Codice Civile art. 1751 - Indennità in caso di cessazione del rapporto (1).

Caterina Costabile

Indennità in caso di cessazione del rapporto (1).

[I]. All'atto della cessazione del rapporto il preponente è tenuto a corrispondere all'agente un'indennità se ricorrono le seguenti condizioni (2):

l'agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti;

il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l'agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti.

[II]. L'indennità non è dovuta:

quando il preponente risolve il contratto per un'inadempienza imputabile all'agente, la quale, per la sua gravità, non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto;

quando l'agente recede dal contratto, a meno che il recesso sia giustificato da circostanze attribuibili al preponente o da circostanze attribuibili all'agente, quali età, infermità o malattia, per le quali non può più essergli ragionevolmente chiesta la prosecuzione dell'attività;

quando, ai sensi di un accordo con il preponente, l'agente cede ad un terzo i diritti e gli obblighi che ha in virtù del contratto d'agenzia.

[III]. L'importo dell'indennità non può superare una cifra equivalente ad un'indennità annua calcolata sulla base della media annuale delle retribuzioni riscosse dall'agente negli ultimi cinque anni e, se il contratto risale a meno di cinque anni, sulla media del periodo in questione.

[IV]. La concessione dell'indennità non priva comunque l'agente del diritto all'eventuale risarcimento dei danni.

[V]. L'agente decade dal diritto all'indennità prevista dal presente articolo se, nel termine di un anno dallo scioglimento del rapporto, omette di comunicare al preponente l'intenzione di far valere i propri diritti.

[VI]. Le disposizioni di cui al presente articolo sono inderogabili a svantaggio dell'agente.

[VII]. L'indennità è dovuta anche se il rapporto cessa per morte dell'agente (3).

(1) Articolo così sostituito dall'art. 4 d.lg. 10 settembre 1991, n. 303.

(2) Alinea così sostituito dall'art. 5 1 d.lg. 15 febbraio 1999, n. 65. Il testo recitava: «All'atto della cessazione del rapporto il preponente è tenuto a corrispondere all'agente un'indennità se ricorra almeno una delle seguenti condizioni:».

(3) Comma aggiunto dall'art. 52 d.lg. n. 65, cit.

Inquadramento

La norma stabilisce, a favore, dell'agente, un diritto all'indennità ove cessi il rapporto di agenzia.

Il suo fondamento viene individuato dalla dottrina nella volontà del legislatore codicistico di tutelare — pur in presenza di una legittima scelta del preponente di organizzare in piena autonomia la propria attività — la parte più debole del rapporto di lavoro in presenza di eventi per lo stesso di per sé oggettivamente pregiudizievoli (Toffoletto, 109; Trioni, in Comm. S. B., 217).

La giurisprudenza ha osservato che l'art. 1751 fa derivare, dalla cessazione del rapporto di agenzia, due diverse conseguenze economiche: quella connessa alla semplice cessazione del rapporto (da considerare in sé fatto lecito, Cass. lav., n. 9426/2008), che dà diritto all'indennità prevista nel comma 1 (quando ne ricorrono i presupposti), e quella, prevista dal comma 4, relativa al risarcimento dei danni ulteriori da fatto illecito contrattuale o extracontrattuale. Tali distinte ipotesi possono cumularsi, ove nella condotta del preponente sussistano i requisiti soggettivi ed oggettivi di detto illecito (Cass. lav., n. 18264/2013).

La S.C. ha chiarito che il credito derivante dal rapporto di agenzia per provvigioni e indennità è un caratteristico credito di valuta: pertanto, il creditore, il quale intenda ottenere il ristoro del pregiudizio di svalutazione monetaria, ha l'onere di domandare il risarcimento del maggior danno ai sensi dell'art. 1224, comma 2, e non può limitarsi a domandare semplicemente la condanna del debitore al pagamento del capitale e della rivalutazione, non essendo questa ultima una conseguenza automatica del ritardato adempimento delle obbligazioni di valuta (Cass. II, n. 19218 /2016).

