Codice Civile art. 1839 - Cassette di sicurezza.Cassette di sicurezza. [I]. Nel servizio delle cassette di sicurezza, la banca risponde verso l'utente per l'idoneità e la custodia dei locali e per l'integrità della cassetta, salvo il caso fortuito. InquadramentoLa cassetta di sicurezza è una cassetta metallica, le cui dimensioni possono essere diverse, contenuta in un loculo costruito insieme con altri in appositi locali, solidamente costruiti e spesso blindati, dalla banca, in modo da offrire il massimo di sicurezza non soltanto nei confronti di eventuali manomissioni, ma anche di fronte a eventuali incendi, terremoti ecc. Il loculo, nel quale la cassetta è contenuta, è chiuso e per aprirlo occorrono due chiavi, una delle quali rimane in possesso della banca, mentre l'altra viene consegnata al cliente che si assicura il godimento della cassetta di sicurezza: la cooperazione della banca è quindi necessaria per provvedere all'apertura e alla chiusura della cassetta. Le operazioni di immissione e di prelievo di valori, documenti o altro nella cassetta sono compiute dal cliente da solo, con la conseguenza che alla banca sfugge in modo assoluto il contenuto della cassetta (Cerrai, 14; Cirenei, 1; Ferri, 459). Particolari cautele sono previste per l'accesso ai locali blindati e per assicurare che l'apertura della cassetta di sicurezza avvenga soltanto da parte di colui che se ne è procurato il godimento, al quale viene rilasciata al momento del contratto una speciale tessera di riconoscimento. Date queste caratteristiche, le cassette di sicurezza offrono, con il massimo di garanzia, il massimo di segretezza e ciò spiega la larga utilizzazione che ne viene fatta. L'art. 1839 disciplina la responsabilità della banca esercente il servizio di cassette di sicurezza nei confronti del cliente, stabilendo che la stessa risponde per l'idoneità e la custodia dei locali e per l'integrità della cassetta con il limite del caso fortuito. Natura giuridicaLa natura giuridica del contratto intercorrente tra banca e cliente non è pacifica in dottrina. Alla tesi che si tratti di un contratto di deposito bancario (che è la tesi sostenuta per prima e che trova una giustificazione nel fatto che storicamente le cassette di sicurezza sono una derivazione dei depositi chiusi) si contrappone la tesi che si tratti di un mero contratto di locazione, tesi che trova la sua giustificazione nel contenuto stesso del contratto che appunto si sostanzia nella concessione dell'uso di una cassetta sia pure dotata di particolari qualità, verso corrispettivo di un canone (Molle, in Tr. C. M., 1981, 799). Tra le due tesi contrapposte si pone come tesi intermedia quella del contratto misto di locazione e di deposito (Ferri, 460) La più accreditata è, tuttavia, quella che ritiene si tratti di un contratto tipico, per adesione, consensuale, a prestazioni corrispettive, non aleatorio, ad esecuzione continuata e di contenuto unitario (Liace, in Comm. S., 2012, 45 ss.; Papanti-Pelletier, 189). Ad avviso della giurisprudenza il contratto di cui all'art. 1839 assume le caratteristiche di un contratto consensuale simile alla locazione di cose ed alla locatio operis in quanto la banca (verso il corrispettivo di un canone) assume le obbligazioni tipiche di concedere in uso dei locali idonei all'espletamento del servizio, di provvedere alla custodia dei locali medesimi e di tutelare l'integrità delle cassette. L'oggetto del contratto viene, conseguentemente, ravvisato non nella custodia, né nella garanzia delle cose contenute nelle cassette, bensì nella sicurezza degli stessi locali dell'azienda di credito in cui le cassette sono situate. Le prestazioni della banca dedotte in contratto consistono, pertanto, in un facere avente come esclusivo termine di riferimento non il contenuto delle cassette bensì i locali in questione, pertanto le modalità di esecuzione del facere debbono corrispondere alla professionalità del bonus argentarius, richiedente un massimo grado di diligenza nella predisposizione dei mezzi idonei rispetto agli eventi pregiudizievoli comunque prevedibili (Cass. I, n. 5421/1992). Responsabilità della banca: il caso fortuitoLa dottrina qualifica l'obbligazione della banca come di risultato, in ragione del fatto che la scelta dei mezzi con i quali garantire l'integrità della cassetta non dipende dal regolamento pattizio, bensì dalla libera determinazione della banca: soltanto nel caso si verifichi un furto o un danneggiamento si verificherà ex post l'adeguatezza delle cautele poste in essere dall'istituto di credito (Cerrai, 17; Cirenei, 4). Il limite della responsabilità della banca per caso fortuito non è visto dalla giurisprudenza in termini differenti da quanto stabilito in via generale dall'art. 1218. La S.C. reputa difatti che nel caso di sottrazione dei beni custoditi nella cassetta di sicurezza a seguito di furto — il quale non integra il caso fortuito, in quanto è evento prevedibile, in considerazione della natura della prestazione dedotta in contratto — grava sulla banca, ai sensi dell'art. 1218, l'onere di dimostrare che l'inadempimento dell'obbligazione di custodia è ascrivibile ad impossibilità della prestazione ad essa non imputabile (Cass. I, n. 28835/2011). In siffatte ipotesi, quindi, l'onere della prova a carico della banca in ordine all'assenza di colpa grave ha ad oggetto l'accertamento della previsione e