Codice Civile art. 1433 - Errore nella dichiarazione o nella sua trasmissione.

Cesare Trapuzzano

Errore nella dichiarazione o nella sua trasmissione.

[I]. Le disposizioni degli articoli precedenti si applicano anche al caso in cui l'errore cade sulla dichiarazione, o in cui la dichiarazione è stata inesattamente trasmessa dalla persona o dall'ufficio che ne era stato incaricato [2706].

Inquadramento

L'errore assume rilevanza ai fini dell'annullabilità del contratto anche quando derivi da un uso scorretto dei mezzi espressivi ovvero dal malfunzionamento dei sistemi umani (persona) o tecnici (ufficio) deputati alla trasmissione dei dati. Sull'integrazione dell'errore ostativo possono influire fattori soggettivi, come un lapsus, o oggettivi, come la trasmissione affidata ad un nuncius (Pietrobon, L'errore nella dottrina del negozio giuridico, Padova, 1963, 233). Anche questo tipo di errore, definito errore ostativo, ricade nella previsione dell'art. 1428, sicché per essere rilevante deve essere essenziale ai sensi dell'art. 1429 e riconoscibile ai sensi dell'art. 1431. L'errore ostativo incide sulla fase di estrinsecazione di una volontà già formatasi, sicché si verifica una totale divergenza tra volontà e manifestazione. La considerazione a sè stante dell'errore ostativo avrebbe giustificato la conclusione della radicale nullità del contratto da esso affetto. Invece il legislatore evoca tale forma di errore per ricondurla nell'ambito unitario del processo volitivo, o comunque per assimilarla ad esso, facendone discendere l'effetto dell'annullabilità. Ed invero proprio sulla norma che regola l'errore ostativo si è riversata la disputa tra teoria della volontà e teoria della dichiarazione in ordine alla ricostruzione del negozio giuridico. In senso critico un autore ha osservato che la contrapposizione tra volontà interna e dichiarazione riflette un equivoco di fondo dovuto allo scarso approfondimento dei rapporti tra fatto espressivo, struttura rappresentativa e contenuto significativo (Barcellona, 256). Si ricadrebbe in tale tipo di errore solo quando esso cada sull'identità di uno degli elementi del negozio mentre l'errore sulle qualità cesserebbe di essere errore vizio per diventare errore ostativo solo quando la qualità serva ad individuare l'elemento negoziale, sia cioè solo un modo di designarlo, risolvendosi dunque in un errore sull'identità dell'elemento medesimo (Santoro Passarelli, 161). Secondo una parte della dottrina l'art. 1433non esaurirebbe tutte le ipotesi di errore ostativo, ricadendo le ulteriori fattispecie integrabili nella disciplina dell'art. 1429 (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 535).

Secondo la S.C. l'errore ostativo, o errore sulla dichiarazione, consiste in una falsa rappresentazione, per cui la parte attribuisce alla propria dichiarazione un significato diverso da quello che ha oggettivamente. La falsa conoscenza della realtà fa credere all'autore di operare un certo regolamento di interessi, mentre oggettivamente ne dichiara ed opera un altro. Per essere rilevante l'errore deve cadere sopra un elemento essenziale, che sia tale non soltanto di fronte al tipo astratto del negozio considerato nella sua funzione economico-sociale, ma anche con riferimento al dato negozio concreto, inquadrato nelle circostanze di fatto che vanno apprezzate nel loro valore determinante alla stregua delle comuni concezioni sociali (Cass. n. 567/1963). La difformità fra la volontà, come stato soggettivo interno, e la sua manifestazione postula che entrambe si riferiscano allo stesso soggetto, cioè all'autore dell'atto volitivo, anche quando questi si serva per la comunicazione di esso dell'opera di terzi (Cass. n. 274/2018; Cass. n. 961/1988; Cass. n. 206/1973). Non ogni errore che cade sulla dichiarazione è ostativo, potendo accadere che, nonostante l'errore, la dichiarazione negoziale di una delle parti venga intesa e accettata dall'altro contraente nella sua effettiva e reale portata; ciò è quanto si verifica quando risulti che, a cagione di un errore nella redazione di un testo, il contenuto del contratto, così come appare stipulato, non corrisponde al comune volere delle parti, quale può desumersi dal contratto medesimo e da ogni altro elemento utile allo scopo, con la conseguenza che, escludendosi in tal caso ogni ipotesi di invalidità del negozio, tutto si riduce ad un problema di interpretazione, da risolversi accordando prevalenza alla volontà delle parti (App. Roma 21 aprile 1986). L'esigenza di conservazione del contratto presuppone una verifica giudiziale (di mero fatto ed in applicazione dei criteri generali dell'ermeneutica contrattuale) sull'estensione dell'effettiva e reale volontà delle parti, alla quale dovrà riconoscersi prevalenza — senza che sia possibile addivenire all'annullamento del contratto per errore ostativo, pur in presenza di erronea formulazione, redazione o trascrizione di elementi di fatto nel documento contrattuale — ove si identifichi un accordo effettivo e reale su tutti gli elementi del contratto, in primo luogo il suo oggetto. Si tratterà in questo caso di un mero errore materiale, ricostruibile con ogni mezzo di prova, al di là della forma di volta in volta richiesta per il contratto cui afferisce, onde consentire al giudice la formazione di un corretto convincimento circa la reale ed effettiva volontà dei contraenti. Così l'errore materiale che le parti abbiano commesso nell'indicazione dei dati catastali degli immobili oggetto di un contratto può essere risolto dal giudice in sede interpretativa (Cass. n. 5277/1986). Per contro, ove il contenuto apparente di singole clausole risulti diverso da quello realmente voluto dalle parti, dovrà ritenersi mancante il requisito dell'in idem placitum consensus, indispensabile per la configurabilità sul punto di un accordo contrattuale (Cass. n. 24208/2018; Cass. n. 6116/2013; Cass. n. 8745/2011; Cass. n. 9243/2008; Cass. n. 19558/2003; Cass. n. 9127/1993; Cass. n. 5457/1985). Esso può riguardare anche gli atti unilaterali, come nel caso di confessione stragiudiziale, manifestandosi come divergenza tra la volizione del valore della dichiarazione e la volizione del contenuto materiale della dichiarazione stessa (Cass. n. 1224/1980). Benché l'art. 526 escluda l'impugnazione per errore della rinuncia all'eredità, ciò non impedisce che tale impugnazione sia ammessa in presenza di errore ostativo; detta fattispecie peraltro non ricorre quando la rinuncia sia avvenuta in base all'erronea convinzione di essere stato chiamato alla successione in qualità di erede legittimo anziché di erede testamentario, rimanendo tale ipotesi estranea a quella dell'errore sulla dichiarazione (Cass. n. 13735/2009).

