Codice Civile art. 1478 - Vendita di cosa altrui.

Francesco Agnino

Vendita di cosa altrui.

[I]. Se al momento del contratto la cosa venduta non era di proprietà del venditore, questi è obbligato a procurarne l'acquisto al compratore [1476 n. 2].

[II]. Il compratore diventa proprietario nel momento in cui il venditore acquista la proprietà dal titolare di essa [171 trans.].

Inquadramento

La vendita di un bene da parte di chi non sia proprietario non è negozio né nullo né annullabile, bensì configura una ipotesi di carenza della legittimazione al negozio e quindi di contratto concluso a non domino, secondo la disciplina della vendita di cosa altrui: di conseguenza essa non è comunque affetta da invalidità, ma produce soltanto effetti obbligatori tra le parti, a norma dell'art. 1478, ovvero l'obbligo del venditore di far acquistare al compratore la proprietà della res; risultando in tal caso l'alienazione piuttosto meramente inopponibile al proprietario effettivo che non abbia preso parte alla stipula dell'atto.

Produzione dell'effetto reale

L'obbligo di far acquistare la proprietà al compratore si adempie nello stesso istante in cui il venditore acquista, solitamente entro un determinato termine, dal terzo proprietario il bene. A quel momento si produce automaticamente l'effetto reale in favore dell'acquirente, senza che sia necessario un successivo atto tra venditore ed acquirente medesimo.

In caso di vendita di cosa altrui, l'obbligo del venditore può essere adempiuto: 1) sia mediante l'acquisto della proprietà della cosa da parte sua, con l'automatico ed immediato trapasso della proprietà al compratore; 2) sia mediante la vendita diretta della cosa stessa operata dal terzo suo proprietario in favore del compratore.

In tale ultimo caso, tuttavia, ai fini della valutazione dell'avvenuto adempimento dell'obbligo, è pur sempre necessario che la vendita diretta abbia avuto luogo in conseguenza di un'attività svolta dallo stesso venditore nell'ambito dei suoi rapporti con il proprietario, e che quest'ultimo manifesti, in forma chiara ed inequivoca, la propria volontà di vendere il bene di sua proprietà al compratore.

Solo in tal modo, infatti, si realizza, con l'effetto traslativo, quel risultato che il compratore intendeva conseguire e che il venditore s'era obbligato a procurargli (Cass. n. 984/1998).

In tema di donazione le sezioni unite, tuttavia, hanno ritenuto che la donazione di cosa altrui o parzialmente altrui, sebbene non espressamente vietata, è nulla per difetto di causa, sicché la donazione del coerede avente ad oggetto la quota di un bene indiviso compreso nella massa ereditaria è nulla, atteso che, prima della divisione, quello specifico bene non fa parte del patrimonio del coerede donante; tuttavia, qualora nell'atto di donazione sia affermato che il donante è consapevole dell'altruità della cosa, la donazione vale come donazione obbligatoria di dare (Cass., n. 5068/2016).

Analogamente, si è affermato che Il preliminare di vendita di cosa altrui ben può avere ad oggetto quote sociali. Non è, pertanto, condivisibile l'affermazione secondo cui si può vendere la cosa altrui, ma la partecipazione in una società non è una cosa, è un fascio di diritti (non di natura reale) che conferisce uno status, appunto quello di socio.

Sul punto, basti solo rammentare come già da tempo la giurisprudenza maggioritaria ha riconosciuto alla quota sociale natura di bene immateriale equiparato ad un bene mobile non iscritto in pubblico registro, con la conseguente applicabilità alla stessa delle disposizioni concernenti i beni mobili e, in particolare, della disciplina delle situazioni soggettive reali.

Tale impostazione è stata, peraltro, confermata dal legislatore della riforma (d.lgs. n.6/2003), il quale, da un lato, ha novellato l'art. 2741, consentendo l'espropriazione della partecipazione in s.r.l. e, dall'altro, ha introdotto l'art. 2471-bis, a mente del quale tale partecipazione "può formare oggetto di pegno, usufrutto e sequestro".

Deve, pertanto, escludersi che il preliminare di vendita di quote sociali altrui sia affetto da nullità per impossibilità dell'oggetto, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1418, comma 2, e 1346 dovendosi invece ritenere che lo stesso sia valido sino ad eventuale risoluzione, stante l'applicabilità dell'art. 1479 (Trib. Milano, 9 maggio 2017, n. 5176).

