Codice Civile art. 1655 - Nozione (1).InquadramentoCon l'appalto il committente può ottenere la costruzione di un opera od una prestazione di servizi che non sarebbe in grado di realizzare da solo (ad esempio la costruzione di un immobile): l'appaltatore, invece, è in grado di provvedervi in quanto dispone dei mezzi e dell'organizzazione necessari (ad esempio un'impresa edile). Il contratto di appalto, come di norma i negozi giuridici bilaterali patrimoniali, è caratterizzato dalla presenza di un soggetto creditore dell'obbligazione principale (in questo caso “committente”) e di un soggetto debitore, l'appaltatore (Musolino, 113). L'appalto è uno di quei contratti per i quali la dottrina richiama l'intuitus. Il tema in questione è stato oggetto di un annoso dibattito: la forte dicotomia in dottrina, ad oggi ancora non del tutto sanata (Musolino, 115), rivela la prevalenza della tesi di coloro che ritengono che gli artt. 1674 (morte dell'appaltatore), 1656 (subappalto) e 81 l. fall. (fallimento; per la nuova disciplina v. l’art. 186 d.lgs. n. 14/2019 “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”) mettano in rilievo la forte connessione tra il contratto di appalto e l'intuitus personae (AA.VV., 41 ss. In particolare si fa riferimento alla necessità dell'autorizzazione al subappalto da parte del committente, allo scioglimento del contratto per morte dell'appaltatore qualora «la considerazione della sua persona sia stata determinante del consenso», all'idoneità del fallimento dell'appaltatore (Ugas, 165). Differenze tra l'appalto ed altre fattispecie negozialiSi ha appalto quando la prestazione della materia costituisce un semplice mezzo per la produzione dell'opera ed il lavoro è lo scopo essenziale del negozio (Cass. n. 3806/1978), in modo che le modifiche da apportare a cose, pur rientranti nella normale attività produttiva dell'imprenditore che si obbliga a fornirle ad altri, consistono non già in accorgimenti marginali e secondari diretti ad adattarle alle specifiche esigenze del destinatario della prestazione, ma sono tali da dar luogo ad un opus perfectum, inteso come effettivo e voluto risultato della prestazione e configurato in modo che la prestazione d'opera assuma, non tanto per l'aspetto quantitativo, ma piuttosto sul piano qualitativo e sotto il profilo teleologico, valore determinante al fine del risultato da fornire alla controparte. In altri termini, occorre aver riguardo alla causa del contratto ed al significato che in relazione ad essa la fornitura della materia e la prestazione d'opera assumono, nella comune intenzione delle parti, in vista del risultato che esse tendono a conseguire (Cass. n. 3807/1995). Da ciò consegue che ai fini della distinzione tra contratto di appalto e contratto di vendita, quando la prestazione consista tanto in un dare quanto in un fare, occorre avere riguardo alla volontà dei contraenti; per cui si ha appalto quando la prestazione della materia costituisce un mezzo per la produzione dell'opera ed il lavoro è lo scopo essenziale del negozio, mentre si ha vendita quando la fornitura riguarda manufatti che rientrano nella normale attività produttiva dell'imprenditore, anche se è necessario apportare modifiche di forma, misura e qualità espressamente richieste dalla controparte (Cass. n. 6925/2001). Occorre, in altre parole, valutare se sia prevalente o meno il lavoro rispetto alla materia (Cass. n. 20391/2008), sulla base degli accordi intercorsi e del tipo di prestazione oggetto del contratto (Cass. n. 23444/2012). In tale direzione, si è precisato che il contratto di appalto ed il contratto di vendita si differenziano in base al carattere prevalente della prestazione sulla materia, per cui si ha appalto quando la prestazione della materia costituisce un mezzo per la produzione dell'opera ed il lavoro è lo scopo essenziale del contratto, mentre si ha vendita quando la prestazione consiste in manufatti che rientrano nella normale attività produttiva dell'imprenditore (Trib. Piacenza, 2 agosto 2023, n. 480). Analogamente, il contratto avente ad oggetto l'impegno a trasferire la proprietà di un'area (nella specie, il 79 per cento dell'intero fondo) in cambio di uno o più unità immobiliari da costruire (nella specie, pari al 21 per cento della volumetria complessivamente realizzabile, da erigersi sulla parte di fondo non ceduta) è qualificabile come preliminare di permuta di cosa futura ove l'intento concreto delle parti abbia ad oggetto il reciproco trasferimento dei beni (presente e futuro), restando meramente strumentale l'obbligo