Codice Civile art. 1474 - Mancanza di determinazione espressa del prezzo.Mancanza di determinazione espressa del prezzo. [I]. Se il contratto ha per oggetto cose che il venditore vende abitualmente e le parti non hanno determinato il prezzo, né hanno convenuto il modo di determinarlo, né esso è stabilito per atto della pubblica autorità [1339] [o da norme corporative], si presume che le parti abbiano voluto riferirsi al prezzo normalmente praticato dal venditore (1). [II]. Se si tratta di cose aventi un prezzo di borsa o di mercato [1515, 1735], il prezzo si desume dai listini o dalle mercuriali del luogo in cui deve essere eseguita la consegna, o da quelli della piazza più vicina. [III]. Qualora le parti abbiano inteso riferirsi al giusto prezzo, si applicano le disposizioni dei commi precedenti; e, quando non ricorrono i casi da essi previsti, il prezzo, in mancanza di accordo, è determinato da un terzo, nominato a norma del secondo comma dell'articolo precedente [1561]. (1) Le disposizioni richiamanti le norme corporative devono ritenersi abrogate in seguito alla soppressione dell'ordinamento corporativo. InquadramentoIn base ai principi fissati negli artt. 1346 e 1474, ai fini della determinabilità di un elemento del contratto (nel caso, del prezzo della compravendita), è necessario che i parametri fissati dalle parti abbiano tale carattere di precisazione e di concretezza da permetterne la futura determinazione ad esse stesse, ovvero al giudice in caso di loro dissenso, senza che intervenga un'ulteriore determinazione di volontà delle parti stesse; tale requisito va riconosciuto sussistente ove la determinazione del prezzo venga dalle parti collegata al criterio del prezzo ricavabile da una libera contrattazione ovvero di quello che la parte acquirente pagherà in sede di futuri acquisti nella zona adiacente l'immobile compravenduto: in ambi i casi, infatti, la determinazione del prezzo resta ancorata a criteri obbiettivi, per cui l'eventuale disaccordo sul punto tra le parti in sede di determinazione concreta del prezzo ben può essere risolto dal giudice, che quindi sovrapporrà in via autoritaria la propria determinazione a quella non raggiunta dalle parti sulla base dei criteri obbiettivi pur da esse stabiliti in contratto. Ratio della norma nella giurisprudenza di legittimitàLa giurisprudenza scorge nell'art. 1474 uno strumento di conservazione del contratto alternativo alla declaratoria di nullità per carenza di un elemento essenziale, in tutti i casi in cui difetti una pattuizione espressa sul prezzo anche solo in termini di determinabilità (Cass. n. 1232/1981). Intesa in tal modo, la previsione in esame costituirebbe una deroga al principio secondo cui è improduttivo di effetti, perché nullo o quantomeno non ancora perfezionato, il contratto in cui l'oggetto non sia determinato o determinabile. Pertanto, secondo la giurisprudenza, i criteri elencati nell'art. 1474 consentirebbero di ovviare sempre a questa specifica carenza strutturale dell'accordo (mancata determinazione del prezzo di vendita), salvo il caso in cui le parti non abbiano rinviato a terzi la determinazione del corrispettivo (art. 1473) o abbiano rinviato ad un momento successivo la determinazione consensuale del prezzo (Cass. n. 3217/1954; Cass. n. 1365/1962, secondo la quale non è esatto che la vendita debba ritenersi nulla se il contratto non indichi l'ammontare del prezzo; la legge stessa infatti (art. 1474) fornisce i criteri per la sua determinazione; Cass. n. 139/1966). Tuttavia, deve osservarsi che la funzione così attribuita all'art. 1474 non è del tutto convincente. Se la tesi espressa dalla Cassazione fosse valida, si dovrebbe ammettere che nessun contratto di compravendita potrebbe mai essere considerato nullo per indeterminatezza almeno tutte le volte in cui l'indeterminatezza dell'oggetto discenda dalla mancata o imperfetta determinazione convenzionale del prezzo di vendita. L'art. 1474 dovrebbe essere quindi considerata — nel ragionamento della Corte di Cassazione — norma eccezionale che, in deroga agli artt. 1346 e 1418, consentirebbe di ritenere integrata la fattispecie negoziale anche in mancanza di un elemento costitutivo del sinallagma qual è la determinazione del prezzo di vendita. In giurisprudenza, si registra tuttavia un indirizzo minoritario che non considera l'art. 1474 la soluzione generale e residuale del mancato accordo delle parti sul prezzo (Cass. n. 1427/1970, secondo la quale se il prezzo di vendita non è determinato, né determinabile attraverso i criteri prefissati dalle parti o dalla legge, il contratto di compravendita è nullo per difetto di un suo elemento essenziale). Si segnala anche un indirizzo interpretativo secondo il quale l'art. 1474 risolverebbe le lacune contrattuali per il tramite dei criteri succedanei legali, ma non in funzione suppletiva o integrativa, bensì interpretativa (Cass. n. 3435/1982, in cui si afferma che nel silenzio delle parti si deve presumere che esse abbiano fatto riferimento al prezzo normalmente praticato dal venditore; Cass. n. 10503/2006). Si è precisato che se il contratto ha per oggetto cose che il venditore vende abitualmente, o la fornitura di beni a carattere periodico ai sensi – rispettivamente - degli artt. 1474 e 1561 , la