Codice Civile art. 1845 - Recesso dal contratto.Recesso dal contratto. [I]. Salvo patto contrario, la banca non può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se non per giusta causa [1186]. [II]. Il recesso sospende immediatamente l'utilizzazione del credito, ma la banca deve concedere un termine di almeno quindici giorni per la restituzione delle somme utilizzate e dei relativi accessori. [III]. Se l'apertura di credito è a tempo indeterminato, ciascuna delle parti può recedere dal contratto, mediante preavviso nel termine stabilito dal contratto, dagli usi o, in mancanza, in quello di quindici giorni. InquadramentoIl rapporto di apertura di credito si estingue per la scadenza del termine finale, se il contratto è a tempo determinato, o per recesso della banca o dell'accreditato se il contratto è a tempo indeterminato; il rapporto si estingue altresì per recesso della banca, anche nel caso di contratto a tempo determinato, se sussiste una giusta causa. L'estinzione del rapporto determina la cessazione da parte dell'accreditato della facoltà di utilizzazione dell'accreditamento ed il sorgere dell'obbligo di restituzione delle somme utilizzate durante il periodo di vigenza del contratto. L'art. 1845 regola la situazione conseguente al recesso, sia per giusta causa nel contratto con prefissione di termine, sia ad nutum, nel caso di contratto a tempo indeterminato e stabilisce che la dichiarazione di recesso abbia effetto immediato nel caso in cui ricorra una giusta causa, mentre abbia effetto a termine e cioè dopo il termine di preavviso previsto in contratto o dagli usi o, in mancanza, dopo decorsi quindici giorni nel caso di contratto a tempo indeterminato. La giurisprudenza ha chiarito che il recesso comunicato dalla banca al cliente dal contratto di apertura di credito bancario è atto recettizio e pertanto incombe alla banca, che voglia avvalersi degli effetti dell'atto, l'onere di provare il ricevimento della dichiarazione di recesso (Cass. I, n. 15066/2000). Il recesso nell'apertura di credito a tempo determinatoNell'apertura di credito a tempo determinato il recesso è possibile solo nell'ipotesi in cui ricorra una giusta causa. La legge non prevede espressamente le ipotesi di giusta causa di recesso che sono state elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Giova all'uopo ricordare che le parti possono stabilire già nel contratto che determinati fatti debbono essere considerati come giusta causa di recesso. In difetto di una previsione contrattuale o comunque in aggiunta alle previsioni contrattuali, debbono essere considerati come giusta causa di recesso tutti quei fatti che importano una modificazione nelle basi essenziali del contratto tale da impedire la prosecuzione del rapporto (Ferri, 606). Si è, pertanto, ritenuto (Molle, in Tr. C. M.,1981, 277; Porzio, 6; Tondo, 302) che costituisce giusta causa di recesso: a) la destinazione delle somme a scopi diversi da quelli previsti in contratto; b) il mutamento delle condizioni patrimoniali dell'accreditato; c) l'inadempimento all'obbligo del pagamento degli interessi e delle provvigioni quando sia ripetuto; d) la mancata prestazione delle garanzie promesse; e) la mancata reintegrazione delle garanzie nelle ipotesi di cui all'art. 1844; f) la dichiarazione di fallimento; g) lo stato di insolvenza. Termine per la restituzione delle somme La banca che recede dall'apertura di credito deve concedere un termine di almeno quindici giorni per la restituzione delle somme utilizzate e dei relativi accessori. La giurisprudenza ha rimarcato che detto termine ha carattere dilatorio, è previsto dalla legge a favore del debitore accreditato, onde metterlo in condizione di reperire la somma necessaria per ripianare la propria esposizione verso l'istituto stesso. Pertanto, prima della scadenza di detto termine il credito della banca non è esigibile, salvo nelle ipotesi di compensazione di detto credito con debiti che, a diverso titolo, l'istituto abbia verso l'accreditato, nel qual caso viene meno la necessità del rispetto del termine di cui si tratta, e la operazione di compensazione può essere eseguita allorché vengano in essere le condizioni di cui agli artt. 1242, comma 1, e 1243, comma 1. In tale ipotesi, è, altresì, irrilevante, ai fini della operatività del recesso della banca, la comunicazione dello stesso alla controparte, necessaria, invece, ove vi sia richiesta di pagamento da parte dell'istituto in relazione alle esposizioni che verso di esso abbia il cliente: tale richiesta deve, difatti, essere subordinata alla concessione del termine minimo di quindici giorni che decorrere dalla comunicazione del recesso (Cass. I, n. 14859/2000). La decadenza dal beneficio del termine Gli effetti del recesso dall'apertura di credito a tempo determinato sono, ai sensi del secondo comma dell'art. 1845, l'immediata sospensione dell'utilizzazione del credito e l'obbligo a carico dell'accreditato di restituzione delle somme utilizzate e degli accessori entro il termine di quindici giorni. Questione dibattuta è se la previsione di questo termine deroghi alla disciplina generale in tema di decadenza del beneficio del termine di cui all'art. 1186. In dottrina prevale l'opinione secondo cui la disciplina del recesso di cui all'art. 1845 non esclude l'applicabilità dell'art. 1186 qualora il debitore sia divenuto insolvente, abbia diminuito per fatto proprio le garanzie date, o non abbia prestato quelle promesse, con conseguente immediata esigibilità da parte della banca delle somme utilizzate (Molle, Tr. C. M., 1981, 279; Tondo, 308). Non sono di detto avviso, invece, quegli autori che ritengono che l'art. 1845 abbia compiutamente regolato il recesso e che il concetto di giusta causa assorba anche le circostanze che di regola determinano la decadenza dal beneficio del termine (Fiorentino, in Comm. S. B., 1953, 125). La questione non è pacifica nemmeno in giurisprudenza avendo la S.C. in alcune pronunce ritenuto l'applicabilità della disciplina generale in tema di decadenza del beneficio del termine anche all'apertura di credito (Cass. I, n. 9943/1993), mentre in altre l'ha espressamente esclusa (Cass. I, n. 9307/1994). Il recesso nell'apertura di credito a tempo indeterminato: il preavvisoNell'apertura di credito a tempo indeterminato entrambe le parti possono esercitare il recesso mediante preavviso nel termine convenzionalmente pattuito, o in quello risultante dagli usi o, in mancanza, in quello di quindici giorni. La funzione del preavviso è quella di consentire al contratto di continuare a produrre i suoi effetti fino allo scadere del termine, con la conseguenza che nel frattempo l'accreditato potrà continuare ad usufruire del credito. La S.C., in tema di apertura di credito in conto corrente a tempo indeterminato, ha ritenuto legittimo il recesso "ad nutum" della banca, se anticipato da una comunicazione al cliente con congruo preavviso, posto che tale facoltà è espressamente prevista dall'art. 1845, comma 3, e il suo esercizio non entra in conflitto con il principio generale di buona fede, sancito dall'art. 1375, allorquando il debitore abbia ripetutamente, e in modo del tutto ingiustificato, superato il limite di affidamento concesso (Cass. I, n. 29317/2020). La disciplina convenzionale del recesso e tutela del consumatoreLe clausole inserite nei moduli contrattuali predisposti dalle banche derogavano in maniera rilevante alla disciplina di cui all'art. 1845 prevedendo ben più ampie possibilità di recesso sia nel rapporto a tempo determinato che in quello a tempo indeterminato. La disciplina convenzionale del recesso veniva innanzitutto uniformata nelle due forme di apertura di credito, prevedendosi in entrambi i casi la più ampia libertà della banca di recedere dal rapporto, anche in assenza di una giusta causa e senza preavviso, con conseguente sospensione immediata dell'utilizzo del credito concesso. La facoltà della banca di recedere ad nutum veniva ritenuta legittima sia dalla dottrina (Molle, Tr. C. M.,1981, 429; Tondo, 309) che dalla giurisprudenza (Cass. I, n. 2642/2003) in considerazione del fatto che il primo comma dell'art. 1845 fa salva l'esistenza di un patto contrario alla disciplina legale del recesso. Detto quadro è mutato a seguito dei limiti legali alla facoltà di recesso della banca introdotti dalla normativa di tutela dei consumatori, ovvero prima dall'art. 1469-bis e di seguito dall'art. 33, comma 3 lett. a) d.lgs. n. 206/2005 che stabilisce che, se il contratto