Codice Civile art. 1927 - Suicidio dell'assicurato.

Caterina Costabile

Suicidio dell'assicurato.

[I]. In caso di suicidio dell'assicurato, avvenuto prima che siano decorsi due anni dalla stipulazione del contratto, l'assicuratore non è tenuto al pagamento delle somme assicurate, salvo patto contrario.

[II]. L'assicuratore non è nemmeno obbligato se, essendovi stata sospensione del contratto per mancato pagamento dei premi [1901, 1924], non sono decorsi due anni dal giorno in cui la sospensione è cessata.

Inquadramento

L'art. 1927 deroga al principio generale della mancata copertura assicurativa del rischio volontariamente cagionato dall'assicurato (art. 1900), prevedendo l'indennizzabilità della morte per suicidio avvenuta dopo due anni dalla stipulazione o dalla riattivazione del contratto (Buttaro, 639).

Il Legislatore con la norma in esame ha inteso superare la riflessione profilatasi sotto la vigenza del codice di commercio — e che distingueva tra suicidio volontario e suicidio involontario (La Torre, 398) — facendo riferimento esclusivamente al dato temporale nella ragionevole supposizione che il proposito di suicidio non possa essere coltivato così a lungo prima della sua attuazione (Buttaro, 640; Donati, 623).

La disciplina prevista dall'art. 1927 è derogabile con i patti di polizza non essendo tale disposizione compresa tra le norme inderogabili indicate dall'art. 1932 (Cass. VI, n. 38218/2021; Cass. I, n. 7956/1991).

Ambito applicazione

Secondo una larga corrente dottrinale l'art. 1927risulta applicabile anche in caso di suicidio del terzo sulla cui vita è contratta l'assicurazione (Donati, 623; Gasperoni, 6).

Si ritiene, di contro, che deve escludersi dall'ambito di applicazione della norma in esame il suicidio “imposto” da una severa patologia psichiatrica, non potendo lo stesso essere ricondotto a un reale e concreto gesto volontario dell'assicurato (Salandra, in Comm. S.B. 1966, 426).

Relativamente all'assicurazione contro gli infortuni, la giurisprudenza di legittimità non recente ha ritenuto che, qualora la garanzia assicurativa sia estesa agli infortuni mortali, essa comprenda pure il rischio del suicidio (successivo al compimento del periodo di carenza), senza che la causa contrattuale ne risulti snaturata, purché le parti non abbiano escluso l'operatività del contratto nei casi in cui il fatto volontario o gravemente colposo dell'assicurato abbia concorso alla produzione del sinistro (Cass. I, n. 3741/1976).

La giurisprudenza di merito ha invece disatteso tale orientamento e, argomentando dalla logica inconciliabilità tra suicidio (fatto tipicamente volontario) ed infortunio (evento dovuto a causa fortuita violenta ed esterna), ha escluso il primo dalla copertura assicurativa contro gli infortuni, salvo diversa pattuizione (Trib. Vicenza 25 maggio 2010; App. Milano 3 gennaio 1989).

Onere della prova

Essendo la morte il rischio coperto (fatto costitutivo) mentre il suicidio è il rischio escluso (fatto impeditivo), il beneficiario ex art. 2697 deve solo provare l'avvenuta morte dell'assicurato e non anche l'inesistenza del suicidio: che sia stato questo a provocarla è, dunque, un fatto della cui prova è onerato l'assicuratore (Buttaro, 640; La Torre, 400; Salandra, in Comm. S.B. 1966, 428).

Bibliografia

Buttaro, voce Assicurazione sulla vita, in Enc. dir., III, Milano, 1958; Donati, Trattato del diritto delle assicurazioni private, Milano, III, 1956; Donati e Volpe Putzolu, Manuale di Diritto delle Assicurazioni, Milano, 2002; Gasperoni, Assicurazione sulla vita, in Enc. giur., III, 1988; La Torre, Le Assicurazioni, Milano, 2007; Polotti di Zumaglia, Vita (assicurazione sulla), in Dig. comm., XVI, Torino, 1999; Rossetti, Il Diritto delle Assicurazioni, III, L'assicurazione sulla vita, Padova, 2013.

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