Gli aspetti rilevanti dell'errore ostativo

L'errore ostativo si realizza sia quando cada sulla dichiarazione, senza alcuna interferenza di terzi, sia quando cada sulla sua trasmissione, e in tal caso la relativa integrazione postula l'intervento di terzi che completino la dichiarazione contrattuale in base ad un rapporto sottostante di vario genere, come il mandato, la mediazione, il lavoro subordinato (Sacco-De Nova, in Tr. Res., 1988, 58). Si dubita che un contratto sia stato concluso quando la controparte sia a conoscenza del fatto che la dichiarazione è stata erroneamente formulata o trasmessa, poiché in questo caso non può dirsi raggiunto un accordo circa il contenuto della dichiarazione (Bianca, 613). L'errore sulla trasmissione è causa di annullamento del contratto anche nell'ipotesi in cui l'incaricato della trasmissione abbia dolosamente alterato i contenuti della dichiarazione. Secondo un'opinione espressa in dottrina anche tale ipotesi è riconducibile all'errore nella trasmissione ai fini dell'annullamento, salvo che si tratti di alterazione snaturante, caso in cui la dichiarazione dovrebbe essere considerata autonomamente rilevante e fonte di separata responsabilità (Sacco-De Nova, in Tr. Res., 1988, 51). In questo senso questa dottrina critica l'opinione espressa da qualche pronuncia di merito che, nel caso in cui l'errore di trasmissione sia intenzionale, nega l'applicabilità della norma, prospettando la ricorrenza di un falso penalmente rilevante.

L'errore ostativo nella trasmissione può realizzarsi anche nel caso di fraudolenta predisposizione del documento contrattuale a cura della controparte (Cass. n. 3481/1978). Secondo la S.C. l'errore ostativo non è configurabile con riguardo al riempimento di foglio firmato in bianco in modo difforme da quello concordato, in cui il completamento della scrittura si attua con un atto volitivo (del riempitore), avente ad oggetto anche il suo contenuto, rispetto al quale la dichiarazione non presenta alcuna difformità. Pertanto, comportando il riempimento contra pacta (che non esige la proposizione della querela di falso) una violazione dei limiti del mandato, compiuta dal riempitore (mandatario del sottoscrittore), l'indagine del giudice, ove sia in discussione solo l'efficacia probatoria della scrittura che si assume infedelmente completata, deve limitarsi all'accertamento della sussistenza o meno della difformità fra accordo di riempimento (e quindi volontà del sottoscrittore) e dichiarazione scritta quale di fatto venuta ad esistenza, senza che all'uopo sia necessaria la deduzione — in via di azione o di eccezione — dell'annullabilità della scrittura stessa (Cass. n. 961/1988; Cass. n. 5429/1980).

Il dolo ostativo

Secondo una parte della dottrina, benché non espressamente regolato, oltre all'errore ostativo potrebbe configurarsi anche il dolo ostativo, ricadente nella disciplina del dolo quale ulteriore vizio del consenso. E ciò perché il dolo postula comunque l'errore della vittima; tale errore indotto può tanto viziare la volontà della vittima di conseguire gli effetti dell'atto quanto determinare il contraente a dichiarare di volere effetti che egli in realtà non vuole, come accade quando taluno, per convincere altri a sottoscrivere un'ordinazione, gli faccia credere che sul documento sia scritta una frase diversa da quella vera o che il significato della frase scritta sia diverso da quello reale; anche in quest'ultimo caso, appunto qualificato come dolo ostativo, si applicherebbe la disciplina del dolo (Sacco-De Nova, in Tr. Res., 1988, 167).

In senso contrario la giurisprudenza osserva che, qualora uno dei contraenti sottoscriva, su invito dell'altro, una dichiarazione negoziale documentata, essendo tratto in inganno circa il suo contenuto (nella specie era presentato come concernente l'affidamento in temporaneo esperimento di un bigliardo un modulo che contemplava invece la vendita dello stesso) non ricorre l'ipotesi di dolo — che è integrata quando il raggiro abbia inciso sulla formazione della volontà negoziale — ma si ha il difetto assoluto di volontà e perciò il contratto non è annullabile ex art. 1439, ma è assolutamente nullo (Cass. n. 163/1977).

Bibliografia

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