concreta attivazione di misure di prevenzione dei furti adeguate alle conoscenze dell'epoca (Cass. I, n. 19363/2011). Clausole di limitazione di responsabilità e clausole di limitazione dell'oggettoI moduli prestampati utilizzati nella prassi bancaria prevedono di regola delle clausole limitatrici della responsabilità. Fino all'anno 1976 la clausola era formulata in modo tale da limitare — attraverso l'indicazione del valore massimo del contenuto della cassetta — la stessa responsabilità della banca per i danni di importo superiore ad una somma predeterminata, peraltro esigua. La S.C., chiamata a pronunciarsi sulla validità di tale clausola, stabilì che essa comportasse una vera limitazione di responsabilità e che, come tale, dovesse ritenersi nulla, ai sensi dell'art. 1229, nel caso in cui l'inadempimento fosse dovuto a dolo o a colpa grave (Cass. I, n. 1129/1976). Fu allora predisposta una nuova formulazione della clausola, la quale, conteneva una (apparente) limitazione dello stesso oggetto del contratto, facendo espresso divieto all'utente di immettere nella cassetta di sicurezza oggetti aventi un valore superiore ad una somma predeterminata (art. 2 della circolare Abi 28 settembre 1976, cd. norme bancarie uniformi). Nel caso di violazione di tale precetto, questi si renderebbe per ciò stesso inadempiente e dunque la banca, se fosse chiamata a rispondere dei danni subiti, limiterebbe la sua responsabilità a quel valore predeterminato. La dottrina (Papanti — Pelletier, 194) ha tuttavia evidenziato che la clausola n. 2 delle norme bancarie uniformi per il servizio delle cassette di sicurezza del 1976, richiamata nei singoli contratti, avente ad oggetto l'impegno del cliente a non conservare nella cassetta cose di valore complessivo superiore a quello convenuto, non integra l'oggetto del contratto introducendo un ulteriore obbligo del cliente, oltre quello primario di corrispondere il canone, ma ha l'unica funzione di limitare la responsabilità della banca. Anche la giurisprudenza si era attestata su tale posizione evidenziando che detta pattuizione mantiene la sua validità, quale espressione di autonomia contrattuale non contraria a norme imperative, in ipotesi di colpa lieve, mentre per il caso di dolo o colpa grave, non solo contrasta con il principio di ordine pubblico interno insito nella norma dell'art. 1229, ma è anche inconciliabile con la funzione che il legislatore ha inteso assegnare alle cassette di sicurezza, in virtù della professionalità bancaria, cui deve connettersi un servizio caratterizzato dal massimo di sicurezza ipotizzabile contro eventi dannosi, umani e naturali, prevedibili (Cass. I, n. 28314/2011; Cass. I n. 20948/2009). In detto quadro si è poi inserita la normativa di tutela dei consumatori (l. n. 52/1996 di attuazione della direttiva 93/13/Cee e di seguito d d.lgs. n. 206/2005) che ha previsto la vessatorietà delle clausole che hanno come effetto quello di “escludere o limitare le azioni o i diritti del consumatore nei confronti del professionista o di un'altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte del professionista” (previgente art. 1469-bis comma 3 n. 2 ed attuale art. 33, lett. b., d.lgs. n. 206/2005) (Papanti-Pelletier, 197). La giurisprudenza ha di conseguenza riconosciuto la natura vessatoria sia della clausola relativa al servizio di cassette di sicurezza che limita la responsabilità contrattuale del professionista, in caso di danneggiamento o distruzione delle cose custodite, ai soli danni comprovati ed obiettivi, con esclusione del valore d'affezione, assumendo come limite quantitativo del risarcimento il valore dichiarato dal cliente ed il conseguente massimale assicurativo, sia di quella che riconosce alla banca il diritto al risarcimento dei danni derivanti dalla mancata corrispondenza tra il valore dichiarato dal cliente e il valore effettivo, per essere, entrambe, oltre che lesive del divieto di limitazione della responsabilità contrattuale in caso di dolo o colpa grave, contenuto nell'art. 1229, comma 1, anche produttive di un significativo ed ingiustificato squilibrio tra le parti ex art. 1469-bis, comma 1, o, in caso di clausola formante oggetto di trattativa, ex art. 1469-quinquies, comma 2, n. 2, in quanto dirette a limitare il diritto del consumatore ad agire, in caso d'inadempimento del professionista, anche per colpa lieve (Cass. I, n. 13051/2008; Cass. I, n. 4946/2001). Prova del contenutoIl contenuto di una cassetta di sicurezza costituisce una circostanza di fatto generalmente non divulgata, attesa la prioritaria esigenza di riservatezza che caratterizza la scelta di questo servizio bancario. Ne consegue che in tema di prova del suo contenuto, può fornire prova del danno subito attraverso il ricorso a presunzioni semplici (Cass. I, n. 8945/2012) ed a prove testimoniali (Cass. I, n. 18637/2017) e che il giudice può poi determinarne la misura con valutazione equitativa per ristorare la vittima del danno che, pur avendolo certamente subito, sia nella ragionevole impossibilità di provarne il preciso ammontare (Cass. I, n. 3000/1982). BibliografiaCerrai, Cassette di sicurezza, in Dig. comm., Torino, 1988; Cirenei, Cassette di sicurezza, in Enc. giur., VI, Roma, 1988; Ferri, voce Cassette di sicurezza, in Enc. dir., IV, Milano, 1960; Papanti - Pelletier, voce Cassette di sicurezza (agg.), in Enc. dir., Milano, 1998. |