Codice Civile art. 1756 - Rimborso delle spese.

Caterina Costabile

Rimborso delle spese.

[I]. Salvo patti o usi contrari, il mediatore ha diritto al rimborso delle spese nei confronti della persona per incarico della quale sono state eseguite anche se l'affare non è stato concluso.

Inquadramento

La giurisprudenza reputa che l'art. 1756, riconoscendo al mediatore, salvo patti o usi contrari, unicamente il diritto al rimborso delle spese nell'ipotesi in cui l'affare non sia stato concluso, copre ogni possibile ipotesi di mancata conclusione del contratto tra le persone messe in relazione dal mediatore (Cass. III, n. 11244/2003).

L'interpretazione di tale norma ha dato luogo in dottrina a soluzioni contrastanti: da un lato si è infatti sostenuto che debbano essere rimborsate al mediatore tutte le spese da lui sostenute nell'ambito e ai fini dell'incarico conferitogli (Azzolina, in Tr. Vas., 1955, 126), dall'altro è stato ritenuto che l'obbligo di rimborsare le spese presuppone uno specifico incarico al compimento dell'attività che importa l'effettuazione delle spese, non già quello generico a svolgere opera di mediazione, e trae vita da un negozio che non ha nulla a che fare con la mediazione (Carraro, 51).

Rimborso spese

In caso di mancata conclusione dell'affare il mediatore non può dolersi della circostanza che il committente, avvalendosi della facoltà di scelta che la legge gli attribuisce, abbia deciso di non concludere il contratto intermediato, poiché questi non ha l'obbligo di concludere il contratto, neppure alle condizioni previste nell'incarico conferito al mediatore.

Pertanto, in caso di mancata conclusione dell'affare il mediatore ha unicamente diritto al rimborso delle spese ai sensi dell'art. 1756, restando, viceversa, escluso qualsiasi obbligo di risarcimento per i danni che il mediatore deduca di aver subito per non aver percepito la provvigione (Cass. III, n. 5095/2006).

L'obbligo di rimborso delle spese erogate dal mediatore, previsto dall'art. 1756, costituisce debito di valuta, rimanendo perciò sottoposto al principio nominalistico (Cass. III, n. 186/1982).

Limiti di validità delle clausole in deroga

Il patto col quale sia previsto il diritto del mediatore al compenso anche nel caso di mancata conclusione dell'affare viene ritenuto valido qualora colleghi il diritto alla provvigione ad un fatto diverso dal mero conferimento dell'incarico (Cass. III, n. 7067/2002).

Fatto diverso normalmente concretantesi nell'avere il mediatore svolto per un certo tempo una effettiva attività di ricerca di terzi interessati all'affare ed essere pervenuto al risultato entro un certo termine od anche non esservi pervenuto, se prima della scadenza del termine la parte ritira l'incarico al mediatore: in questi casi, difatti, la provvigione costituisce il compenso per aver il mediatore assunto ed adempiuto l'obbligo di impegnare la propria organizzazione nella ricerca del terzo interessato all'affare.

La giurisprudenza ha, pertanto, chiarito che qualora il contratto preveda un compenso in misura identica (o vicina) a quella stabilita per l'ipotesi di conclusione dell'affare per l'ipotesi in cui il conferente l'incarico rifiuti, anche ingiustificatamente, di concludere l'affare propostogli dal mediatore, il giudice deve verificare se tale clausola determini uno squilibrio fra i diritti e gli obblighi delle parti e debba, quindi, ritenersi vessatoria ai sensi dell'art. 33, comma 1, d.lgs. n. 206/2005, a meno che in tale pattuizione non sia chiarito che il compenso sia dovuto per l'attività sino a quel momento esplicata (Cass. III, n. 22357/2010).

Nell'ipotesi in cui il rifiuto di concludere l'affare sia, invece, dovuto all'esistenza di circostanze ostative, di cui il conferente l'incarico abbia omesso di informare il mediatore al momento della conclusione del contratto o cui abbia dato causa successivamente, si ritiene configurabile una responsabilità dello stesso conferente per la violazione dei doveri di correttezza e buona fede.

In tal caso la previsione dell'obbligo di pagare comunque la provvigione può integrare una clausola penale, soggetta al disposto dell'art. art. 33, comma 2, lett. f), d.lgs. n. 206/2005, concernente la presunzione di vessatorietà delle clausole che, in caso di inadempimento, prevedono il pagamento di una somma manifestamente eccessiva (Cass. III, n. 22357/2010).

Bibliografia

Carraro, La mediazione, Padova, 1960; Cataudella, Mediazione, in Enc. giur., XIX, Roma, 1990; Giordano, Struttura essenziale della mediazione, in Riv. dir. comm. 1957, I, 214; Guidotti, Ancora in tema di mediazione, in Giur. comm. 2005, 2, 176; Guidotti, La mediazione, in Contr. impr. 2004, 927; Minasi, Mediazione, in Enc. dir., XXVI, Milano, 1976; Rolfi, Il mediatore ed il diritto alla provvigione, in Giur. mer. 2011, 1, 85; Sesti, Responsabilità aquiliana del mediatore-mandatario nei confronti del soggetto promissario acquirente del bene, in Resp. civ. e prev. 2009, 11, 2286.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario