Codice Civile art. 2128 - Lavoro a domicilio.

Paolo Sordi

Lavoro a domicilio.

[I]. Ai prestatori di lavoro a domicilio si applicano le disposizioni di questa sezione, in quanto compatibili con la specialità del rapporto (1).

(1) V. l. 18 dicembre 1973, n. 877.

Inquadramento

Il lavoro a domicilio costituisce una tipologia di impiego la cui specialità deriva dal fatto che la prestazione lavorativa viene eseguita non nell'azienda del datore di lavoro, ma presso il domicilio del lavoratore, con la conseguenza che esso viene svolto senza il diretto controllo del datore di lavoro (onde, ad esempio, l'obbligatorietà della retribuzione a cottimo, stante l'impossibilità del controllo sulla durata della prestazione).

L'art. 2128 stabilisce che a tale speciale forma di lavoro si applicano le disposizioni del contratto di lavoro subordinato in quanto compatibili con la specialità del rapporto.

Successivamente all'entrata in vigore del codice civile, la fattispecie è stata disciplinata specificatamente prima dalla l. n. 264/1958 e poi dalla l. n. 877/1973 (come modificata e interpretata autenticamente dalla l. n. 858/1980), tuttora vigente.

La dottrina prevalente esclude che l'emanazione dei predetti testi legislativi abbia determinato l'implicita abrogazione dell'art. 2128 (Dell'Olio, 1983, 710; Nogler, 58).

Lavoro a domicilio subordinato e autonomo

Il lavoro a domicilio può essere prestato tanto nella forma della subordinazione, quanto in regime di autonomia.

L'art. 1 l. n. 877/1973, dopo aver stabilito che «È lavoratore a domicilio chiunque, con vincolo di subordinazione, esegue nel proprio domicilio o in locale di cui abbia disponibilità, anche con l'aiuto accessorio di membri della sua famiglia conviventi e a carico, ma con esclusione di manodopera salariata e di apprendisti, lavoro retribuito per conto di uno o più imprenditori, utilizzando materie prime o accessorie e attrezzature proprie o dello stesso imprenditore, anche se fornite per il tramite di terzi», precisa che «La subordinazione, agli effetti della presente legge e in deroga a quanto stabilito dall'articolo 2094 del codice civile, ricorre quando il lavoratore a domicilio è tenuto ad osservare le direttive dell'imprenditore circa le modalità di esecuzione, le caratteristiche e i requisiti del lavoro da svolgere nella esecuzione parziale, nel completamento o nell'intera lavorazione di prodotti oggetto dell'attività dell'imprenditore committente».

La dottrina afferma che si tratterebbe di una nozione “fluida” di subordinazione, nel senso che essa sussiste anche se le direttive dell'imprenditore circa le modalità di esecuzione del lavoro siano impartite non di volta in volta e in maniera specifica, ma all'inizio e una volta per tutte e che successivamente vi sia un controllo della rispondenza del lavoro finito a tali direttive; si configura invece lavoro a domicilio autonomo quando il lavoratore presenti una distinta organizzazione, a proprio rischio, dei mezzi produttivi e una struttura di tipo imprenditoriale (Carinci-De Luca Tamajo-Tosi-Treu, 54).

Ad avviso della giurisprudenza, ai fini della qualificazione del lavoro a domicilio come autonomo o subordinato — secondo la configurazione risultante dalla disciplina contenuta nella l. n. 877/1973, che sul punto ha innovato rispetto alla l. n. 264/1958 — assume rilevanza la possibilità attribuita al lavoratore di accettare o rifiutare le singole commesse, all'esito di trattative concernenti le caratteristiche del lavoro ed il prezzo da stabilire di volta in volta, dovendosi accertare, in particolare, se tale possibilità di negoziazione sia limitata in ambiti prefissati dal contratto di lavoro, inserendosi in esso quale modalità di esecuzione, ovvero sia espressione di una realtà incompatibile con il lavoro subordinato, configurandosi, in tal caso, tanti contratti di lavoro autonomo per quante sono le singole commesse (Cass. n. 461/2011).

È stato ulteriormente precisato che il vincolo di subordinazione si configura come inserimento dell'attività del prestatore nel ciclo produttivo dell'azienda, del quale la prestazione lavorativa resa, pur se in ambienti esterni e con mezzi e attrezzature anche propri del lavoratore stesso, ed eventualmente con l'ausilio dei suoi familiari purché conviventi e a carico, diventa parte integrante; tale integrazione si esprime non solo con l'obbligo di seguire analitiche e vincolanti indicazioni dell'azienda, bensì con l'ineludibile obbligo di lavorare (Cass. n. 4761/2006), atteso che la configurabilità di una subordinazione, sia pure attenuta, deve escludersi allorquando, invece, il lavoratore goda di piena libertà di accettare o rifiutare il lavoro commessogli ovvero abbia piena discrezionalità in ordine ai tempi di consegna del lavoro, dovendosi comunque precisare che nei casi in cui l'accertamento e la valutazione delle modalità della prestazione lascino spazi di incertezza e ambiguità è utile avere riguardo anche alla volontà delle parti, espressa nella regolamentazione del loro rapporto, ovvero il possesso da parte del lavoratore a domicilio di macchinari e attrezzature idonei ad attestare l'esistenza di una piccola impresa e/o la sua natura artigianale (Cass. n. 6803/2002) e che in difetto di sufficienti indici rivelatori della sussistenza di un vincolo di subordinazione, il cui onere probatorio incombe a chi lo deduce, deve essere esclusa l'applicabilità al lavoro a domicilio della disciplina del lavoro subordinato (Cass. n. 22129/2006).

