Codice Civile art. 2135 - Imprenditore agricolo 1 .Imprenditore agricolo 1. [I]. È imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse. [II]. Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine. [III]. Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge.
[1] Articolo così sostituito dall'art. 11d.lgs. 18 maggio 2001, n. 228. Il testo era il seguente: «[I]. È imprenditore agricolo chi esercita una attività diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, all'allevamento del bestiame e attività connesse. [II]. Si reputano connesse le attività dirette alla trasformazione o all'alienazione dei prodotti agricoli, quando rientrano nell'esercizio normale dell'agricoltura». V. anche l'art. 12 d.lgs. n. 228, cit. Per l'iscrizione al registro delle imprese v. art. 2 d.P.R. 14 dicembre 1999, n. 558, nonché art. 2 d.lgs. n. 228, cit. InquadramentoIn tema di Iva, l'attività di vivaista rientra, come quella di allevamento del bestiame, tra le attività agricole — e giustifica l'applicazione del regime speciale previsto per la cessione di prodotti effettuate dai produttori agricoli ex art. 34, comma 1, lett. a), d.P.R. n. 633/1972 — solo quando non siano trascesi in misura rilevante i limiti della potenzialità del terreno o dell'esercizio normale dell'agricoltura (Cass. n. 14842/2008). La cessione di "quote di produzione" di prodotti agricoli avente ad oggetto il diritto di coltivazione di un determinato prodotto (nella specie tabacco), configurandosi come prestazione di servizi strumentali alla cura ed allo sviluppo del ciclo biologico della coltura, è soggetta al regime ordinario dell'IVA, anche quando la cessione sia effettuata da un'associazione di produttori per conto dei propri associati, stante il disposto di cui all'art. 4, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972, vigendo il principio di assoggettamento ad IVA delle operazioni relative a prestazioni di servizi rese dalle associazioni (Cass. n. 6240/2020). A norma dell'art. 2135 nel testo anteriore alla novella di cui al d.lgs. n. 228/2001, l'attività di allevamento di bestiame può considerarsi agricola, anziché commerciale, a condizione che sia esercitata in collegamento funzionale con il fondo, con la conseguenza che l'esercizio di un'impresa avicola — astrattamente riconducibile all'attività di allevamento del bestiame ai fini della qualificazione dell'avicoltore come imprenditore agricolo — può legittimamente ricomprendersi tra le attività agricole a condizione che l'avicoltore svolga la sua attività in collegamento necessario e funzionale con il fondo, non rilevando, in contrario, né il disposto di cui all'art. 206 d.P.R. n. 1124/1965, modificato dalla l. n. 778/1986, dettato a soli fini assicurativi, né la sopracitata novella di cui al d.lgs. n. 228/2001, trattandosi di norma innovativa (ispirata da principi di diritto europeo), insuscettibile di applicazione retroattiva (Cass. n. 13177/2007). La nozione di imprenditore agricolo contenuta nell'art. 2135 (nel testo precedente alla novella di cui al d.lgs. n. 228/2001), alla quale occorre necessariamente fare riferimento per il richiamo contenuto nell'art. 1 l.fall. (Imprese soggette al fallimento), presuppone che l'attività economica sia svolta con la terra o sulla terra e che l'organizzazione aziendale ruoti attorno al «fattore terra». Ne consegue che il riferimento al solo ciclo biologico del prodotto (pur se esatto dal punto di vista tecnico) non esaurisce il tema d'indagine devoluto al giudice di merito per l'accertamento, ai fini della soggezione al fallimento, della natura dell'impresa (la S.C. ha così cassato la sentenza che aveva ritenuto che l'attività di ortoflorovivaistica potesse essere qualificata agricola, non in base alla coltivazione diretta del fondo, bensì in relazione al fatto che la produzione dipende da un ciclo biologico che, nonostante le tecniche di perfezionamento, non è mai controllabile e, rispetto al quale, il fondo può ridursi a sede dell'attività produttiva) (Cass. n. 17251/2002). Una società già avente ad oggetto l'esercizio di attività agricola non può essere assoggettata a fallimento ove, dismessa l'originaria attività, non abbia svolto alcuna attività imprenditoriale, poiché la relativa dichiarazione può riguardare solo l'imprenditore commerciale (Cass. n. 17397/2015). GeneralitàLa nozione d'imprenditore agricolo contenuta nell'art. 2135, alla quale occorre fare riferimento per il richiamo contenuto nell'art. 1 l. fall., — nel testo (applicabile nella specie ratione temporis) precedente alla modifica introdotta dal d.lgs. n. 228/2001, che ha innovato la pregressa nozione allo scopo di rafforzare la posizione imprenditoriale dell'operatore agricolo, soprattutto per le attività connesse, — presuppone che l'attività economica ruoti attorno al «fattore terra», con la conseguenza che deve ritenersi estranea all'attività agricola l'attività di