Codice Civile art. 1447 - Contratto concluso in istato di pericolo.

Cesare Trapuzzano

Contratto concluso in istato di pericolo.

[I]. Il contratto con cui una parte ha assunto obbligazioni a condizioni inique, per la necessità, nota alla controparte, di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona [2045], può essere rescisso sulla domanda della parte che si è obbligata.

[II]. Il giudice nel pronunciare la rescissione, può, secondo le circostanze, assegnare un equo compenso all'altra parte per l'opera prestata.

Inquadramento

In ordine all'istituto della rescissione del contratto discussa è innanzitutto la sua collocazione sistematica tra le patologie contrattuali che danno luogo ad invalidità, unitamente alle categorie della nullità e dell'annullamento, ovvero se si tratti di rimedio da ricondurre alle impugnative negoziali. Sostiene che si tratti di una forma di invalidità assimilabile all'annullamento un filone della dottrina (Bianca, 642; Sacco-De Nova, in Tr. Res., 1988, 489). Ponendosi su questa stessa linea altro autore ritiene che l'integrazione dello stato di pericolo darebbe luogo ad un vizio del consenso, la cui rilevanza sarebbe limitata all'esistenza di un obiettivo pregiudizio (Mirabelli, 584). In base ad altro indirizzo si ricade tra le impugnative negoziali, unitamente all'istituto della risoluzione, per vizi che concernono il rapporto: nella rescissione vi sarebbe un difetto genetico (o originario) parziale, nella risoluzione un difetto funzionale sopravvenuto dell'assetto di interessi (Santoro Passarelli, 184; Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, 853). Ne consegue che il rimedio della rescissione opererebbe sul piano dell'inefficacia in senso tecnico o stretto del contratto, che — sebbene idoneo in senso dinamico o funzionale — presenti una disfunzione dell'autoregolamento; detta inefficacia del contratto valido non è coeva al contratto, ma successiva alla sua conclusione e segnatamente conseguente alla pronuncia costitutiva di rescissione (Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, 852). Aspetti significativi della natura della rescissione quale impugnativa e non quale causa di invalidità si rinvengono nella relativa disciplina e in specie nella previsione di un termine di prescrizione breve, nella prescrittibilità dell'eccezione, nella non convalidabilità del negozio rescindibile (Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, 861). Ulteriore questione dibattuta concerne la relazione della rescissione in stato di pericolo con l'ulteriore fattispecie della rescissione per lesione. Secondo una tesi le due azioni sarebbero autonome, poiché solo nel caso di rescissione per lesione il presupposto dello stato di bisogno incide sul sinallagma contrattuale; infatti la rescissione dipende specificamente dall'alterazione dell'equilibrio nella misura delle prestazioni contrapposte ed unite da un nesso di interdipendenza o di corrispettività; viceversa nella rescissione in stato di pericolo il nesso sinallagmatico non ha un peso decisivo (Benedetti, in Tr. Bes., VIII, 2007, 14). Ed ancora in linea di principio nella rescissione in stato di pericolo assume rilievo la minaccia di interessi strettamente personali, nella rescissione per lesione assume pregio la minaccia di interessi strettamente patrimoniali (Carresi, 357). In questa prospettiva, si sottolineano le differenze tra i presupposti delle due azioni, stato di pericolo o di necessità e stato di bisogno, cui corrispondono anche eterogenee discipline, tra cui l'inapplicabilità dell'offerta di riconduzione ad equità del contratto alla rescissione in stato di pericolo. Altro autore afferma invece che il rapporto tra le due azioni è di complementarietà, rappresentando lo stato di pericolo una species del genus stato di bisogno, con la conseguenza che dovrebbe darsi applicazione alla rescissione per lesione quando non sussistano le condizioni per esperire l'azione di rescissione per stato di necessità (Sacco, in Tr. Vas., 1975, 363).

Secondo la S.C. il rilievo ex officio di una nullità negoziale deve ritenersi consentito anche nell'ipotesi di impugnativa negoziale per rescissione, nonostante la diversità strutturale sul piano sostanziale delle relative azioni (Cass. S.U., n. 26242/2014). La pronuncia di rescissione è destinata a produrre due effetti: a) un effetto liberatorio, relativo alle prestazioni non ancora eseguite, che non dovranno più eseguirsi né dall'una né dall'altra; b) un effetto restitutorio, relativo alle prestazioni già eseguite, che ciascuna parte ha vicendevolmente diritto di ripetere dall'altra. Mentre l'effetto liberatorio si manifesta ex nunc e risponde al carattere costitutivo della pronuncia, viceversa l'effetto restitutorio, non può che imporsi retroattivamente: le cose ricevute devono quindi essere restituite con tutti gli accessori e le utilità che frattanto esse abbiano prodotto e sulle somme ricevute, e da restituire, devono così corrispondersi gli interessi legali dalla data in cui le somme stesse vennero ricevute (Cass. n. 1599/1976).

