Codice Civile art. 1984 - Liberazione del debitore.Liberazione del debitore. [I]. Se non vi è patto contrario, il debitore è liberato verso i creditori solo dal giorno in cui essi ricevono la parte loro spettante sul ricavato della liquidazione, e nei limiti di quanto hanno ricevuto [193 trans.]. InquadramentoL'art. 1984 disciplina gli effetti della cessione dei beni stabilendo che l'estinzione delle obbligazioni del debitore verso i creditori cessionari si determina solo in ragione di quanto questi ultimi hanno ricevuto a seguito della liquidazione. Pur dettando regola del soddisfacimento pro solvendo, il legislatore riconosce ampia autonomia contrattuale alle parti rendendo ammissibile pattuizioni contrattuali che prevedano il soddisfacimento dei creditori con differenti modalità e misura. Questa soluzione è stata ripercorsa dal legislatore che, a seguito della riforma della legge fallimentare, ha valorizzato l'autonomia contrattuale delle parti nella predisposizione della proposta concordataria e nelle modalità di soddisfacimento dei creditori eliminando le limitazioni all'uopo previste dalla originaria versione dell'art. 160 r.d. 16 marzo 1942, n. 267. La liberazione del creditoreSecondo la regola dettata dalla disposizione in esame, l'effetto liberatorio del debitore si produce solo quando i creditori sono soddisfatti con il ricavato della liquidazione dei beni ceduti e nei limiti di quanto hanno ricevuto. La disposizione in parola, in deroga all'art. 1181, rende illegittimo il rifiuto da parte del creditore cessionario dell'adempimento parziale. I cessionari, peraltro, conservano i loro diritti per la parte di credito rimasta insoddisfatta (Vassalli, in Tr. Res. 1985, 426). Il patto contrarioSe le parti stabiliscono, in deroga all'art. 1984, che la cessione dei beni abbia effetto pro soluto il debitore è liberato immediatamente ed i creditori non possono agire nei confronti dei garanti. In siffatta ipotesi la cessione dei beni muta la sua natura giuridica e va qualificata, a seconda della tipologia come datio in solutum o specie di concordato remissorio stragiudiziale (Salvi, in Comm. S.B. 1974, 381). Invero, il patto contrario non deve riguardare necessariamente entrambe le regole dell'art. 1984 (tempo e misura della liberazione). Altro è, infatti, la deroga relativa al tempo della liberazione (liberazione immediata, anziché «dal giorno in cui i cessionari ricevono la parte loro spettante»), altro è la deroga convenzionale alla misura della liberazione (liberazione piena anche in caso di pagamento solo parziale del debito, anziché «nei limiti di quanto hanno ricevuto» i creditori cessionari). Solo la prima pattuizione determina la trasformazione della natura giuridica dell'istituto in datio in solutum, mentre la seconda si limita semplicemente a trasformare la cessione pro solvendo dello schema legale tipico in cessione pro soluto, prevedendo comunque la liberazione dal debito anche in caso di insufficienza dell'attivo. Il concordato preventivoL'art. 184 r.d. n. 267/1942 — non modificato dalla l. n. 80/2005 — disciplina gli effetti del concordato preventivo omologato stabilendone l'obbligatorietà per tutti i creditori anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso contenente la domanda di concordato. I creditori conservano, invece, impregiudicati i diritti contro i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso. Il concordato della società ha efficacia nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, salvo il patto contrario. La giurisprudenza ha evidenziato che nel caso di concordato con cessione dei beni, l'obbligato stesso può legittimamente (e definitivamente) ritenersi liberato — giovandosi dell'effetto esdebitatorio della procedura — con la distribuzione del ricavato della liquidazione dei beni ceduti, qual che sia la percentuale attribuita al ciascuno dei creditori chirografari, a differenza di quanto invece previsto in seno alla procedura fallimentare per effetto della quale il debitore è esposto, ai sensi dell'art. 120 r.d. 16 marzo 1942, n. 267, anche dopo la sua chiusura, ad azione dei creditori rimasti insoddisfatti (Cass. I, n. 3957/2003). 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