Codice Civile art. 2108 - Lavoro straordinario e notturno (1).

Paolo Sordi

Lavoro straordinario e notturno (1).

[I]. In caso di prolungamento dell'orario normale, il prestatore di lavoro deve essere compensato per le ore straordinarie con un aumento di retribuzione rispetto a quella dovuta per il lavoro ordinario.

[II]. Il lavoro notturno non compreso in regolari turni periodici deve essere parimenti retribuito con una maggiorazione rispetto al lavoro diurno.

[III]. I limiti entro i quali sono consentiti il lavoro straordinario e quello notturno, la durata di essi e la misura della maggiorazione sono stabiliti dalla legge [o dalle norme corporative] (2) (3).

(1) Per il lavoro straordinario v. artt. 5 ss. r.d.l. 15 marzo 1923, n. 692; art. 9 r.d. 10 settembre 1923, n. 1955; per i fanciulli e gli adolescenti v. artt. 15 ss. l. 17 ottobre 1967, n. 977. Sul divieto di adibire le donne al lavoro dalle ore 24 alle ore 6 v. art. 53 d.lg. 26 marzo 2001, n. 151.

(2) Le disposizioni richiamanti le norme corporative devono ritenersi abrogate in seguito alla soppressione dell'ordinamento corporativo.

(3) V. gli artt. 15 e 17 l. n. 977, cit., nonché art. 53 d.lg. n. 151, cit.

Inquadramento

La norma in esame esprime, da un lato, il principio fondamentale secondo il quale il lavoro straordinario e quello notturno (quest'ultimo limitatamente al caso in cui non sia compreso in regolari turni periodici) debbono essere remunerati con una retribuzione superiore rispetto a quella dovuta per il lavoro ordinario e, rispettivamente, per quello diurno, e dall'altra, stabilisce la competenza della legge e della contrattazione collettiva (così dovendosi ormai intendere il rinvio operato dalla disposizione alle norme corporative) a definire i limiti e la durata del lavoro straordinario e di quello notturno e la misura della maggiorazione retributiva.

La disciplina del lavoro straordinario e di quello notturno è stata profondamente innovata dal d.lgs. n. 66/2003, che, all'art. 19, comma 2, d.lgs. n. 66/2003, ha contestualmente previsto l'abrogazione di tutte le previgenti disposizioni legislative e regolamentari nella materia da esso disciplinata, salvo quelle espressamente richiamate.

È diffusa in dottrina l'opinione secondo cui, conseguentemente, sarebbe ormai implicitamente abrogate le disposizioni dell'art. 2108 sia in materia di lavoro straordinario (Ichino-Valente, 211; dubbiosi circa la sopravvivenza della norma codicistica, Del Punta, XVII; Ghera, 121), sia in tema di lavoro notturno (Carinci-De Luca Tamajo-Tosi-Treu, 192).

La giurisprudenza costituzionale nega che il principio secondo il quale il lavoro straordinario, essendo maggiormente gravoso rispetto a quello ordinario, deve essere compensato con aliquote retributive maggiorate trovi un fondamento costituzionale nell'art. 36 Cost., poiché la proporzionalità e l'adeguatezza della retribuzione vanno riferite, non già alle sue singole componenti, ma alla globalità di quella (Corte cost. n. 470/2002).

Il lavoro straordinario

A norma dell'art. 1 d.lgs. n. 66/2003, per lavoro straordinario si deve intendere quello prestato oltre l'orario normale come definito dal successivo art. 3, vale a dire quello di 40 ore settimanali (eventualmente calcolato come media, in caso di adozione dell'orario multiperiodale), salva la minore misura eventualmente stabilita dai contratti collettivi (sulla nozione di orario normale di lavoro v. sub art. 2107). Conseguentemente, la disciplina legale rapporta il lavoro straordinario solamente alla settimana lavorativa, non prevedendo, all'interno della giornata lavorativa, una distinzione tra lavoro ordinario e lavoro straordinario.

Il d.lgs. n. 66/2003 stabilisce, invece, limiti massimi di orario giornaliero e settimanale e attribuisce espressamente ai contratti collettivi la facoltà di regolare, entro quei limiti, le modalità di esecuzione del lavoro straordinario. In difetto di una disciplina pattizia, il ricorso al lavoro straordinario è ammessa solamente se concordata dalle parti e nella misura annuale massima di 250 ore (art. 5 d.lgs. n. 66/2003).