Lo stato di pericolo

La situazione di pericolo assume rilevanza ai fini della rescissione del contratto, quando riguarda la persona del contraente o altri, mentre non assume rilievo il pericolo sulle cose. Il pericolo ha connotati analoghi a quelli previsti dall'art. 2045, ma si caratterizza per la circostanza che è irrilevante per la rescissione che esso sia causato volontariamente dal soggetto protetto o comunque sia allo stesso imputabile (Carresi, 347; Sacco, in Tr. Vas., 1975, 360; Mirabelli, 583). Esso assume in ogni caso rilevanza anche qualora la situazione che lo ha determinato sia evitabile e qualora vi sia sproporzione tra la sua entità, benché grave, e il comportamento conseguente del soggetto intimorito (Bianca, 646). Lo stato di pericolo può discendere da cause naturali o da un comportamento umano, intenzionale o non, ma se questo presenta i caratteri della violenza, sarà quest'ultima a rilevare come causa di invalidità del contratto (Bianca, 645). Anche il pericolo putativo o supposto determina la rescissione del contratto, in quanto sia idoneo ad incidere sulla libertà di contrattazione del soggetto (Bianca, 645) a condizione che l'erronea supposizione sia a conoscenza della controparte (Mirabelli, 584). Ove tale supposizione generi un vero e proprio errore sull'oggetto del contratto, quest'ultimo sarebbe annullabile, purché la controparte abbia riconosciuto l'errore o esso fosse riconoscibile (Mirabelli, 584). Secondo altra tesi nel caso di pericolo putativo il contratto sarebbe radicalmente inesistente, in ragione dell'obiettiva inutilità della prestazione pattuita, ovvero nullo per impossibilità della prestazione (Carresi, 350). Il danno che il contraente vuole evitare deve consistere in un pregiudizio ai diritti fondamentali della persona umana, che non sono limitati a quelli della vita e dell'integrità fisica, ma si estendono all'onore, alla reputazione e in genere ad ogni diritto della personalità (Carresi, 348; Sacco, in Tr. Vas, 1975, 359). La sua gravità, in quanto condizionante del consenso del contraente, va intesa in modo relativo, con riferimento all'età, al sesso, alle condizioni fisiche e psichiche della persona minacciata, alla stregua dei parametri già contemplati in tema di violenza morale (Bianca, 645; Mirabelli, 584). Il danno paventato deve essere anche ingiusto (Carresi, 350; Sacco, in Tr. Vas ., 1975, 359). Ove il soggetto investito dalla situazione pericolosa sia caduto in errore in ordine alla gravità del pericolo, il contratto sarebbe annullabile, ma alla sola condizione che non si tratti di errore spontaneo, bensì indotto dai raggiri della controparte, poiché solo nel caso di dolo-vizio rilevano anche gli errori sui motivi (Carresi, 349). Inoltre il pericolo deve essere attuale, ossia deve persistere sino al momento della conclusione del contratto; pertanto l'evento dal quale scaturisce deve essere già accaduto, così che, ove non arrestato, le sue conseguenze si realizzerebbero senz'altro (Carresi, 349). In conseguenza  ogni ritardo renderebbe inutile l'opera del soccorritore. Per converso, non si rientra nella figura del contratto concluso in stato di pericolo quando vi sia ancora un apprezzabile margine di tempo prima che l'evento dannoso si verifichi e in questo intervallo possa sopravvenire un fatto che ne impedisca l'avveramento (Carresi, 349). Deve sussistere anche un nesso di causalità psicologica tra lo stato di pericolo e la stipulazione del contratto, nel senso che la situazione di pericolo deve avere determinato la volontà del soggetto, il quale deve essersi convinto dell'inevitabilità dell'alternativa tra il subire il danno derivante dal pericolo e il contrattare (Carresi, 350; Mirabelli, 583; Sacco, in Tr. Vas ., 1975, 359).

In base alla giurisprudenza la nozione di stato di pericolo a fini della rescissione è sostanzialmente rapportabile a quella descritta dagli artt. 2045 e 54 c.p. (Cass. n. 2147/1951). Esso si riferisce alle persone e non alle cose (Cass. n. 2471/1954). Pertanto non è rilevante il danno al patrimonio conseguente alla minaccia di confische, razzie, devastazioni, saccheggi, con conseguente necessità di salvare i beni (Cass. n. 2293/1960).

La conoscenza della controparte

Affinché il contratto possa essere rescisso è necessario che la controparte conosca lo stato di pericolo che ha determinato la parte a stipulare il contratto. Pertanto la controparte deve rappresentarsi la sussistenza dello stato di pericolo e del nesso di causalità tra tale stato e l'attività negoziale del contraente. Qualora, oltre alla conoscenza, sussista anche un comportamento di sfruttamento della situazione, per la controparte è ipotizzabile la commissione del reato di usura (Mirabelli, 584). Non è sufficiente la colpa grave o la mera conoscibilità (Benedetti, in Tr. Bes., VIII, 2007, 86).

