Codice Civile art. 2028 - Obbligo di continuare la gestione.Obbligo di continuare la gestione. [I]. Chi, senza esservi obbligato [1173], assume scientemente la gestione di un affare altrui, è tenuto a continuarla e a condurla a termine finché l'interessato non sia in grado di provvedervi da se stesso. [II]. L'obbligo di continuare la gestione sussiste anche se l'interessato muore prima che l'affare sia terminato, finché l'erede possa provvedere direttamente. InquadramentoL'istituto della negotiorum gestio disciplinato dalla disposizione in esame trova un fondamentale referente normativo nell'art. 1173: la gestione di affari altrui, infatti, sorge in via di mero fatto, postulando un intervento spontaneo del gestore volto a conseguire l'interesse esclusivo del gerito. L'intromissione non autorizzata negli affari altrui integra in linea di principio gli estremi di un vero e proprio atto illecito, in quanto nessuno può sostituirsi di propria iniziativa ad altri nella cura dei loro affari. Questa fondamentale regola della convivenza civile può, tuttavia, subire deroghe ogniqualvolta si vengano a determinare situazioni di emergenza in cui il diretto interessato non è in grado di provvedere personalmente ai propri interessi In siffatte ipotesi l'ingerenza dell'estraneo perde i suoi connotati di illiceità per assumere una valenza positiva, essendo interesse del proprietario che altri si sostituisca a lui in caso di impossibilità a provvedere personalmente. La giurisprudenza reputa che l'elemento caratterizzante della gestione d'affari consiste nella spontaneità dell'intervento del gestore nella sfera giuridica altrui, in assenza di qualsiasi vincolo negoziale o legale. Requisito sussistente non solo quando l'interessato sia nella materiale impossibilità di provvedere alla cura dei propri affari ma anche quando lo stesso non rifiuti, espressamente o tacitamente, tale ingerenza da parte del negotiorum gestor (Cass. III, n. 9269/2008). I presupposti della gestioneLa dottrina individua tradizionalmente i presupposti della gestione d'affari altrui in un requisito di ordine soggettivo ed in quattro requisiti di ordine oggettivo, ovvero l'intenzione di gestire un affare altrui (animus aliena negotia gerendi), la spontaneità dell'intervento, l'impossibilità di intervenire da parte del diretto interessato (absentia domini), l'alienità dell'affare e l'utilità dell'inizio della gestione (utiliter coeptum) (Ferrari, 1969, 700; Gallo, 2011, par. 2). Ricostruzione dell'istituto condivisa anche dalla giurisprudenza (Cass. trib., n. 12280/2007) L' animus aliena negotia gerendi Essenziale ai fini della configurazione di un valido atto di gestione è l'intenzione di gestire un affare altrui. Per superare le incertezze interpretative sorte sotto la precedente codificazione, il codice civile del 1942 ha impiegato l'espressione “scientemente”, la quale non lascia dubbi circa la necessità dell'animus ai fini della configurabilità di un valido rapporto gestorio. La dottrina reputa sufficiente che l'animus sia presente nelle fasi iniziali della gestione (Ferrari, 1962, 21) L'animus aliena negotia gerendi è escluso non solo dall'errore o dall'intenzione di trarre un vantaggio ingiusto (animus depredandi), ma anche dall'intenzione liberale di chi effettua l'atto di gestione (animus donandi) (Aru, in Comm. S.B. 1981, 13 Ferrari, 1969, 656). La spontaneità dell'intervento La dottrina sottolinea che chi assume la gestione di un affare altrui deve operare spontaneamente, senza esservi obbligato, diversamente si esulerebbe per ciò stesso dal campo di applicazione della gestione d'affari altrui per ricadere o in quello del mandato, o in uno dei vari casi di gestione ex lege di un patrimonio altrui (Gallo, par. 4). Anche la giurisprudenza ha evidenziato che la spontaneità dell'intervento del gestore, ossia dalla mancanza di un qualsivoglia rapporto giuridico in forza del quale il gestore sia tenuto ad intervenire nella sfera giuridica altrui, costituisce l'elemento peculiare che diversifica la gestione di affari altrui da tutte le altre ipotesi in cui l'attività svolta per conto terzi costituisce l'adempimento di un obbligo legale o convenzionale del cooperatore (Cass. II, n. 4623/2001). Per tali ragioni la gestione d'affari altrui non è stata ritenuta configurabile nell'ipotesi in cui l'asserito gestore abbia adempiuto la prestazione in esecuzione di un contratto e sia decaduto dall'azione contrattuale proponibile per ottenere il rimborso delle somme pagate (Cass. I, n. 18626/2003). L' absentia domini Per potersi fare applicazione