Le modalità di adempimento da parte del venditore nel caso di preliminare

Come è stato precisato dalla giurisprudenza al contratto preliminare di compravendita di cosa parzialmente altrui si adatta la disciplina prevista dagli artt. 1478 e 1480 con la conseguenza che il promittente venditore resta obbligato, oltre che alla stipula del contratto definitivo per la quota di sua spettanza, a procurare il trasferimento al promissario acquirente anche di quella rimanente, o acquistandola e ritrasferendola al promissario acquirente, oppure facendo in modo che il comproprietario addivenga alla stipulazione definitiva (Cass. n. 4164/2015).

Al riguardo si osserva che in passato si riteneva che la prestazione poteva essere eseguita, indifferentemente, acquistando il bene e ritrasferendolo al promissario, oppure facendoglielo alienare direttamente dal reale proprietario, ritenendosi applicabile per analogia al preliminare di vendita l'art. 1478, relativo al contratto di vendita di cosa altrui, che dispone che il venditore «è obbligato a procurare l'acquisto al compratore» e cioè considerando che lo stesso risultato si può ottenere anche facendo in modo che il terzo, al quale il bene appartiene, lo ceda egli stesso al promissario.

Altra volta, però, si era deciso che, nel caso in cui il promissario non fosse stato consapevole dell'altruità della cosa, l'obbligazione in questione dovesse essere adempiuta acquistando il bene e ritrasferendolo, perché l'art. 1479, anch'esso dettato per la vendita definitiva, ma estensibile alla promessa di vendita, abilita il compratore a «chiedere la risoluzione del contratto, se, quando l'ha concluso, ignorava che la cosa non era di proprietà del venditore, e se frattanto il venditore non gliene ha fatto acquistare la proprietà».

Le Sezioni Unite hanno ritenuto che non v'è ragione di escludere che la prestazione possa essere eseguita procurando il trasferimento del bene direttamente dall'effettivo proprietario, senza necessità di un doppio trapasso, perché l'art. 1478, comma 2, menziona sì che il compratore diventa proprietario nel momento in cui il venditore acquista la proprietà dal titolare della stessa, ma nel senso di definire la modalità dell'adempimento, alla quale riconnette l'effetto di far diventare proprietario il compratore (Cass. n. 11624/2005).

Il giudice della nomofilachia ha, poi, escluso che una diversa soluzione possa essere adottata nel caso che il promissario avesse ignorato, al momento della conclusione del preliminare, la non appartenenza del bene al promittente, perché l'art. 1479, che consente al compratore di buona fede di chiedere la risoluzione del contratto, è coerente con la natura del contratto a cui si riferisce (vendita definitiva) destinato, nell'intenzione delle parti, ad esplicare quell'immediato effetto traslativo stabilito dall'art. nell'art. 1376, ma ne è impedito dall'altruità della cosa, la quale, invece, non incide sul sinallagma instaurato con il contratto preliminare, il quale ha comunque efficacia obbligatoria, essendo quella reale differita alla stipulazione del definitivo, sicché nessun nocumento ne deriva per il promissario sino alla scadenza del relativo termine né da tale disposizione di legge può desumersi che il promissario sia abilitato ad opporre l'exceptio inadempienti contractus se l'altra parte, nel momento in cui è tenuta, è comunque in grado di fargli ottenere l'acquisto direttamente dal proprietario.

Il promittente venditore di una cosa che non gli appartiene, anche nel caso di buona fede dell'altra parte, può adempiere la propria obbligazione procurando l'acquisto del promissario direttamente dall'effettivo proprietario (Cass. n. 8417/2016); sicché il promissario acquirente, il quale ignori che il bene, all'atto della stipula del preliminare, appartenga in tutto od in parte ad altri, non può agire per la risoluzione prima della scadenza del termine per la conclusione del contratto definitivo, in quanto il promittente venditore, fino a tale momento, può adempiere all'obbligazione di fargli acquistare la proprietà del bene, acquistandola egli stesso dal terzo proprietario o inducendo quest'ultimo a trasferirgliela (Cass. n. 11624/2006).

Bibliografia

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