L'iniquità delle condizioni

Lo stato di pericolo deve avere indotto la parte a stipulare il contratto a condizioni inique. L'iniquità si sostanzia nella sproporzione oggettiva e tecnica fra i valori di ciascuna prestazione ovvero nella gravosità delle modalità di esecuzione poste a carico del contraente in stato di pericolo; alla valutazione di tale sproporzione concorrono sia circostanze oggettive, come l'entità del rischio al quale è esposto il soccorritore, sia circostanze soggettive, come le condizioni economiche in cui versano le parti (Santoro Passarelli, 184; Bianca, 645). In forza di altra ricostruzione l'iniquità deve essere determinata non in base a criteri tecnici di proporzionalità, bensì in rapporto ad un criterio etico-sociale di valutazione, senza avere riguardo al valore economico della prestazione, che andrebbe invece considerato solo con riferimento alla determinazione dell'equo compenso di cui al comma 2 (Mirabelli, 583). In ogni caso tale ponderazione deve tenere conto del regolamento negoziale nella sua complessità (Benedetti, in Tr. Bes, VIII, 2007, 83). La sproporzione, diversamente dalla previsione dell'art. 1448 per la rescissione per lesione, non è fissata sul piano quantitativo, sicché non deve rispettare alcuna soglia prestabilita. La prestazione cui lo stipulante si obbliga a condizioni inique, per indurre la controparte a prestare la propria opera, non deve essere limitata all'assunzione di un'obbligazione, ma può avere ad oggetto anche prestazioni diverse da obblighi di fare o non fare, come il trasferimento di un diritto reale o di credito, la rinunzia ad un diritto potestativo, ecc. (Carresi, 348).

Secondo la ricostruzione giurisprudenziale l'iniquità delle condizioni è elemento necessario per la rescissione del contratto, in quanto la legge tutela non tanto un'indifferenziata libertà del contraente, quanto la specifica libertà di evitare contratti dannosi (Cass. n. 5482/1979). Con riferimento ai contratti di scambio lo squilibrio economico originario in sé delle prestazioni delle parti non può comportare la nullità del contratto per mancanza di causa né la rescissione ove tale sproporzione non sia riconducibile ad uno stato di pericolo qualificato ovvero allo stato di bisogno, perché nel nostro ordinamento prevale il principio dell'autonomia negoziale, che opera anche con riferimento alla determinazione delle prestazioni corrispettive (Cass. n. 22567/2015).

L'assegnazione di un equo compenso

Il giudice, all'atto in cui pronuncia la rescissione del contratto concluso in stato di pericolo, può riconoscere alla controparte un compenso per l'opera prestata. Tale assegnazione postula una valutazione del caso concreto secondo le circostanze. La facoltà prevista dalla norma si sostanzia in un potere discrezionale che il giudice può esercitare tenendo conto del valore economico della prestazione e che risponde anche all'interesse a sollecitare ciascun individuo ad adoperarsi per realizzare attività socialmente utili come il salvataggio di chi versi in situazioni di pericolo (Marini, 985; Carpino, in Com. S., 111). Affinché il giudice possa esercitare tale potere si reputa comunque necessaria la proposizione di un'apposita istanza da parte del contraente che ha profittato dell'altrui stato di pericolo (Mirabelli, 585).

I negozi rescindibili

Secondo l'opinione prevalente la rescissione del contratto concluso in stato di necessità è applicabile ad ogni tipo di contratto in cui sia assunta un'obbligazione. In base ad altro indirizzo la rescissione in stato di pericolo sarebbe applicabile solo qualora il contratto concluso sia un contratto di prestazione d'opera, anche intellettuale (contratto di salvataggio), mentre in tutte le ipotesi in cui il contratto sia concluso per procurarsi determinati beni potrebbe essere domandata, ricorrendone i presupposti, soltanto la rescissione per lesione, come nel caso in cui sia stato acquistato a condizioni inique un medicinale per salvare un moribondo (Mirabelli, 582; Carresi, 347). Sono rescindibili anche i contratti aleatori conclusi in stato di pericolo, in difetto di un espresso divieto analogo a quello previsto per l'azione di rescissione per lesione (Messineo, 925).

Sostiene la giurisprudenza che la rescissione in stato di pericolo non trova applicazione ai negozi unilaterali e in specie alle dimissioni del lavoratore (Cass. n. 11179/1990; Trib. Torino 15 marzo 1951).

Bibliografia

Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 1997; Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, Diritto civile, 1.1. e 1.2, Fatti e atti giuridici, Torino, 1990; Carresi, Rescissione (diritto civile), in Enc. giur., Roma 1991; Cicala, Il negozio di cessione del contratto, Napoli, 1962, 122; Marini, voce Rescissione del contratto, in Enc. dir., Milano, 1988; Messineo, voce Contratto (diritto privato), in Enc. dir., Milano, 1961; Mirabelli, voce Rescissione, in Nss. D.I., Torino, 1968; Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli rist. 1989.

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