ha per oggetto servizi finanziari a tempo indeterminato a favore di un consumatore, il professionista può recedere dal rapporto senza preavviso solo qualora ricorra un giustificato motivo, dandone immediata comunicazione al cliente dovendosi ritenere abusiva fino a prova contraria e, dunque, nulla qualsiasi clausola che prevede un recesso ad nutum (Sirena, 354) Il recesso arbitrarioUn temperamento all'esercizio dell'autonomia contrattuale era stato comunque realizzato mediante il ricorso alla clausola generale di correttezza e buona fede, riconoscendo la responsabilità della banca che receda improvvisamente e senza giustificato motivo dall'apertura di credito a tempo indeterminato chiedendo l'immediata restituzione delle somme utilizzate. La giurisprudenza aveva difatti evidenziato che, alla stregua del principio secondo cui il contratto deve essere eseguito secondo buona fede (art. 1375), non può escludersi che il recesso di una banca dal rapporto di apertura di credito, benché pattiziamente consentito anche in difetto di giusta causa, sia da considerarsi illegittimo ove in concreto assuma connotati del tutto imprevisti ed arbitrari (Cass. I, n. 4538/1997). Anche, in caso di recesso di una banca dal rapporto di credito a tempo determinato in presenza di una giusta causa tipizzata dalle parti del rapporto contrattuale, il giudice non deve dunque limitarsi al riscontro obiettivo della sussistenza o meno dell'ipotesi tipica di giusta causa ma, alla stregua del principio per cui il contratto deve essere eseguito secondo buona fede, deve accertare che il recesso non sia esercitato con modalità impreviste ed arbitrarie (Cass. I, n. 9321/2000). La S.C. ha ribadito che il recesso di una banca da un rapporto di apertura di credito in cui non sia stato superato il limite dell'affidamento concesso, benché pattiziamente previsto anche in difetto di giusta causa, deve considerarsi illegittimo, in ragione di un'interpretazione del contratto secondo buona fede, ove in concreto assuma connotati del tutto imprevisti ed arbitrari, contrastando, cioè, con la ragionevole aspettativa di chi, in base ai rapporti usualmente tenuti dalla banca ed all'assoluta normalità commerciale di quelli in atto, abbia fatto conto di poter disporre della provvista redditizia per il tempo previsto e non sia, dunque, pronto alla restituzione, in qualsiasi momento, delle somme utilizzate. Il debitore il quale agisce per far dichiarare l'arbitrarietà del recesso ha l'onere di allegare l'irragionevolezza delle giustificazioni date dalla banca, dimostrando la sufficienza della propria garanzia patrimoniale così come risultante a seguito degli atti di disposizione compiuti (Cass. I, n. 17291/2016). Morte o sopravvenuta incapacità dell'accreditatoÈ dubbio se l'apertura di credito si estingua per la sopravvenuta incapacità o per la morte dell'accreditato. L'opinione maggioritaria in dottrina ritiene che, dato il carattere eminentemente fiduciario del contratto, il contratto stesso si estingua, non potendo la banca essere costretta a porre in nuove persone (tutore o curatore o l'erede) quella stessa fiducia che aveva posto nell'accreditato (Fiorentino, in Comm. S. B., 1953, 130; Molle, Tr. C. M.,1981, 282). Di contrario avviso sono quegli autori che ritengono che i contratti di credito non sono, in quanto tali, contratti intuitu personae (Ferri, 907). La giurisprudenza ha sposato la tesi maggioritaria in dottrina ritenendo che, dato il carattere strettamente fiduciario del contratto di apertura di credito, la morte o la sopravvenuta incapacità dell'accreditato sono causa di scioglimento del contratto e la banca non e tenuta a mantenere il credito agli eredi o al rappresentante dello accreditato (Cass. I, n. 957/1969). BibliografiaFerri, voce Apertura di credito, in Enc. dir., II, Milano, 1958; Fiorentino, voce Apertura di credito bancario, in Nss. D.I., Torino, 1957; Porzio, Apertura di credito, in Enc. giur., II, Roma, 1988; Serra, voce Apertura di credito confermato, in Dig. comm., I, Torino, 1987; Sirena, La nuova disciplina delle clausole vessatorie nei contratti bancari di credito al consumo, in Banca, borsa, tit. cred. 1997, II, 354; Tondo, Dei contratti bancari, in Trattato Di Martino, Novara-Roma, 1971. |