Codice Civile art. 2117 - Fondi speciali per la previdenza e l'assistenza.

Paolo Sordi

Fondi speciali per la previdenza e l'assistenza.

[I]. I fondi speciali per la previdenza e l'assistenza che l'imprenditore abbia costituiti, anche senza contribuzione dei prestatori di lavoro, non possono essere distratti dal fine al quale sono destinati e non possono formare oggetto di esecuzione da parte dei creditori dell'imprenditore o del prestatore di lavoro.

Inquadramento

L'art. 2117 non regola in maniera esaustiva i fondi pensione, limitandosi a stabilire che quelli costituiti presso l'azienda non possono essere distratti dal fine al quale sono destinati e non possono formare oggetto di esecuzione da parte dei creditori dell'imprenditore o del lavoratore. La compiuta disciplina dei fondi pensione complementari è quindi lasciata alle leggi speciali.

Attualmente la normativa di carattere generale è costituita dal d.lgs. n. 252/2005.

Come riconosciuto dalla giurisprudenza, la differenza tra previdenza obbligatoria e quella integrativa o complementare è nel carattere generale, necessario e non eludibile delle tutele del primo tipo, a fronte della natura eventuale delle garanzie delle seconde, che sono la fonte di prestazioni aggiuntive rivolte a vantaggio esclusivo delle categorie di lavoratori aderenti ai patti incrementativi dei trattamenti ordinari (Cass. S.U., n. 5158/2015) e la natura privatistica della previdenza integrativa o complementare emerge dal meccanismo di adesione, che è libero e volontario, e dalle modalità di alimentazione del fondo, al quale contribuiscono i destinatari della prestazione ed il datore di lavoro (Cass. S.U., n. 6347/2015; Cass. n. 4951/2015).

Natura giuridica dei fondi interni

Secondo la giurisprudenza, i fondi speciali per la previdenza e l'assistenza costituiti nell'ambito della previsione dell'art. 2117, con la contribuzione sia del datore di lavoro che dei lavoratori, o anche del solo datore di lavoro, ove non abbiano ottenuto il riconoscimento della personalità giuridica, sono assoggettati alla disciplina comune dettata per le associazioni non riconosciute (Cass. n. 2492/1982); essi sono pertanto soggetti giuridici che, ancorché privi di personalità, costituiscono centri di imputazione di rapporti giuridici con altri soggetti dell'ordinamento, compreso tra di essi il datore di lavoro che assume l'obbligo di contribuzione (Cass. n. 7755/2003; Cass. n. 5362/2001; Cass. n. 11015/2000). Inoltre, deve ritenersi ad essi applicabile l'art. 37 cod. civ., onde è vietata, finché l'associazione duri, la divisione del fondo comune, come pure la restituzione della quota in caso di recesso e che l'estinzione dell'associazione non può conseguire ad una molteplicità di recessi se non nel caso in cui venga correlativamente meno l'idoneità del patrimonio dell'ente ad essere destinato al soddisfacimento dei suoi fini (Cass. n. 2492/1982).

Maggiormente articolate le posizioni espresse dalla dottrina, alcuni avendo privilegiato la qualificazione in termini di associazioni non riconosciute a scopo mutualistico (Romagnoli, 865); altri avendo configurato i fondi in questione come patrimoni separati e autonomi (Biondi, in Tr. Vas. 1953, 122) o come fondazioni di fatto (De Litala, 457); altri ancora, sul rilievo dell'assenza di siffatta soggettività ed a fronte di una rilevanza solo contabile, avendo espresso l'opinione secondo cui si tratterebbe di depositi irregolari (De Valles, 1190).

La giurisprudenza afferma anche che i fondi in oggetto sono retti da statuti aventi natura negoziale, la cui interpretazione è riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità unicamente per violazione delle norme di ermeneutica negoziale o per vizio di motivazione (Cass. n. 16176/2004; Cass. n. 5362/2001; Cass. n. 11015/2000).

Il vincolo di destinazione e l'impignorabilità

La giurisprudenza riconosce che, ai sensi dell'art. 2117 (norma ritenuta di carattere eccezionale e, come tale, insuscettibile di applicazione analogica: Cass. n. 15601/2005), qualora vengano creati fondi speciali previdenziali da parte del datore di lavoro, essi rimangono strettamente vincolati agli scopi per cui sono stati istituiti, non potendo essere distratti dal fine cui risultano destinati, al quale viene definitivamente subordinata la loro disponibilità; né tali fondi possono formare oggetto di esecuzione da parte dei creditori dell'imprenditore o del prestatore di lavoro, trattandosi di somme che, non facendo più parte del patrimonio di coloro che le hanno versate, non possono essere considerate a garanzia delle obbligazioni da essi eventualmente assunte (Cass. n. 17178/2012) e che il datore di lavoro è responsabile nei confronti dei lavoratori qualora si verifichi la distrazione della consistenza patrimoniale del fondo (Cass. n. 7814/2014).