realizzazione e gestione di villaggi turistici, la gestione, locazione e vendita d'appartamenti, bungalows, alberghi e sale di convegni (in applicazione del principio, la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza impugnata, che aveva escluso la qualità d'imprenditore agricolo del ricorrente, sottolineando che, peraltro, l'attività sopra precisata non era neppure riconducibile a quella di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale prevista dall'art. 2135, nel testo modificato dal d.lgs. n. 228/2001 cit.) (Cass. n. 8849/2005). La nozione di azienda agricola colpita da siccità, considerata dagli artt. 1 e 4 d.l. n. 367/1990 (convertito, con modificazioni, dalla l. n. 31/1991) ai fini dei benefici e dei provvedimenti di soccorso ivi previsti, è più ristretta di quella risultante dall'art. 2135, giacché comprende soltanto le aziende svolgenti attività agricole essenziali, con esclusione pertanto delle aziende di trasformazione che, prive di una connessione con il fondo, partecipano ad una fase commerciale connessa con la produzione agricola (Cass. n. 17347/2002). Ai fini dell'individuazione della nozione di allevamento di bestiame, il principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento alla nozione di imprenditore agricolo delineata dall'art. 2135, nel testo precedente alla riforma introdotta dall'art. 1 d.lgs. n. 228/2001 appare pienamente applicabile alla norma di cui all'art. 2 l. n. 9/1963, ai fini del diritto del coltivatore diretto, dedito all'allevamento di bestiame, all'assicurazione di invalidità e vecchiaia, costituendo l'allevamento del bestiame, in entrambi i casi, specificazione di un particolare tipo di attività alla quale, per la sua caratterizzazione agricola, l'ordinamento giuridico attribuisce una speciale disciplina, codicistica per l'impresa agricola, previdenziale per il coltivatore diretto (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione della corte territoriale che, sul presupposto che l'allevamento del bestiame avesse natura agricola solo se collegato con rapporto di complementarietà e subordinazione con la coltivazione del fondo, aveva ritenuto l'attività diretta alla riproduzione e all'allevamento dei cavalli da corsa non qualificabile come attività agricola, richiedendo un complesso di conoscenze tecniche in settore sostanzialmente estraneo a quello propriamente agricolo) (Cass. n. 11630/2007). Appartiene alla competenza del tribunale ordinario, e non a quella della sezione specializzata agraria, ogni controversia relativa alla concessione in godimento di un terreno agricolo destinato all'attività prevalente di allevamento di animali quali cani e gatti, in quanto non collegata funzionalmente alla produzione agraria del terreno, né riconducibile all'esercizio normale dell'agricoltura quale componente o fattore produttivo ad essa connessa secondo la pratica agricola e zootecnica per l'impiego della forza lavoro animale, o delle altre utilità normalmente fornite dal bestiame, nel ciclo produttivo agrario (Cass. n. 12394/2017). Risulta soggetta a fallimento l'impresa agricola costituita in forma societaria, quando risulti accertato in sede di merito l'esercizio in concreto di attività commerciale, in misura prevalente sull'attività agricola contemplata in via esclusiva dall'oggetto sociale, nonostante la sopravvenuta cessazione dell'attività commerciale al momento del deposito della domanda di fallimento nei suoi confronti (Cass. 5342/2019). In tema di inquadramento delle aziende a fini previdenziali, le cooperative svolgenti attività di trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli acquisiti da terzi possono essere qualificate agricole, ai sensi dell'art. 2135, a condizione che esercitino la loro attività prevalentemente nei confronti dei soci o con prodotti derivanti dai fondi da questi ultimi coltivati (Cass. 2933/2019). L'attività di catering, effettuata da un'azienda agrituristica all'esterno della propria sede, diretta non solo alla produzione ma anche alla somministrazione presso il consumatore di cibi e bevande, non costituisce ex art. 2135, comma 3, un'attività connessa alla coltivazione del fondo bensì una prestazione di servizi ai sensi tanto degli artt. 2 e 3, comma 2, d.P.R. n. 633/1972 quanto dell'art. 6 del Regolamento (CEE) del Consiglio n. 282/2011, con conseguente non riconducibilità della stessa, sotto il profilo fiscale, ad un'attività agricola (Cass. n. 24271/2019). L'indagine sulla natura, commerciale o agricola, di un'impresa agrituristica, ai fini della sua assoggettabilità a fallimento, ai sensi dell'articolo 1 della legge fallimentare, va condotta sulla base di criteri uniformi valevoli per l'intero territorio nazionale, e non già sulla base di criteri valutativi evincibili dalle singole leggi regionali, che possono fungere solo da supporto interpretativo; l'apprezzamento, in concreto, della ricorrenza dei requisiti