di erigere i fabbricati, mentre integra un appalto se tale obbligazione assume rilievo preminente e ad essa corrisponda quella di versare il corrispettivo (eventualmente sostituito, nella forma atipica do ut facias, dal trasferimento dell'area), anche in compensazione rispetto al prezzo per la vendita immobiliare funzionalmente collegata (Cass. n. 11234/2016). La distinzione tra le due figure contrattuali dell'appalto di servizi e della somministrazione di personale è marcata dal fatto che il contratto di appalto ha ad oggetto un'obbligazione di risultato (con cui l'appaltatore assume, con la propria organizzazione, il compito di far conseguire al committente il risultato promesso), mentre la somministrazione di lavoro sottende una tipica obbligazione di mezzi (attraverso cui l'Agenzia per il Lavoro si limita a fornire prestazioni lavorative organizzate e finalizzate dal committente). Conseguentemente, ove nella gara indetta dalla PA, come nel caso di specie, l'aggiudicatario non abbia alcun risultato da raggiungere, poiché oggetto esclusivo della procedura sono mere prestazioni lavorative (di segreteria, istruttorie o di supporto alla gestione delle attività amministrative), deve ritenersi che si è al cospetto di un contratto di somministrazione di personale e non già di una appalto di servizi (Cons. St. n. 1571/2018). In tema di deduzione di componenti negativi di reddito, ai sensi dell' art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 446 del 1997 , e di esclusione dalla base imponibile ex art. 26-bis della l. n. 196 del 1997 e detrazione dell'IVA, la distinzione tra appalto genuino di cui all' art. 1655 c.c. e illecita somministrazione di manodopera si individua nella concorrenza dei requisiti di assunzione del rischio d'impresa e di direzione e organizzazione di mezzi e materiali necessari da parte dell'appaltatore, tenendo presente che negli appalti "leggeri", a prevalenza di apporto personale di unità specializzate, l'organizzazione può anche essere minima, mentre negli appalti "labour intensive" il requisito si sostanzia soprattutto nell'esercizio del potere direttivo di mezzi e materiali (Cass. n. 20591/2024). Ipotesi di nullità del contratto di appaltoÈ nullo il contratto di appalto non preceduto dall'ottenimento della concessione edilizia relativa all'oggetto dei lavori da eseguire (Cass. n. 7961/2016; Cass. n. 13411/2014). In altri termini, il contratto di appalto per la costruzione di un immobile senza concessione edilizia è nullo, ai sensi degli artt. 1346 e 1418, avendo un oggetto illecito, per violazione delle norme imperative in materia urbanistica, con la conseguenza che tale nullità, una volta verificatasi, impedisce sin dall'origine al contratto di produrre gli effetti suoi propri e ne impedisce anche la convalida ai sensi dell'art. 1423 (Cass. n. 4015/2007). È pur vero che il rigore di tale giurisprudenza è stato mitigato dall'affermazione del principio di diritto in base al quale l'illiceità del contratto di appalto è ravvisabile solo ove esso sia, di fatto, eseguito in carenza di concessione e non pure per il solo fatto che quest'ultima sia rilasciata dopo la data della stipulazione del contratto, di appalto, ma prima della realizzazione dell'opera, posto che non sarebbe conforme alla mens legis la sanzione di nullità irrogata per un contratto il cui adempimento sia stato intenzionalmente posposto al previo ottenimento della concessione o autorizzazione richiesta, con una condotta, quindi, aderente al precetto normativo, potendosi il contratto stesso, considerare sospensivamente condizionato, in forza di presupposizione, al previo ottenimento dell'atto amministrativo, mancante al momento della relativa stipulazione (Cass. n. 3913/2009). Forma del contratto di appaltoL'appalto è un contratto a forma libera, la cui cessione può desumersi dalla volontà comunque manifestata dalle parti (Cass. n. 3916/ 2014). In dottrina, tuttavia, è stato affermato che devono avere ai sensi dell'art. 1350 n. 1, la forma scritta anche i contratti di appalto per la costruzione di immobili qualora il suolo sia di proprietà dell'appaltatore (Rubino, 17). In particolare, il consenso del contraente ceduto alla modificazione soggettiva del rapporto contrattuale, indispensabile alla validità della sua cessione, può essere preventivo, concomitante o successivo ed, oltre che espresso, anche tacito purché manifestato con il valore di elemento costitutivo della cessione (Cass. n. 3102/1987; Cass. n. 7752/1992). Appalto pubblicoAnche nell'appalto di opere pubbliche, stante la natura