La giurisprudenza nega che valgano, di per sé, ad escludere la configurabilità del suddetto tipo di rapporto l'iscrizione del prestatore di lavoro all'albo delle imprese artigiane (in quanto ad una iscrizione formale, priva di valore costitutivo, può non corrispondere l'effettiva esplicazione di attività lavorativa autonoma) ovvero l'emissione di fatture per il pagamento delle prestazioni lavorative eseguite (potendo tale formalità essere finalizzata proprio alla elusione della normativa legale su richiamata), oppure la circostanza che il lavoratore svolga la sua attività per una pluralità di committenti (Cass. n. 21594/2004; Cass. n. 1433/1997).

La giurisprudenza ammette, poi, che le prescrizioni possono essere inizialmente impartite dall'imprenditore una volta per tutte al prestatore (anche mediante la consegna di un modello da eseguire non solo nelle sue linee essenziali, ma in tutti i minimi particolari, che devono corrispondere integralmente a quelli prestabiliti, così da escludere in pratica ogni margine di autonomia esecutiva della prestazione) e non possono quindi realizzarsi con la mera indicazione del tipo di lavorazione affidato (Cass. n. 1361/1993).

Il luogo di svolgimento della prestazione lavorativa

L'art. 1, comma 3, l. n. 877/1973 dispone che non è lavoratore a domicilio e deve a tutti gli effetti considerarsi dipendente con rapporto di lavoro a tempo indeterminato chiunque esegue, nelle condizioni di cui ai commi precedenti, lavori in locali di pertinenza dello stesso imprenditore, anche se per l'uso di tali locali e dei mezzi di lavoro in esso esistenti corrisponde al datore di lavoro un compenso di qualsiasi natura.

Secondo la dottrina la disposizione è un palese indice della volontà del legislatore di reprimere preventivamente l'elusione delle norme sul lavoro interno (Dell'Olio, 1983, 713).

La giurisprudenza ha chiarito che la norma, nel prevedere che non è lavoratore a domicilio, ma deve considerarsi dipendente con rapporto di lavoro a tempo indeterminato chiunque, versando nelle condizioni di quella particolare subordinazione tecnica che caratterizza il lavoro a domicilio, esegua lavori nei locali di pertinenza dell'imprenditore, non va intesa secondo la disciplina dettata dal codice civile (art. 817), ma con riguardo alla persona dell'imprenditore e quindi ai locali appartenenti al medesimo, con la conseguenza che la relativa tutela trova applicazione anche nell'ipotesi in cui la prestazione lavorativa venga espletata all'interno dell'azienda (Cass. n. 6520/1988).

Bibliografia

Amoroso-Di Cerbo-Fiorillo-Maresca, Diritto del lavoro. Il lavoro pubblico, Milano, 2011; Apicella, Lineamenti del pubblico impiego «privatizzato», Milano, 2012; Campanella, Prestazione di fatto e contratto di lavoro, Milano, 2013; Carinci-De Luca Tamajo-Tosi-Treu, Diritto del lavoro. Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2011; Dell'Olio, La prestazione di fatto del lavoro subordinato, Padova, 1970; Faioli, Il lavoro prestato irregolarmente, Milano, 2008; Dell'Olio, Lavoro a domicilio, in Noviss. dig. it., App., IV, Torino, 1983, 707; D'Harmant Francois, Lavoro a domicilio, in Enc. dir., XXIII, Milano, 1973, 440; Guarnieri, L'interposizione ingiustificata nei rapporti di lavoro: la problematica civilistica, in Riv. dir. lav. 1987, I, 432; Mazziotti, Contenuto ed effetti del contratto di lavoro, Napoli, 1974; Mazzotta, Rapporti interpositori e contratto di lavoro, Milano, 1979; Napoletano, Divieto di intermediazione nelle prestazioni di lavoro e nuova disciplina dell'impiego di mano d'opera negli appalti e nei servizi, in Riv. giur. lav. 1961, I, 20; Nogler, Lavoro a domicilio, Milano, 2000; Zoli, Prestazione di fatto e lavoro pubblico, in Arg. dir. lav. 2001, 469;

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