di connessione tra attività agrituristiche e attività agricole, nonché della prevalenza di queste ultime rispetto alle prime, va condotto in sede giudiziale, alla luce dell'articolo 2135, terzo comma, c.c., integrato dalle previsioni della legge 20 febbraio 2006, n. 96 sulla disciplina dell'agriturismo, tenuto conto che quest'ultima costituisce un'attività para-alberghiera, che non si sostanzia nella mera somministrazione di pasti e bevande, onde la verifica della sua connessione con l'attività agricola non può esaurirsi nell'accertamento dell'utilizzo prevalente di materie prime ottenute dalla coltivazione del fondo e va, piuttosto, compiuta avuto riguardo all'uso, nel suo esercizio, di dotazioni (quali i locali adibiti alla ricezione degli ospiti) e di ulteriori risorse (sia tecniche che umane) dell'azienda, che sono normalmente impiegate nell'attività agricola (Cass. n. 1579/2024). Cooperative e consorziVa qualificato come imprenditore agricolo, a norma dell'art. 2135 e ai fini previdenziali, il consorzio o la cooperativa svolgente, nell'esclusivo interesse dei soci, un'attività di servizio in funzione ausiliaria — quale (come nella specie) lo svolgimento di incombenze amministrative e contabili —, tenuto presente il carattere non tassativo della specificazione (contenuta nell'art. 2135, comma 2) delle attività connesse a quelle tipicamente agricole (indicate nel comma 1) (Cass. n. 8697/1999). In relazione all'inquadramento nel settore agricolo ai fini previdenziali, l'elencazione delle attività connesse contenuta nel comma 2 dell'art. 2135 (nel testo vigente anteriormente alla riforma operata ex art. 1, d. lgs. 18 maggio 2001, n. 228, applicabile ratione temporis) è meramente esemplificativa, potendosi avere, oltre alle tipiche attività connesse menzionate dalla norma, anche attività atipiche, quali ad esempio la tenuta della contabilità, dietro corrispettivo annuo, per imprese agricole associate (Cass. n. 11707/2013). L'attività svolta dai Consorzi di Bonifica deve essere accertata non alla stregua di criteri generali ed astratti, ma in conformità dell'enunciazione del primo comma dell'art. 2070, posta in necessario collegamento con gli artt. 2195 e 2135, sulla base dell'attività effettivamente esercitata da tali enti (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio l'impugnata sentenza con la cui motivazione si era ritenuto di poter accertare la natura agricola dell'impresa svolta dal Consorzio, non già sulla base dell'attività in concreto esercitata, bensì sulla scorta di elementi estrinseci e formali, quali l'assoggettamento dei lavoratori al Ccnl dei braccianti, l'asserita assunzione tramite il collocamento agricolo od il rapporto di connessione funzionale od economica, che si ritiene di poter stabilire tra il servizio di irrogazione del Consorzio di Bonifica e l'attività agricola dei proprietari dei terreni inclusi nel comprensorio di bonifica) (Cass. n. 18206/2006). Al rapporto di lavoro dei dipendenti dei consorzi di bonifica è applicabile la disciplina sui contratti a termine di cui alla l. n. 230/1962, e in particolare la prescrizione dell'atto scritto a norma dell'art. 1, poiché la disposizione dell'art. 6, che esclude dalla disciplina della stessa legge i rapporti tra «datori di lavoro dell'agricoltura e salariati fissi comunque denominati» (e — in base ad una necessaria interpretazione estensiva — tutti i lavoratori agricoli), è applicabile ai lavoratori alle dipendenze di imprese definibili come agricole a norma dell'art. 2135 (lavoratori per i quali, peraltro, operano le formalità procedurali e le prescrizioni dettate in tema di collocamento dei lavoratori agricoli dalla l. n. 83/1970), mentre gli enti di bonifica (anche se talvolta ricondotti dalla legge al settore agricolo ai fini previdenziali) non sono imprenditori agricoli, perseguendo fini economici non solamente agricoli, anche se con attività in parte strumentali all'agricoltura (Cass. n. 15494/2011). Imprenditore itticoIn tema di Iva, la detrazione forfettizzata prevista dall'art. 34 d.P.R. n. 633/1972 compete per le cessioni di prodotti agricoli ed ittici compresi nella prima parte della tabella A allegata al medesimo d.P.R. effettuate da produttori agricoli: pertanto, per poter fruire di detta detrazione, è necessario non soltanto che il soggetto che effettua la cessione sia in possesso della qualità di imprenditore agricolo, ai fini della quale rileva anche lo svolgimento delle attività connesse di cui all'art. 2135, ma anche che il prodotto ceduto sia incluso tra quelli indicati nella citata tabella (Cass. n. 11992/2006). BibliografiaCarrara, I contratti agrari, Torino, 1954, 825; Cattaneo, in Contratti agrari associativi, Manuale di diritto agrario italiano (a cura di Irti), Torino, 1978, 331; Giuffrida, Imprenditore agricolo, in Enc. dir., XX, Milano, 1970, 557; Giuffrida, Soccida, in Enc. dir., XLII, Milano, 1970. |