Codice Civile art. 1708 - Contenuto del mandato.Contenuto del mandato. [I]. Il mandato comprende non solo gli atti per i quali è stato conferito, ma anche quelli che sono necessari al loro compimento. [II]. Il mandato generale non comprende gli atti che eccedono l'ordinaria amministrazione, se non sono indicati espressamente (1). (1) V. art. 12 r.d. 14 dicembre 1933, n. 1669; art. 15 r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736. InquadramentoSe il mandato è speciale, cioè conferito per singoli specifici atti, esso può essere esattamente adempiuto solo se il mandatario può porre in essere tutti gli atti necessari a compierlo, anche se non previsti. Se, invece, è generale si presume che esso concerna solo l'ordinaria amministrazione. Atti da compiere da parte del mandatarioIn tema di contratto di mandato, è compito dell'interprete stabilire se una determinata attività preparatoria o accessoria sia compresa nella prestazione dovuta pur se non espressamente menzionata, e ciò in base al principio di buona fede, alla luce del quale ciascuna delle parti del contratto è tenuta ad eseguire non solo quanto espressamente previsto da esso, ma anche tutte le prestazioni necessarie a salvaguardare l'utilità del negozio per la controparte, sempre che non esorbitino dall'oggetto del contratto (Cass. n. 25410/2013). In ogni caso, il contenuto del mandato comprende, ai sensi dell'art. 1708, non solo gli atti per i quali è stato conferito ma anche quelli che sono necessari per il relativo compimento. Le attività accessorie che il mandatario è abilitato a compiere possono consistere, oltre che nel compimento di atti giuridici, nello svolgimento di atti materiali, e nel caso che sia indicato il fine che il mandante si propone, il mandatario può compiere qualsiasi atto idoneo a realizzare detto fine (Cass. n. 27335/2005, nell'affermare il suindicato principio con riferimento a mandato conferito per ottenere il trasferimento di un immobile di cui si era resa aggiudicataria in sede esecutiva, la S.C. ha ritenuto avere correttamente il giudice del merito ravvisato estendersi il mandato anche, quali atti necessari al suo compimento, all'indicazione della società mandante ai sensi dell'art. 583 c.p.c. e al pagamento del residuo prezzo). Si è ritenuto che tra gli atti necessari al compimento del mandato che, ai sensi dell'art. 1708, sono ricompresi nel suo ambito, vanno considerati quelli che si riconnettono all'attività espressamente consentita e ne costituiscono l'ulteriore svolgimento naturale, e non anche quelli che non si pongono come necessari e conseguenziali per l'adempimento del mandato, costituendone invece un ulteriore sviluppo, attraverso una dilatazione dell'oggetto. Al fine di un tal tipo di valutazioni, e perciò al fine di stabilire contenuto ed estensione del mandato conferito per l'espletamento di una determinata attività, ovviamente non si può non tener conto di atti il cui compimento sia reso obbligatorio dalla legge, dovendosi ritenere — anzi — che in un tal caso neppure si ponga concretamente un problema di individuazione dei limiti del mandato, perché il mandante (salva l'ipotesi di un espresso divieto formulato al mandatario) non può comunque ignorare che il mandatario è tenuto al rispetto della legge (Cass. n. 5932/1999). Peraltro, il principio fissato dall'art. 1708 c.c., secondo il quale, di regola, vanno ricompresi nel mandato tutti gli atti necessari al compimento del negozio per il quale il mandato è stato conferito, trova applicazione al caso del mandatario munito del potere di quietanzare, anche se il pagamento sia avvenuto in epoca anteriore (e non contestualmente) al rilascio della quietanza, ed anche se non sia stato ricevuto direttamente dal rappresentante (Cass. n. 10687/2002). In tale direzione si è osservato che il mandato per la riscossione di un credito non si estende alla transazione col debitore, la quale, ai sensi dell'art. 1708 c.c., è atto meramente eventuale, ulteriore rispetto all'attività espressamente consentita (Cass. n. 2153/2014). In tema di condominio, si è osservato che l'art. 63 disp. att. c.c. non prevede un obbligo, ma solo una facoltà di agire in via monitoria contro i condomini morosi (“può ottenere decreto di ingiunzione...») e, pertanto, non merita censura la decisione impugnata laddove ha escluso la violazione dell'obbligo di diligenza da parte dell'amministratore per essersi comunque attivato nella raccolta dei fondi, avendo comunque messo in mora gli inadempienti (Cass. n. 24920/2017 ove si è rilevato che l'indagine circa l'osservanza o meno da parte del mandatario degli obblighi di diligenza del buon padre di famiglia che lo stesso è tenuto ad osservare ex artt. 1708 e 1710 c.c. — anche in relazione agli atti preparatori, strumentali e successivi all'esecuzione del mandato — è affidata al giudice del merito, con riferimento al caso concreto ed alla stregua degli elementi forniti dalle parti, il cui risultato, fondato sulla valutazione dei fatti e delle prove, è insindacabile in sede di legittimità). Infatti, l'amministratore ha, nei riguardi dei partecipanti al condominio, una rappresentanza volontaria, in mancanza di un ente giuridico con una rappresentanza organica, talché i poteri di lui sono quelli di un comune mandatario, conferitigli, come stabilito dall'art. 1131 c.c., sia dal regolamento di condominio sia dalla assemblea condominiale (Cass. n. 8339/2014; Cass. n. 14589/2011). Nell'esercizio delle funzioni assume la veste del mandatario e pertanto è gravato dall'obbligo di eseguire il mandato conferitogli con la diligenza del