L'indennità di scioglimento del rapporto

L'attuale testo dell'art. 1751 è frutto del recepimento degli art. 17, 18 e 19 della direttiva 86/653/Cee.

La direttiva offriva agli Stati membri la possibilità di optare tra due modelli alternativi: quello cd. compensativo e quello risarcitorio, mutuati rispettivamente dal sistema tedesco e francese.

L'alternativa era esplicitata dallo stesso legislatore comunitario e risultava confortata dalla formulazione testuale dell'art. 17 che obbligava i paesi destinatari a garantire all'agente commerciale un'indennità in applicazione del paragrafo 2 o la riparazione del danno subito in applicazione del paragrafo 3”.

La scelta del legislatore italiano è stata a favore della prima soluzione (Bortolotti, 819).

Il previgente testo dell'art. 1751 prevedeva l'erogazione dell'indennità in tutti i casi di scioglimento del contratto di agenzia a tempo indeterminato, che, quanto alla misura, veniva rigidamente proporzionata alle provvigioni percepite dall'agente nel corso del rapporto: per la determinazione dell'indennità l'art. 1751 rinviava agli accordi economici collettivi, che prevedevano l'accantonamento al Fondo indennità di risoluzione del rapporto (firr) presso l'Enersarco; a detta indennità si aggiungeva la cd. “indennità suppletiva” prevista dalla contrattazione collettiva, che ne disponeva l'erogazione solo in caso di risoluzione e per fatto non imputabile all'agente.

Il nuovo testo dell'art. 1751 ha invece sottoposto il diritto l'indennità a precise condizioni (previste in via alternativa dal d.lgs. n. 303/1991 ed in via cumulativa dal d.lgs. n. 65/1999): ovvero che

- l'agente abbia procurato al proponente nuovi clienti o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti;

- il pagamento di tale indennità sia equo tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l'agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti.

La giurisprudenza ha rimarcato che l'attribuzione dell'indennità è condizionata non soltanto alla permanenza, per il preponente, di sostanziali vantaggi derivanti dall'attività di promozione degli affari compiuta dall'agente, ma anche alla rispondenza ad equità dell'attribuzione, in considerazione delle circostanze del caso concreto ed in particolare delle provvigioni perse da quest'ultimo (Cass. II, n. 11369/2014;).

La direttiva non prevedeva alcun criterio preciso per la determinazione dell'indennità che è stata pertanto rimessa agli stati membri.

Il legislatore italiano ha stabilito che l'importo dell'indennità di scioglimento non può superare una cifra equivalente ad un'indennità annua calcolata sulla base della media annuale delle retribuzioni riscosse dall'agente negli ultimi cinque anni e, se il contratto risale a meno di cinque anni, sulla media del periodo in questione (comma 3).

L'indennità è dovuta anche se il rapporto cessa per morte dell'agente (comma 7) ed è assistita dal privilegio generale mobiliare di cui all'art. 2751-bis, n. 3.

La S.C. ha recentemente chiarito che, ai fini della determinazione dell'indennità in caso di cessazione del rapporto di agenzia per recesso del preponente ex art. 1751 nella base di computo vanno ricomprese non soltanto le provvigioni maturate, ma anche quelle percepite come "fisso provvigionale", atteso che la previsione codicistica fa riferimento, in relazione al profilo del "quantum", al più ampio concetto di "retribuzioni riscosse" - nel quale va ricompreso il minimo provvigionale garantito -, mirando detta previsione ad indennizzare l'agente per la perdita del contratto e, perciò, dei vantaggi che il contratto stesso gli avrebbe procurato (Cass. lav., n. 23547/2023).