privatistica del contratto, è configurabile, in capo all'amministrazione committente, creditrice dell'opus, un dovere — discendente dall'espresso riferimento contenuto nell'art. 1206 e, più in generale, dai principi di correttezza e buona fede oggettiva, che permeano la disciplina delle obbligazioni e del contratto — di cooperare all'adempimento dell'appaltatore, attraverso il compimento di quelle attività, distinte rispetto al comportamento dovuto dall'appaltatore, necessarie affinché quest'ultimo possa realizzare il risultato cui è preordinato il rapporto obbligatorio (Cass. n. 10052/2006). Analogamente, la consegna dei lavori — e, quindi, massimamente, dell'area destinata alla loro esecuzione — si iscrive nel dovere della stazione appaltante di cooperare all'adempimento dell'appaltatore, non essendo questi tenuto a (e il più delle volte neppure potendo) farsi carico dell'attività necessaria per acquisire la effettiva disponibilità del suolo di proprietà del committente rimuovendo gli impedimenti alla sua piena utilizzabilità provenienti da diritti di terzi e, perciò, non riconducibili alle difficoltà comprese nel rischio attinente alla organizzazione e gestione dei fattori produttivi, che l'art. 1655 pone a carico dell'assuntore (Cass. n. 5332/1994), ma riferibili al committente, dal momento che la indisponibilità (totale o parziale, originaria o sopravvenuta) dell'area sulla quale l'opera deve essere costruita equivale, per ogni effetto, alla mancata o inesatta consegna (che non deve essere puramente simbolica), con la conseguenza che, ove l'obbligato non provveda in tempi ragionevoli alla rimozione di ostacoli che rendano praticamente impossibile l'inizio o la prosecuzione dei lavori e in assenza, dunque, delle condizioni, giuridiche o di fatto, postulate dal favor legislativo per il mantenimento in vita dell'appalto, sorge per l'appaltatore il diritto potestativo alla risoluzione del contratto (e al pagamento del corrispettivo dei lavori eseguiti, oltre al risarcimento degli eventuali danni imputabili all'altra parte). Sicché in base alla disciplina pubblicistica dell'appalto (Cass. n. 4591/2008; Cass. n. 1263/2012), l'ente appaltante è dotato di specifici e particolarmente intensi poteri di autorizzazione, controllo ed ingerenza nell'esecuzione dei lavori; così da poter, tra il resto, esigere delle varianti, ovvero disporre la sospensione dei lavori stessi per ragioni attinenti sia alle modalità di esecuzione, sia ad altre considerazioni di rilevanza generale. Si tratta, del resto, di poteri che l'amministrazione appaltante può esercitare tramite l'organo a ciò preposto del direttore dei lavori, e che presuppongono proprio la pendenza del rapporto di appalto e, dunque, che non si sia giunti al collaudo ed alla consegna delle opere. La sussistenza di un contratto di appalto cd. "in house" non comporta di per sé l'unicità di titolarità dell'organizzazione produttiva comune alla società-organismo di diritto pubblico e società da essa partecipata al cento per cento, in quanto il rapporto tra i due enti resta di assoluta autonomia; ne deriva che le vicende dei rapporti di lavoro del personale delle società cd."in house providing" sono regolate secondo la disciplina del lavoro privato e a tale regolamentazione deve aversi riguardo per valutare sia gli aspetti funzionali ed estintivi che quelli genetici degli stessi (Cass. n. 7222/2018). In tema di appalto pubblico la disposizione dell'art. 1 del capitolato generale per le opere pubbliche approvato con d.P.R. n. 1063 del 1962, secondo la quale gli imprenditori, per essere ammessi alla gara di appalto, debbono dichiarare di essersi recati sul luogo dei previsti lavori e di avere preso conoscenza delle condizioni locali e di tutte le circostanze che possono avere effetto sulla determinazione dei prezzi e delle condizioni contrattuali e che possono influire sulla esecuzione dell'opera, ha lo scopo di consentire, e nello stesso tempo imporre, all'aspirante appaltatore consapevoli determinazioni in ordine alla misura del prezzo, onde precludere contestazioni basate sull'asserita mancata conoscenza dei luoghi e ridurre al minimo le possibilità di modifiche contrattuali, e non riguarda anche la dichiarazione circa l'esistenza di linee elettriche, telefoniche, telegrafiche, acquedotti e di altri impedimenti del genere, non connessi o dipendenti dalla natura dei luoghi, ma estranei ad essa od in essa occultati, ovvero destinati ad essere rimossi ad opera della stazione appaltante (Cass. n. 40873/2021). Responsabilità dell'appaltatoreIl