Codice Civile art. 2120 - Disciplina del trattamento di fine rapporto (1).Disciplina del trattamento di fine rapporto (1). [I]. In ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il prestatore di lavoro ha diritto ad un trattamento di fine rapporto. Tale trattamento si calcola sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all'importo della retribuzione dovuta per l'anno stesso divisa per 13,5. La quota è proporzionalmente ridotta per le frazioni di anno, computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni. [II]. Salvo diversa previsione dei contratti collettivi la retribuzione annua, ai fini del comma precedente, comprende tutte le somme, compreso l'equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese. [III]. In caso di sospensione della prestazione di lavoro nel corso dell'anno per una delle cause di cui all'articolo 2110, nonché in caso di sospensione totale o parziale per la quale sia prevista l'integrazione salariale, deve essere computato nella retribuzione di cui al primo comma l'equivalente della retribuzione a cui il lavoratore avrebbe avuto diritto in caso di normale svolgimento del rapporto di lavoro. [IV]. Il trattamento di cui al precedente primo comma, con esclusione della quota maturata nell'anno, è incrementato, su base composta, al 31 dicembre di ogni anno, con l'applicazione di un tasso costituito dall'1,5 per cento in misura fissa e dal 75 per cento dell'aumento dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, accertato dall'ISTAT, rispetto al mese di dicembre dell'anno precedente. [V]. Ai fini della applicazione del tasso di rivalutazione di cui al comma precedente per frazioni di anno, l'incremento dell'indice ISTAT è quello risultante nel mese di cessazione del rapporto di lavoro rispetto a quello di dicembre dell'anno precedente. Le frazioni di mese uguali o superiori a quindici giorni si computano come mese intero. [VI]. Il prestatore di lavoro, con almeno otto anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro, può chiedere, in costanza di rapporto di lavoro, una anticipazione non superiore al 70 per cento sul trattamento cui avrebbe diritto nel caso di cessazione del rapporto alla data della richiesta. [VII]. Le richieste sono soddisfatte annualmente entro i limiti del 10 per cento degli aventi titolo, di cui al precedente comma, e comunque del 4 per cento del numero totale dei dipendenti. [VIII]. La richiesta deve essere giustificata dalla necessità di: a) eventuali spese sanitarie per terapie e interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche; b) acquisto della prima casa di abitazione per sé o per i figli, documentato con atto notarile (2). [IX]. L'anticipazione può essere ottenuta una sola volta nel corso del rapporto di lavoro e viene detratta, a tutti gli effetti, dal trattamento di fine rapporto. [X]. Nell'ipotesi di cui all'articolo 2122 la stessa anticipazione è detratta dall'indennità prevista dalla norma medesima. [XI]. Condizioni di miglior favore possono essere previste dai contratti collettivi o da patti individuali. I contratti collettivi possono altresì stabilire criteri di priorità per l'accoglimento delle richieste di anticipazione. (1) Articolo così sostituito dall'art. 1 l. 29 maggio 1982, n. 297. Il testo recitava: «Indennità di anzianità. [I]. In caso di cessazione del contratto a tempo indeterminato, è dovuta al prestatore di lavoro un'indennità proporzionale agli anni di servizio, salvo il caso di licenziamento per di lui colpa o di dimissioni volontarie. [II]. Le norme corporative possono tuttavia stabilire che la indennità sia dovuta anche in caso di dimissioni volontarie, determinandone le condizioni e le modalità. [III]. L'ammontare dell'indennità è determinato dalle norme corporative, dagli usi o secondo equità, in base all'ultima retribuzione e in relazione alla categoria alla quale appartiene il prestatore di lavoro. [IV]. Sono salve le norme corporative che stabiliscono forme equivalenti di previdenza» (2) La Corte cost., con sentenza 5 aprile 1991, n. 142 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della lettera «nella parte in cui non prevede la possibilità di concessione dell'anticipazione in ipotesi di acquisto in itinere comprovato con mezzi idonei a dimostrarne l'effettività». InquadramentoL'art. 2120 disciplina il trattamento di fine rapporto, indennità che spetta al lavoratore in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro. L'attuale testo della norma è stato introdotto dalla l. n. 297/1982. In precedenza l'emolumento spettante al lavoratore in occasione della cessazione del rapporto era denominato indennità di anzianità e si distingueva dall'attuale t.f.r. soprattutto, ma non esclusivamente, per la modalità di calcolo, la quale consisteva nella moltiplicazione dell'ultima retribuzione per un coefficiente proporzionale alla durata del rapporto. Natura giuridica del trattamento di fine rapportoLa giurisprudenza afferma la natura retributiva del t.f.r., qualificando questo come un istituto di retribuzione differita che matura anno per anno attraverso il meccanismo dell'accantonamento e della rivalutazione (Cass. n. 16549/2005; Cass. n. 96/2003). Anche la dottrina riconosce natura di retribuzione differita del t.f.r. (Vallebona, 43; Santoro-Passarelli, 1984, 89; Carinci-De Luca Tamajo-Tosi-Treu, 378), seppure non manca chi continua a sottolineare come l'emolumento svolga anche una funzione previdenziale, come reso evidente dal fatto che esso è corrisposto al momento in cui, cessando il rapporto di lavoro, viene meno anche il reddito che da esso ricavava il lavoratore (Ghera, 209). Il sistema di computoIl t.f.r. si calcola determinando, per ciascun anno di servizio, una quota pari alla complessiva retribuzione annuale divisa per 13,5 (tale coefficiente è stabilito come misura media rispetto al numero delle mensilità solitamente corrisposte al lavoratore: Ghera, 209); le quote così individuate devono poi essere rivalutate al 31 dicembre di ogni anno con l'applicazione di un tasso costituito dall'1,5% in misura fissa e dal 75% dell'aumento dell'indice dei prezzi al consumo accertato dall'Istat. Il concetto di retribuzione accolto dall'art. 2120 è ispirato al criterio dell'onnicomprensività, comprendendo «tutte le somme, compreso l'equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese». Il carattere della non occasionalità attiene, secondo la giurisprudenza, non alla frequenza dell'erogazione ma all'omogeneità del relativo titolo rispetto al normale svolgimento del rapporto di lavoro, la quale consente di comprendere anche indennità non continuative, purché non occasionali (Cass. n. 9627/1995; Cass. n. 2254/1993). Non è richiesta, quindi, la ripetitività regolare e continua e la frequenza delle prestazioni e dei relativi compensi, questi ultimi dovendo essere esclusi dal calcolo solo in quanto sporadici ed occasionali, per tali dovendosi intendersi solamente quelli collegati a ragioni aziendali del tutto imprevedibili e fortuite, e dovendosi all'opposto computare ai fini della determinazione del trattamento di fine rapporto gli emolumenti riferiti ad eventi collegati al rapporto lavorativo o connessi alla particolare organizzazione del lavoro (Cass. n. 11448/2004; Cass. 12411/2002). Vi rientra sicuramente il controvalore in denaro di prestazioni in natura (Cass. n. 17013/2006; Cass. n. 11644/2004). Vi rientrano anche i c.d. premi di anzianità o di fedeltà erogati al compimento di una certa anzianità di servizio (Cass. n. 23799/2015; Cass. n. 16591/2014; Cass. n. 9252/2008). Debbono essere presi in considerazione, inoltre, gli emolumenti per lavoro straordinario che non siano corrisposti occasionalmente, ossia per ragioni del tutto eventuali, imprevedibili e fortuite (Cass. n. 5362/2005; Cass. n. 12851/2003) e la maggiorazione per lavoro notturno a turni non avvicendati (Cass n. 25000/2017). Quanto all'indennità di trasferta prevista in favore del lavoratore che si trasferisce in un luogo di lavoro diverso da quello abituale, la giurisprudenza afferma che in essa possono ravvisarsi due componenti, quella risarcitoria e quella residuale retributiva, la cui rispettiva determinazione quantitativa (rilevante nella specie al fine di stabilirne la computabilità per il calcolo dell'indennità di anzianità e del trattamento di fine rapporto), discende dalla interpretazione delle specifiche pattuizioni contrattuali (Cass. n. 3684/2010; Cass. n. 27826/2009). Identica conclusione è stata affermata dalla giurisprudenza con riferimento alle somme erogate a titolo di festività non godute in quanto coincidenti con la domenica (Cass. n. 4286/2016) e di indennità per ferie non godute (Cass. n. 1757/2016). La giurisprudenza sostiene altresì la necessità di includere nella base di calcolo anche gli accantonamenti relativi a retribuzioni per le quali il diritto sia ormai prescritto, poiché quelle retribuzioni rilevano solo come base di computo del t.f.r. e non come componenti del relativo diritto (Cass. n. 11579/2014; Cass. n. 11470/1997). La giurisprudenza precisa, infine, che l'individuazione della retribuzione annua utile ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto deve operarsi facendo riferimento alla normativa legale o contrattuale in vigore al momento dei singoli accantonamenti e non a quella in vigore al momento della cessazione del rapporto (Cass. n. 12780/2004; Cass. n. 3079/2001). Le deroghe alla disciplina normativa da parte delle fonti pattizieL'art. 4 l. n. 297/1982 sancisce la nullità, con conseguente sostituzione di diritto, di tutte le clausole dei contratti collettivi regolanti la materia. La giurisprudenza ne trae la conseguenza secondo la quale resta riservato alla legge di individuare l'indennità di fine servizio, con esclusione di ogni forma di integrazione ulteriore che, non costituendo l'effetto contabile diretto dell'incremento della base retributiva, si pone quale elemento aggiuntivo al trattamento predetto, già predeterminato per legge, con funzione sostanzialmente uguale; consegue, pertanto, l'impossibilità per l'autonomia collettiva di introdurre o conservare trattamenti di fine rapporto aventi, sia pure con diversa struttura, una funzione di integrazione o di mera duplicazione del trattamento legale (Cass. n. 8372/2004; Cass. n. 