Dubbi interpretativi e l'intervento della Corte di Giustizia

Con riferimento alla nuova disciplina dettata dall'art. 1751 erano sorti in giurisprudenza dei dubbi interpretativi in ordine al tenore ed alle finalità dell'art. 17 della predetta direttiva e, eventualmente, circa i criteri relativi alla quantificazione dell'indennità.

La S.C. (Cass. lav., ord. n. 20410/2004) ha investito della questione, ai sensi dell'art. 150, ultimo comma, l. n. 1203/1957, la Cgue che con la sentenza 23 marzo 2006, n. 465 (Haonyvem c. De Zotti), ha chiarito che l'art. 19 della direttiva del Consiglio 18 dicembre 1986, 86/653/Cee dev'essere interpretato nel senso che l'indennità di cessazione del rapporto che risulta dall'applicazione dell'art. 17, n. 2, di tale direttiva non può essere sostituita da un'indennità determinata, in applicazione di un accordo collettivo, secondo criteri diversi da quelli fissati da quest'ultima disposizione a meno che non sia provato che l'applicazione di tale accordo garantisca, in ogni caso, all'agente commerciale un'indennità pari o superiore a quella che risulterebbe dall'applicazione della summenzionata norma.

I giudici di legittimità si sono adeguati a detta interpretazione della normativa sin dalle prime pronunce successive (Cass. lav., n. 21301/2006; Cass. lav., n. 21309/2006) evidenziando che, fini della quantificazione dell'indennità di cessazione del rapporto spettante all'agente nel regime precedente all'accordo collettivo del 26 febbraio 2002 che ha introdotto l' «indennità meritocratica», ove l'agente provi di aver procurato nuovi clienti al preponente o di aver sviluppato gli affari con i clienti esistenti (ed il preponente riceva ancora vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti) è necessario verificare — secondo un esame dei dati concreti ex post — se, fermi i limiti posti dall'art. 1751, comma 3, l'indennità determinata secondo l'Accordo economico collettivo del 27 novembre 1992 sia corrispondente, o no, al canone di equità prescritto dal primo comma dell'art. 1751, tenuto conto di tutte le circostanze del caso ed in particolare delle provvigioni che l'agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti. Qualora il giudice non la ritenga tale, deve riconoscere all'agente il differenziale necessario per riportarla ad equità (Cass. lav. n. 486/2016; Cass. lav., n. 25904/2014).

Ipotesi in cui l'indennità non è dovuta

L'indennità non è dovuta quando (Quattrocchio, 4):

- il preponente risolve il contratto per una inadempienza imputabile all'agente la quale, per la sua gravità, non consenta la prosecuzione nemmeno provvisoria del rapporto;

- l'agente recede dal contratto, a meno che il recesso sia giustificato da circostanze attribuibili al preponente o da circostanze attribuibili all'agente, quali età, infermità o malattia, per le quali non può più essergli ragionevolmente chiesta la prosecuzione dell'attività;

- l'agente, ai sensi di un accordo con il preponente, cede ad un terzo i diritti e gli obblighi che ha in virtù del contratto d'agenzia

La giurisprudenza ritiene che la cessione d'azienda può integrare una giusta causa di recesso dell'agente dal contratto di agenzia se il cessionario non offre una sufficiente garanzia del regolare adempimento delle obbligazioni derivanti dalla prosecuzione del rapporto di durata e, più in generale, della regolare prosecuzione dell'attività dell'azienda cui è connessa l'attività dell'agente medesimo (Cass. lav., n. 21445/2007).

Risarcimento del danno

Il quarto comma dell'art. 1751 enuclea il diritto dell'agente al risarcimento del danno.

La giurisprudenza ha evidenziato che la previsione legislativa, secondo cui la concessione all'agente dell'indennità di cessazione del rapporto non lo priva comunque del «diritto all'eventuale risarcimento dei danni», si riferisce a danni ulteriori da fatto illecito contrattuale o extracontrattuale contemplato dal comma 1 dello stesso art. 1751, con il quale può pertanto cumularsi, sempre che nella condotta del preponente sussistano i requisiti soggettivi ed oggettivi di detto illecito (Cass. II, n. 27294/2013;). 