mancata determinazione espressa del prezzo non ne importa la nullità, giacché si presume che le parti abbiano voluto riferirsi al prezzo normalmente praticato dal venditore, che, se si tratta di cose aventi un prezzo di borsa o di mercato, si desume, salvo patto contrario, dai listini o dalle mercuriali del luogo in cui deve essere eseguita la consegna o da quelli della piazza più vicina (per la compravendita) ovvero dai listini o dalle mercuriali del luogo in cui devono essere eseguite le prestazioni (Cass. n. 4524/2022). I criteri elaborati dalla Corte di CassazioneLa Suprema Corte ha statuito che per l'ipotesi di mancata determinazione espressa del prezzo della vendita, si presume che le parti abbiano inteso fare riferimento al prezzo normalmente praticato dal venditore, a condizione che il contratto abbia per oggetto cose che questi vende abitualmente. In altri termini, il criterio del primo comma dell'art. 1474 è applicabile ai soli casi di contratti imprenditoriali di fornitura di beni prodotti su larga scala. Così se il contratto ha per oggetto cose che il venditore vende abitualmente, o la somministrazione di beni a carattere periodico ai sensi — rispettivamente — degli artt. 1474 e 1561, la mancata determinazione espressa del prezzo non ne importa la nullità, giacché si presume che le parti abbiano voluto riferirsi al prezzo normalmente praticato dal venditore, che, se si tratta di cose aventi un prezzo di borsa o di mercato, si desume — salvo patto contrario — dai listini o dalle mercuriali del luogo in cui deve essere eseguita la consegna o da quelli della piazza più vicina (per la compravendita) ovvero dai listini o dalle mercuriali del luogo in cui devono essere eseguite le prestazioni, per la somministrazione (Cass. n. 10503/2006). Ove non ricorrano tali ipotesi, a norma del terzo comma dello stesso art. 1474, il prezzo è determinato da un terzo (Cass. n. 25804/2013). La legge accorda, dunque, la preferenza, in caso di mancata indicazione espressa del prezzo della cosa venduta, al criterio di determinazione riferentesi al prezzo correntemente praticato dal venditore: ma l'applicazione di tale criterio postula merci di larga produzione e molteplicità di contrattazioni (Cass. n. 13087/2004). Se ne deve concludere che l'esistenza di un prezzo generalmente praticato è concepibile solo in riferimento alle cose generiche, e non anche a quelle specifiche, che, per la loro peculiare individualità, non sono suscettibili di prezzi uniformi, tali da poter fornire un sicuro parametro di riferimento. Inoltre, il prezzo abituale postula merci di larga produzione e molteplicità di contrattazione (Cass. n. 719/2006) e quindi non può farsi riferimento al prezzo corrente o di mercato risultante da listini, e di cui al secondo comma dell'art. 1474, né a quello di cui ad un terzo criterio, non codificato e che riguarda il «giusto prezzo». L'art. 1474, comma 3, nell'alludere alla circostanza che «le parti abbiano inteso riferirsi al giusto prezzo», con riferimento all'ipotesi che il contratto risulti concluso per atto scritto suppone che il riferirsi delle parti al giusto prezzo emerga come tale dal tenore del contratto. Dunque, nel contratto le parti debbono avere fatto riferimento al «giusto prezzo». È quanto dire che, perché ricorra la figura dell'art. 1474, comma 3, il legislatore del codice ha supposto che la clausola contrattuale scritta abbia usato l'espressione «giusto prezzo». Parimenti, se il contratto risulti concluso oralmente è necessario che risulti per il tramite dell'attività dimostrativa della sua conclusione che le parti abbiano manifestato l'intenzione di riferirsi proprio al «giusto prezzo». Occorre, dunque, che le parti si siano rappresentate proprio quel concetto e non altro e la rappresentazione, se il contratto è concluso per iscritto, deve emergere dal tenore del documento (Cass. n. 11529/2014). Spetterebbe, comunque, al giudice valutare anzitutto se sia o meno applicabile il primo o il terzo comma dell'art. 1474, sulla base di una valutazione discrezionale su criteri dagli incerti confini come quello di abitualità, molteplicità delle vendite, prezzo normale, omogeneità delle condizioni di vendita e dei beni venduti, continuità delle vendite. Nel caso in cui ritenga applicabile il primo comma, sempre il giudice dovrebbe effettuare l'accertamento sul prezzo corrente praticato dall'imprenditore; anche questa ricerca implica margini di valutazione e di discrezionalità ampi: dalla individuazione del prezzo usualmente praticato all'individuazione della linea di (produzione e) vendita a cui fare riferimento nel caso di pluralità di prodotti simili alienati dalla medesima impresa, fino alla scelta se valorizzare o meno l'esistenza di rapporti contrattuali precedenti tra le parti a cui eventualmente fare riferimento nella valutazione di normalità del prezzo praticato, che potrebbe essere diverso rispetto a quello praticato normalmente nei confronti di altri acquirenti (la c.d. discriminazione di prezzo). Un'ipotesi, questa, tutt'altro che remota sul piano pratico, proprio perché la preesistenza di rapporti tra i medesimi soggetti potrebbe essere la ragione della mancata indicazione del prezzo (Di Marzio, 353). 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