Una simile responsabilità non impedisce che il vincolo di destinazione previsto dall'art. 2117 spieghi effetti anche nei confronti del datore di lavoro; onde deve ritenersi che a questi — senza necessità di una specifica previsione negoziale — è fatto divieto di distrarre i fondi dalla finalità alla quale sono destinati (Cass. n. 3630/2002).

Un effetto particolare del vincolo disposto dalla norma in commento è costituito dal fatto che il principio secondo cui il recesso unilaterale del datore di lavoro da un accordo collettivo aziendale istitutivo di un fondo di previdenza integrativa privo del termine finale è ammissibile secondo i precetti generali che regolano l'estinzione dei rapporti di durata a tempo indeterminato deve rispettare la garanzia normativa di cui all'art. 2117; con la conseguenza che esso, non soltanto non può influire né sulla posizione di coloro che, avendo maturato i requisiti ed esercitato il diritto, hanno ormai conseguito il previsto trattamento pensionistico aziendale né sulla posizione di coloro che hanno maturato i requisiti per un trattamento pensionistico, ma non hanno ancora esercitato il relativo diritto previo il proprio collocamento a riposo (posizioni entrambe riconducibili alla nozione di diritti «quesiti»), ma non può avere effetto neppure sulla posizione di coloro che, pur non avendo maturato i requisiti per il trattamento aziendale, sono parte della fattispecie a formazione progressiva, costitutiva di capitale in via di accumulo, vincolato a beneficio di tutti gli iscritti al fondo, ai sensi del citato art. 2117 (Cass. n. 19307/2004; Cass. n. 6427/1998).

Le prestazioni

Le prestazioni erogate dai fondi in questione possono essere di natura tanto previdenziale quanto assistenziale e la giurisprudenza riconosce che un fondo può legittimamente continuare ad erogare prestazioni previdenziali anche dopo che sia cessato il rapporto previdenziale, in quanto ciò, pur costituendo un' anomalia — giacché implica la continuazione del rapporto fra il fondo e dipendenti usciti ormai dal sistema — non costituisce però violazione di alcun principio logico o giuridico, posto che l'impegno assunto dal fondo anzidetto di effettuare una prestazione perequativa in favore di chi abbia fatto parte del sistema per un certo periodo di tempo rientra nella autonomia negoziale della quale esso dispone (Cass. n. 16176/2004).

La stessa giurisprudenza afferma che trattamenti pensionistici integrativi aziendali hanno natura giuridica di retribuzione differita, ma, in relazione alla loro funzione previdenziale, sono ascrivibili alla categoria delle erogazioni solo in senso lato in relazione di corrispettività con la prestazione lavorativa; ne discende la non operatività del criterio di inderogabile proporzionalità alla quantità e qualità del lavoro, e, più in generale — con particolare riferimento alle pensioni aggiuntive rispetto al trattamento previdenziale obbligatorio —, della garanzia dell'art. 36 Cost., in relazione all'art. 2099; conseguentemente, da un lato, l'autonomia privata non subisce, in linea generale, limiti alla determinazione del quantum dovuto e dei presupposti e requisiti di erogazione di dette pensioni (Cass. n. 13399/2013), e, dall'altro, non può ritenersi pertinente — con particolare riferimento alla sospensione del trattamento integrativo in caso di svolgimento di determinate attività lavorative — il vincolo di destinazione delle somme allo scopo pensionistico, posto dall'art. 2117 (Cass. S.U., n. 974/1997; Cass. n. 5505/1995).

Bibliografia

Avio, Della previdenza e dell'assistenza, Milano, 2012; Canavesi, Contribuzione prescritta e automaticità delle prestazioni nell'ordinamento italiano e nella dimensione comunitaria, in Riv. giur. lav. 1992, I; Carinci-Zampini, La previdenza complementare. Uno sguardo di sintesi a vent'anni dal d. lgs. 124/1993, in Lav. giur. 2013; Cinelli, Sicurezza sociale, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990; De Litala, Il contratto di lavoro, Torino, 1949; De Valles, Natura giuridica dei fondi per la previdenza e assistenza di cui all'art. 2117 cod. civ., in Dir. econ., 1961; Levi Sandri, Contributi previdenziali, in Enc. dir., X, 1962; Mancuso, Contribuzione nel diritto della sicurezza sociale, in Dig. comm., IV, Torino, 1989; Pera, La responsabilità del datore di lavoro per omesso o irregolare versamento dei contributi previdenziali e l'art. 13 della legge 19 agosto 1962, n. 1338, in Riv. dir. lav. 1962, I; Persiani, Il sistema giuridico della previdenza sociale, Padova, 1960; Persiani, Diritto della previdenza sociale, Padova, 2014; Pessi, Lezioni di diritto della previdenza sociale, Padova, 2012; Romagnoli, Natura giuridica dei fondi di previdenza (art. 2117), in Riv. trim. dir. proc. civ., 1960; Santoro-Passarelli, Rischio e bisogno nella previdenza sociale, in Riv. it. prev. soc. 1948, I.

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