Tra i fatti illeciti rientranti nella previsione normativa possono essere annoverati, ad esempio, l'illecito connesso alla violazione dei doveri informativi, al mancato pagamento di provvigioni maturate, a fatti di denigrazione professionale, alla ingiuriosità del recesso del preponente, alla induzione dell'agente ad oneri e spese di esecuzione del contratto prima della sua inopinata risoluzione (Cass. lav., n. 9426/2008).

La S.C. ha di contro ritenuto che l'esercizio, da parte del preponente, della facoltà di recedere "ad nutum" dal rapporto di agenzia, salvo il dovere del preavviso, non costituisce inadempimento contrattuale ma legittima esplicazione di un diritto potestativo, dal cui esercizio, pertanto, non deriva, di per sé, all'agente alcun danno risarcibile (Cass. II, n. 3251/2017).

Prescrizione e decadenza

Il diritto ad ottenere il pagamento della indennità di scioglimento del rapporto si prescrive nell'ordinario termine decennale, e non nel termine quinquennale di cui all'art. 2948, n. 5 (Cass. lav., n. 1269/1984).

I giudici di legittimità hanno all'uopo evidenziato che la domanda volta alla declaratoria dell'illegittimità del recesso del preponente dal contratto di agenzia per insussistenza di giusta causa ha efficacia interruttiva della prescrizione, ai sensi degli art. 2943 e 2945, con riguardo al credito dell'agente per l'indennità di cessazione del rapporto, senza necessità che sia proposta una specifica domanda diretta a farlo valere, trattandosi di diritto che si ricollega con un nesso di causalità esclusivo alla definizione del contenzioso sulla legittimità del recesso stesso (Cass. VI., n. 8983/2015).

L'art. 1751, comma 5, ha introdotto un termine di decadenza, correlato alla mancata comunicazione al preponente dell'intenzione di far valere i propri diritti, da effettuarsi entro un anno dallo scioglimento del rapporto.

Il termine inizia a decorrere dalla data di scioglimento del rapporto, ovvero dalla scadenza dell'eventuale termine di preavviso.

L'avvenuta decorrenza del termine non è rilevabile dal giudice d'ufficio, secondo le regole generali (art. 2969).

La S.C. ha ritenuto inidonea ad impedire la decadenza annuale di cui all'art. 1751, comma 5, una missiva che non conteneva alcun riferimento all'indennità di fine rapporto, ma si riferiva a pretese collegate ad un rapporto di lavoro subordinato (Cass. l, n. 3851/2017). 

Anche la richiesta parziale dell'indennità di cessazione del rapporto entro il termine annuale di cui all'art. 1571, comma 5, c.c., in qualunque modo effettuata, purché con specificazione del titolo, impedisce qualsiasi decadenza, consentendo all'agente di chiederne un'integrazione senza essere assoggettato al termine medesimo (Cass. II, n. 22535/2022).

Inderogabilità

Le disposizioni dell'art. 1751 sono inderogabili a svantaggio dell'agente.

Il comma 6 — che sancisce il summenzionato divieto peggiorativo per l'agente — viene interpretato dalla giurisprudenza nel senso che il giudice deve sempre applicare la normativa che assicuri all'agente il risultato migliore, in quanto la prevista inderogabilità a svantaggio dell'agente comporta che l'importo determinato giudizialmente ai sensi della normativa legale deve prevalere su quello, inferiore, spettante in applicazione di regole pattizie, individuali o collettive (Cass. lav., n. 15375/2017; Cass. lav., n. 7567/2014). Conseguentemente è possibile l'applicazione delle norme collettive del settore ove risultino essere di maggior favore rispetto alla disciplina legale (Cass. II,n. 3713/2024).

Bibliografia

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