buon padre di famiglia a norma dell'art. 1710 c.c. Pertanto, nella ipotesi in cui l'amministratore abbia più volte sollecitato, anche per iscritto, i condomini morosi al versamento delle quote condominiali, deve escludersi ogni responsabilità a suo carico, avendo egli la facoltà e non l'obbligo di ricorrere all'emissione di un decreto ingiuntivo nei riguardi dei condomini morosi (Cass. n. 24920/2017). Tale conclusione appare corretta perché l'art. 63 disp. att. c.c., non prevede un obbligo, ma solo una facoltà di agire in via monitoria contro i condomini morosi ("può ottenere decreto di ingiunzione...») e pertanto non può essere contestata alcuna violazione dell'obbligo di diligenza da parte dell'amministratore che comunque si sia attivato nella raccolta dei fondi, avendo comunque messo in mora gli inadempienti (e l'indagine circa l'osservanza o meno da parte del mandatario degli obblighi di diligenza del buon padre di famiglia che lo stesso è tenuto ad osservare ex artt. 1708 e 1710 c.c. — anche in relazione agli atti preparatori, strumentali e successivi all'esecuzione del mandato — è affidata al giudice del merito, il cui risultato, fondato sulla valutazione dei fatti e delle prove, è insindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 13513/2002). Il giudice di legittimità ha ribadito quanto già affermato dalla costante giurisprudenza ante l. n. 220/2012, ovvero che il rapporto tra amministratore e condominio va inquadrato nell'ambito del mandato ed è disciplinato, per il caso di specie, dall'art. 1710 c.c. concernente le modalità di esecuzione dello stesso secondo la diligenza del buon padre di famiglia. Detto rapporto, inoltre, non cambia neppure se l'amministratore è stato designato dal Tribunale ai sensi dell'art. 1129, comma 1 c.c. (Cass. n. 21966/2017). È stato, inoltre, evidenziato che il rappresentante dell'Ente gode dei poteri attribuitigli dalla legge (artt. 1130 e 1131 c.c.) tanto in forza della volontà assembleare, quanto del regolamento di condominio. Rispetto a quest'ultimo va osservato che, secondo la giurisprudenza, la sussistenza di una clausola regolamentare, che imponga all'amministratore di mettere in atto una formale richiesta di adempimento a chi non è in regola verso il condominio, non preclude il ricorso alla via monitoria per il recupero delle somme non versate. La mancanza di una diffida stragiudiziale, infatti, può determinare — al più — la violazione di una regola di condotta, che fa discendere in capo all'amministratore medesimo una responsabilità da inesatto adempimento (Cass. n. 9181/2013). Il rappresentante dell'ente, infatti, non è titolare di un potere generale di spesa che gli consenta di sopperire, con proprie risorse, alla mancanza di fondi nelle casse comuni, trattandosi di prerogativa riservata all'assemblea, sia in termini di approvazione dei bilanci, sia per quanto concerne la valutazione dell'opportunità delle anticipazioni effettuate dall'amministratore, salvo il caso di lavori urgenti previsti dagli artt. 1130 e 1135 c.c. (Cass. n. 14197/2011). Peraltro, non si può ignorare che le morosità in ambito condominiale non nascono all'improvviso ma si formano nel tempo, favorite spesso anche dall'inerzia degli amministratori i quali, invece di azionare tempestivamente il procedimento monitorio sopperiscono in alcuni casi, del tutto improvvidamente, con fondi propri. Da ultimo, anche se una delle attribuzioni fondamentali in capo all'amministratore è quella di «riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell'edificio e per l'esercizio dei servizi comuni» (art. 1130, comma 1, n. 2 c.c.) me consegue che per conseguire il fine voluto dal legislatore l'amministratore, che non abbia violato l'art. 1710 c.c., non è obbligato a richiedere decreto ingiuntivo di pagamento. Tale soluzione si fonda sul significato letterale dell'art. 63, comma 1 disp. att. c.c., che utilizza il verbo «può» e non «deve», lasciando all'amministratore la facoltà di ricorrere a tale strumento per recuperare i fondi per il condominio. Strumento che, spesso, non viene utilizzato poiché i costi del decreto ingiuntivo, anche con riferimento alle competenze spettanti al difensore del condominio, non sempre sono di poco conto e, proprio per questo, non affrontabili se le casse dell'Ente, sono incapienti. Si è precisato che al rapporto che si instaura fra l'ente locale ed il servizio di tesoreria si applica la disciplina del mandato, che impone al mandatario di eseguire le istruzioni con la diligenza tipica che il rapporto richiede e che la stessa professionalità del mandatario impone, con la conseguenza che, in caso di indicazioni incongrue da parte del mandante, è obbligo del tesoriere rilevare e comunicare al mandante l'incongruenza o l'errore commesso. (Cass., n. 788372024, nella specie, la S.C., accogliendo il ricorso, ha affermato la responsabilità del tesoriere il quale, nell'ambito di una procedura di pignoramento presso terzi, pur avendo ricevuto dal Comune, terzo pignorato, l'ordine di eseguire due distinti bonifici, l'uno in favore del creditore pignorante, per la somma pignorata, e l'altro nei confronti del debitore esecutato, per il residuo dovuto, non aveva rilevato l'incongruità dell'indicazione del medesimo codice "iban" per entrambi ed aveva così effettuato un unico bonifico dell'intero importo a favore del debitore esecutato, esponendo l'ente locale ad una ulteriore richiesta di pagamento da parte del creditore). BibliografiaBaldi-Venezia, Il contratto di agenzia. La concessione di vendita. 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