delle norme sulla gestione d'affari altrui è altresì necessario che sussista l'impossibilità da parte del dominus di curare utilmente i suoi interessi (absentia domini). La dottrina intende l'absentia non come necessaria assenza fisica del dominus, ma come semplice impossibilità dello stesso di provvedere (Breccia, in Tr. Res. 1984, 730). La giurisprudenza, dal suo canto, ha ulteriormente esteso il concetto di absentia ritenendo che ai fini della sua configurabilità sia sufficiente la mancata opposizione da parte del dominus (Cass. II, n. 12304/2011), purché l'inerzia dell'interessato non abbia il senso della prohibitio (Cass. III, n. 13203/2015). La S.C. ha tuttavia chiarito che, in materia di gestione di affari, il requisito della absentia domini non può configurarsi, riguardo alla Pubblica Amministrazione, nei termini di una semplice carenza di prohibitio, ostandovi la posizione costituzionale della P.A., la cui organizzazione è coperta da riserva di legge ed il cui operato è soggetto al principio dell'evidenza pubblica, ciò che implica che le funzioni pubbliche attribuite ex lege a ciascun dicastero, in cui essa si articola, vengano espletate per il raggiungimento di scopi indicati nell'indirizzo politico governativo e nell'esercizio di una piena discrezionalità, nella scelta dei mezzi e degli impieghi finanziari ritenuti più opportuni per la realizzazione dei diversi interessi affidati alla sua cura (Cass. VI, n. 2944/2017). L'alienità dell'affare Per aversi negotiorum gestio occorre che il gestore intervenga a tutela di interessi che competono ad altri: pertanto chi agisce nel proprio esclusivo interesse non compie atti di gestione (in dottrina Gallo, in Tr. Sac. 2008, 285). Anche il requisito dell'alienità dell'affare viene inteso dalla giurisprudenza in senso lato, ritenendosi che il concorso di interesse del gestore con quello del dominus non sia di ostacolo alla configurabilità di un valido atto gestorio, sempreché l'interesse del dominus sia prevalente (in giurisprudenza Cass. III, n. 2577/1985). L' utiliter coeptum L'art. 2031 impone ai fini della configurabilità di un valido atto gestorio la sussistenza dell'utilità iniziale della gestione. In dottrina è controverso se l'utilità iniziale della gestione debba essere valutata in base ad un criterio oggettivo, o piuttosto tenendo conto dei particolari interessi ed aspirazioni del dominus (Breccia, in Tr. Res. 1984, 728). La giurisprudenza ritiene che la valutazione vada operata secondo un criterio oggettivo, ravvisando l'utilità iniziale della gestione ogniqualvolta sia stata esplicata un'attività che producendo un incremento patrimoniale o risolvendosi in una evitata perdita economica sarebbe stata esercitata dallo stesso dominus quale buon padre di famiglia (Cass. II, n. 1365/1989). Oggetto della gestioneIl concetto di «affare altrui» enunciato dalla disposizione in esame è molto più ampio di quello di «atti giuridici» che il legislatore utilizza in materia di mandato. Si ritiene, pertanto, che l'affare possa riferirsi sia ad atti giuridici che materiali. L'affare, oltre ad essere lecito deve avere contenuto patrimoniale, dovendosi escludere atti di gestione in materia di diritto di famiglia ed ogniqualvolta entrino in gioco interessi e ragioni di carattere personale. Controverso è se l'affare debba essere unico, o possa configurarsi anche la gestione di un intero patrimonio (contra Casella, 1). Si discute altresì se il gestore possa compiere atti eccedenti l'ordinaria amministrazione o di disposizione dei beni del dominus, anche se prevalente è l'opinione positiva (Breccia, in Tr. Res. 1984, 725; Gallo, 2008, 292). L'obbligo di continuare la gestione in caso di morte del dominusSe il gestore decide di intervenire è obbligato a continuare la gestione fino a quando il diretto interessato o chi per esso non sia in grado di provvedere autonomamente, in caso contrario il gestore potrà essere tenuto a risarcire i danni. L'ultimo comma dell'art. 2028 precisa che un tale obbligo sussiste anche se il dominus muore prima della conclusione dell'affare, finché l'erede non possa provvedere direttamente. Di contro, la morte del gestore estingue il rapporto, fatta salva la possibilità per gli eredi o per altre persone di instaurarne uno nuovo. BibliografiaCasella, Gestione d'affari (dir. priv.), in Enc. giur., XV, Roma, 1989; Ferrari, Gestione d'affari altrui e rappresentanza, Milano, 1962; Id., voce Gestione di affari altrui (dir. priv.), in Enc. dir., XLIV, Milano, 1969; Gallo, Gestione d'affari altrui, in Dig. civ., Torino, 2011. |