5213/2004; Cass. n. 7210/2002), ciò neppure per il tramite del riconoscimento di un'anzianità superiore a quella effettiva (Cass. n. 10323/2002). A norma del secondo comma dell'art. 2120, la contrattazione collettiva è abilitata solamente ad introdurre una diversa disciplina della retribuzione annua da prendere in considerazione ai fini del computo del t.f.r. In proposito, la giurisprudenza richiede che le deroghe alla disciplina legale siano espressamente formulate (Cass. S.U., n. 26096/2007) e ciò non mediante una generica conferma di precedenti disposizioni contrattuali, ma attraverso una chiara ed univoca volontà delle parti contraenti, non potendosi ravvisare tale intento in una clausola che abbia il mero scopo di esplicitare la nozione contrattuale di alcuni termini ricorrenti, fra i quali quello di t.f.r. (Cass. n. 6732/2010; Cass. n. 18289/2007). Si ammette, comunque, che la contrattazione collettiva possa limitare la base di calcolo anche con modalità indirette, purché la volontà risulti chiara pur senza l'utilizzazione di formule speciale od espressamente derogatorie (Cass. n. 4708/2012; Cass. n. 365/2010). Le anticipazioniL'art. 2120 dispone che il lavoratore con almeno 8 anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro può chiedere ed ottenere, una sola volta, un'anticipazione non superiore al 70% del trattamento già maturato, giustificando la richiesta con la necessità di spese sanitarie o dell'acquisto della prima casa di abitazione per sé o per i figli; il datore di lavoro è tenuto a soddisfare le richieste, annualmente, nei limiti del 10% dei lavoratori aventi titolo o del 4% del numero totale dei dipendenti. Contratti collettivi e patti individuali possono stabilire condizioni di miglior favore, inclusa, secondo la dottrina (De Luca Tamajo-Sparano, 348; Ghera, 211), la corresponsione periodica di una parte, più o meno cospicua delle somme accantonate anno per anno. In giurisprudenza, per la piena derogabilità della disciplina legale delle anticipazioni, v. Cass. n. 4133/2007. I contratti collettivi, inoltre, possono prevedere anche criteri di priorità tra le varie domande: In mancanza di tali criteri, secondo la dottrina il datore di lavoro sarebbe tenuto a rispettare quello cronologico (Santoro-Passarelli, 1984, 276). Maturazione e prescrizione del diritto al t.f.rLa dottrina afferma che il t.f.r. matura durante l'intero arco del rapporto di lavoro attraverso una fattispecie acquisitiva a formazione successiva che si completa con la cessazione del rapporto e in conseguenza di questa, per cui prima di tale momento il credito non è né certo, né liquido (Pessi, 321; Ghera, 210). La dottrina ammette, comunque, l'esperibilità, da parte del lavoratore, nel corso del rapporto di lavoro, dell'azione di accertamento giudiziale dell'entità del t.f.r. maturato (Ghera, 210; G. Santoro-Passarelli, 1984, 70; Vallebona, 39). In proposito la giurisprudenza afferma che il lavoratore ancora in servizio, qualora vi abbia interesse concreto ed attuale, può proporre azione di mero accertamento avente ad oggetto le quote annuali del trattamento di fine rapporto, ancorché le quote stesse non siano ancora esigibili e, come tali, non possano formare oggetto di un'azione di condanna (Cass. n. 11778/2012; Cass. n. 18501/2008). L'interesse all'azione di accertamento è ravvisabile quando sussiste l'interesse ad eliminare uno stato di incertezza in ordine alle modalità di maturazione del trattamento, sia nel caso in cui la composizione della base di computo del trattamento si stata conosciuta mediante la comunicazione degli accantonamenti, sia in quello in cui tale composizione possa venire in discussione a seguito dell'eventuale erogazione di anticipazioni (Cass. n. 2625/2010). Quanto alla decorrenza del termine di prescrizione dell'azione de quo, la giurisprudenza ritiene che essa non scatti al momento della comunicazione datoriale della misura degli accantonamenti utili ai fini della futura liquidazione del t.f.r., in quanto atto inidoneo ad eliminare la situazione di incertezza (Cass. n. 6332/2014; Cass. n. 21239/2007). Più radicalmente, il altra occasione si è affermato che l'azione di mero accertamento presuppone uno stato di incertezza oggettiva sull'esistenza di un rapporto giuridico, tale da arrecare all'interessato un pregiudizio concreto ed attuale, che si sostanzia in un'illegittima situazione di fatto continuativa e che, perciò, si caratterizza per la sua stessa permanenza, sicché, prima che questa cessi, non è individuabile un unico momento destinato a costituire il dies a quo della prescrizione della stessa azione di accertamento, mentre è la sua cessazione che fa venir meno il presupposto di tale azione, determinando, per definizione, l'insussistenza del fattore di incertezza; pertanto, l'azione meramente dichiarativa sarebbe da considerarsi dotata del requisito dell'imprescrittibilità (Cass. n. 11536/2006). La prescrizione del diritto al pagamento del t.f.r. decorre, poi, dal momento della cessazione del rapporto (Cass. n. 11579/2014; Cass. n. 3894/2010; Cass. n. 2625/2010). 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