avanzo, voce Caparra, in Nss. D.I., Torino, 1958; De Nova, Clausola penale e caparra, in Dig. civ., Torino, 1988; Di Majo, Recesso unilaterale e principio di esecuzione, in Riv. dir. comm., II, Padova, 1963; Franzoni, Il contratto e i terzi, I contratti in generale, a cura di Gabrielli, 1, II, Torino, 2006; Funaioli, voce Divieto di alienazione (diritto privato), in Enc. dir., Milano, 1964; Gabrielli, Vincolo contrattuale e recesso unilaterale, Milano, 1985; Gazzoni, Equità e autonomia privata, Milano, 1970; Luminoso, Il mutuo dissenso, Milano, 1980; Magazzù, Clausola penale, Enc. dir., Milano, 1960; Marini, La clausola penale, Napoli, 1984; Mazzarese, Le obbligazioni penali, Padova, 1990; Messineo, voce Contratto, in Enc. dir., Milano, 1961; Messineo, voce Contratti nei rapporti con il terzo, in Enc. dir., Milano, 1962; Natoli, Il conflitto di diritti e l'art. 1380, Milano, 1950; Rescigno, voce Contratto, in Enc. giur., Roma, 1988; Rodotà, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 1969; Roppo, Il contratto, Milano, 2001; Sangiorgi, voce Recesso, in Enc. giur., Roma, 1991; Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, rist. 1985; Scalfi, La promessa del fatto altrui, Milano-Varese, 1955; Trimarchi, La clausola penale, Milano, 1954; Trimarchi, voce Caparra, in Enc. dir., Milano, 1960; Zoppini, La pena contrattuale, Milano, 1991. |