Conseguentemente, la contrattazione collettiva può prevedere un obbligo per il lavoratore di prestare lavoro straordinario (facoltà che la giurisprudenza riconosceva alla fonte negoziale collettiva già prima del d.lgs. n. 66/2003: Cass. n. 4011/2007; Cass. n. 11821/2003) e ciò anche per un monte ore superiore al limite delle 250 ore (in dottrina, Del Punta, XVIII).

La determinazione della maggiorazione retributiva dovuta per il lavoro straordinario è integralmente rimessa alla contrattazione collettiva, avendo il d.lgs. n. 66/2003, secondo la dottrina (Carinci-De Luca Tamajo-Treu, 190), soppresso l'art. 5 r.d.l. n. 692/1923, che fissava nel 10% della paga ordinaria la misura minima della maggiorazione dovuta per il lavoro straordinario. Peraltro l'art. 55 del d.lgs. n. 66/2003, dopo aver stabilito che il lavoro straordinario deve essere computato a parte e compensato con le maggiorazioni retributive previste dai contratti collettivi di lavoro, aggiunge che questi ultimi possono anche consentire che, in alternativa o in aggiunta alle maggiorazioni retributive, i lavoratori usufruiscano di riposi compensativi (c.d. banche delle ore).

Dal lavoro straordinario si usa distinguere il lavoro supplementare, vale adire quello prestato oltre il limite dell'orario normale stabilito dai contratti collettivi, ma entro il limite legale dell'orario normale. Ad esso non si applica la disciplina legale del lavoro straordinario (in dottrina: Carinci-De Luca Tamajio-Treu-Tosi, 190; in giurisprudenza: Cass. n. 13842/2015, Cass. n. 8906/2010, Cass. n. 15781/2007, secondo cui, nell'ipotesi in cui la contrattazione collettiva fissi un limite di orario normale inferiore a quello predeterminato per legge, è legittima la condotta del datore di lavoro che corrisponda ai propri dipendenti che abbiano superato il limite convenzionale, ma non quello legale, un corrispettivo per il suddetto lavoro, inferiore a quello prescritto per l'orario straordinario, sia perché le parti, nel ridurre l'orario legale, hanno anche escluso espressamente la natura di lavoro straordinario per quello prestato al di là del limite convenzionale, determinando il compenso in maniera del tutto diversa, sia perché il principio di proporzionalità, di cui all'art. 36 Cost., va riferito al complessivo trattamento economico riconosciuto al lavoratore e non ai singoli elementi retributivi).

Il lavoro notturno

A norma dell'art. 1 d.lgs. n. 66/2003, per «periodo notturno» si intende il periodo di almeno sette ore consecutive comprendenti l'intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino, mentre, per «lavoratore notturno», si intende il lavoratore che durante il periodo notturno svolga almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero impiegato in modo normale ovvero almeno una parte del suo orario di lavoro secondo le norme definite dai contratti collettivi di lavoro (in difetto di disciplina collettiva è considerato lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga, per almeno tre ore, lavoro notturno per un minimo di ottanta giorni lavorativi all'anno).

Dal fatto che l'art. 11, comma 2, del d.lgs. n. 66/2003, rinvii alla contrattazione collettiva l'individuazione dei requisiti dei lavoratori che possono essere esclusi dall'obbligo di effettuare lavoro notturno, la dottrina desume che sussiste in generale l'obbligo di prestare lavoro notturno in capo a tutti i lavoratori, senza la tradizionale distinzione tra uomini e donne (Carinci-De Luca Tamajo-Tosi-Treu, 191). Restano ferme, comunque, le ipotesi di divieto di adibizione a lavoro notturno e quelle di esenzione dall'obbligo di prestare lavoro notturno contemplate dalla stessa disposizione.

L'art. 13 d.lgs. n. 66/2003 prevede, poi, limiti di durata del lavoro notturno e rinvia alla contrattazione collettiva l'eventuale definizione delle riduzioni dell'orario di lavoro o dei trattamenti economici indennitari nei confronti dei lavoratori notturni. Da tale previsione la dottrina desume che non necessariamente i contratti collettivi debbano prevedere una maggiorazione retributiva per il lavoro notturno, essendo loro consentito di attribuire ai lavoratori notturni, in alternativa, riduzioni dell'orario lavorativo (Carinci-De Luca Tamajo-Tosi-Treu, 192), anche se è comunque possibile pure il riconoscimento di entrambi i tipi di benefici congiuntamente (Del Punta, XX).

Bibliografia

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