progettista risponde in solido l'appaltatore sia nel caso in cui egli si sia accorto degli errori e non li abbia tempestivamente denunciati al committente; sia nel caso in cui, pur non essendosi accorto degli stessi, lo avrebbe potuto fare con l'uso della normale diligenza e delle normali cognizioni tecniche. Invero, anche in presenza di un progetto, residua pur sempre un margine di autonomia per l'appaltatore, che gli impone di attenersi alle regole dell'arte e di assicurare alla controparte un risultato tecnico conforme alle esigenze, eliminando le cause oggettivamente suscettibili di inficiare la riuscita della realizzazione dell'opera. Rientra infatti tra gli obblighi di diligenza dell'appaltatore, senza necessità di una specifica pattuizione, esercitare il controllo della validità tecnica del progetto fornito dal committente, posto che dalla corretta progettazione, oltre che dall'esecuzione dell'opera, dipende il risultato promesso e che l'obbligazione dell'appaltatore è qualificata come di risultato (Cass. n. 8016/2012). Conseguentemente, l'appaltatore è esentato da responsabilità solo ove dimostri che gli errori non potevano essere riconosciuti con l'ordinaria diligenza richiesta all'appaltatore stesso; ovvero nel caso in cui, pur essendo gli errori stati chiaramente prospettati e denunciati al committente, questi ha però imposto, direttamente o tramite il direttore dei lavori, l'esecuzione del progetto ribadendo le istruzioni, posto che in tale eccezionale caso l'appaltatore ha agito come nudus minister, a rischio del committente e con degradazione del rapporto di appalto a mero lavoro subordinato (Cass. n. 8016/2012). Pertanto, l'appaltatore è l'esclusivo responsabile dei danni cagionati a terzi poiché nell'esecuzione dei lavori appaltati opera in autonomia, con propria organizzazione e apprestando i mezzi necessari (art. 1655). Mentre, in disparte l'ipotesi di culpa in eligendo, si ha esclusiva responsabilità del committente se questi si sia ingerito nei lavori con direttive vincolanti che abbiano ridotto l'appaltatore al rango di nudus minister (Cass. n. 15782/2006). Nel caso di appalto che non implichi il totale trasferimento all'appaltatore del potere di fatto sull'immobile nel quale deve essere eseguita l'opera appaltata, non viene meno per il committente e detentore del bene il dovere di custodia e di vigilanza e, con esso, la conseguente responsabilità ex art. 2051 che, essendo di natura oggettiva, sorge in ragione della sola sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha determinato l'evento lesivo. (Cass. n. 11761/2018, nella specie, la S.C. ha ritenuto che il lastrico solare, indipendentemente dalla sua consegna all'appaltatore, rimanga sempre nella disponibilità del condominio committente per via della sua funzione primaria di copertura e protezione delle sottostanti strutture murarie). Risoluzione del contratto ed effetto restitutorioIn forza della operatività retroattiva di essa ex art. 1458, si verifica, quindi, per ciascuno dei contraenti ed indipendentemente dall'imputabilità dell'inadempienza, rilevante ad altri fini, una totale restitutio in integrum: tutti gli effetti del contratto vengono meno e con essi tutti i diritti che ne sarebbero derivati e che si considerano come mai entrati nella sfera giuridica dei contraenti stessi. L'obbligazione restitutoria non ha, pertanto, natura risarcitoria, derivando dal venire meno, per effetto della pronuncia costitutiva di risoluzione, della causa delle reciproche obbligazioni (Cass. n. 7829/2003; Cass. n. 3555/2003). In tema di contratto d'opera, l'appaltatore che agisce in giudizio per il pagamento del corrispettivo pattuito ha l'onere di provare il fatto costitutivo del diritto di credito oggetto della sua pretesa e quindi di aver esattamente adempiuto la propria obbligazione conformemente al contratto e alle regole dell'arte (Cass. 25410/2024). BibliografiaAA.VV., L'appalto privato, Trattato diretto da Costanza, Torino 2000; Amore, Appalto e claim, Padova 2007; Cagnasso, Appalto nel diritto privato, in Dig. disc. priv., I, Torino 1987; Capozzi, Dei singoli contratti, Milano, 1988; Cianflone-Giovannini, L'appalto di opere pubbliche, Milano, 2003; DE Tilla, L'appalto privato, Il diritto immobiliare, Milano 2007; Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2013; Iudica, Appalto pubblico e privato. Problemi e giurisprudenza attuali, Padova, 1997; Lapertosa, Responsabilità e garanzia nell'appalto privato, in Aa.Vv., Appalto pubblico e privato. 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