Codice Civile art. 2230 - Prestazione d'opera intellettuale.Prestazione d'opera intellettuale. [I]. Il contratto che ha per oggetto una prestazione d'opera intellettuale è regolato dalle norme seguenti e, in quanto compatibili con queste e con la natura del rapporto, dalle disposizioni del capo precedente. [II]. Sono salve le disposizioni delle leggi speciali. InquadramentoL'incarico professionale può essere conferito in qualsiasi forma idonea a manifestare il consenso delle parti e la prova dell'avvenuto conferimento dell'incarico, quando il diritto al compenso sia dal convenuto contestato sotto il profilo dell'estensione del relativo oggetto, grava sull'attore (principio affermato con riferimento ad incarico affidato da una società a perito industriale per l'approntamento e la messa in opera di una macchina per la «trasformazione salviette milleusi», avendo l'istruttoria esperita nel giudizio di merito consentito di accertare estendersi esso non solamente all'assistenza all'assemblaggio della macchina, come eccepito dalla convenuta società conferente, ma anche alla progettazione di tutto il ciclo di relativo funzionamento, alle modifiche, alla messa a punto e al collaudo) (Cass. n. 3016/2006). Nel contratto di prestazione d'opera professionale un soggetto può legittimamente conferire l'incarico in favore di un terzo senza per questo assumere necessariamente la qualità di cliente, qualità che, pertanto, non assume rilievo ai fini del pagamento del compenso, di cui rimane onerato il committente. (Cass. n. 19970/2020). Nel contratto di prestazione di opera professionale la qualità di cliente può non coincidere con quella del soggetto a favore del quale l'opera del professionista deve essere svolta, di tal che chiunque può, per le più svariate ragioni, dare incarico ad un professionista affinché questi presti la propria opera a favore di un terzo, con la conseguenza che il contratto si conclude tra il committente ed il professionista, il quale resta obbligato verso il primo a compiere la prestazione a favore del terzo, mentre il primo resta obbligato al pagamento del compenso. (Cass. n. 22233/2004). In tema di contratto di prestazione d'opera professionale, titolare del rapporto è colui che conferisce l'incarico in nome proprio, ovvero colui che, munito di procura, agisce in nome e per conto del mandante, sicché, ove difetti la rappresentanza, la persona nel cui interesse sia richiesta un'attività professionale non assume alcuna obbligazione nei confronti del professionista officiato. Tale principio trova applicazione anche con riferimento agli incarichi conferiti ad un professionista dall'avvocato munito di procura ad litem, atteso che essa attribuisce lo ius postulandi e non certo il potere di compiere in nome e per conto della parte attività di tipo diverso da quelle strettamente processuali, ancorché strumentali al positivo esito della controversia (Cass. n. 4489/2010). Nel giudizio di responsabilità medica, per superare la presunzione di cui all'art. 1218 non è sufficiente dimostrare che l'evento dannoso per il paziente costituisca una «complicanza», rilevabile nella statistica sanitaria, dovendosi ritenere tale nozione — indicativa nella letteratura medica di un evento, insorto nel corso dell'iter terapeutico, astrattamente prevedibile ma non evitabile — priva di rilievo sul piano giuridico, nel cui ambito il peggioramento delle condizioni del paziente può solo ricondursi ad un fatto o prevedibile ed evitabile, e dunque ascrivibile a colpa del medico, ovvero non prevedibile o non evitabile, sì da integrare gli estremi della causa non imputabile (Cass. III, n. 13328/2015). Il contratto di prestazione d'opera professionale avente ad oggetto la progettazione di un edificio in tutto o in parte non conforme alla vigente disciplina edilizia non è di per sé nullo per contrasto con le norme imperative e con l'ordine pubblico, e neanche per impossibilità dell'oggetto, essendo la prestazione cui è contrattualmente vincolato il progettista eseguibile anche dal punto di vista giuridico (Cass. II n. 24086/2019). Sussiste la responsabilità dell'architetto, dell'ingegnere o del geometra, il quale, nell'espletamento dell'attività professionale consistente nell'obbligazione di redigere un progetto di costruzione o di ristrutturazione di un immobile, non assicuri la conformità dello stesso alla normativa urbanistica, in quanto l'irrealizzabilità del progetto per inadeguatezze di natura tecnica costituisce inadempimento dell'incarico e consente al committente di rifiutare di corrispondergli il compenso, ovvero di chiedere la risoluzione del contratto. Né la responsabilità del professionista viene meno e può riconoscersi il suo diritto ad ottenere il corrispettivo ove la progettazione di una costruzione o di una ristrutturazione in contrasto con la normativa urbanistica sia oggetto di un accordo tra le parti per porre in essere un abuso edilizio, spettando tale verifica al medesimo professionista, in forza della sua specifica competenza tecnica, e senza che perciò possa rilevare, ai fini dell'applicabilità dell'esimente di cui all'art. 2226, comma 1, c.c., la firma apposta dal committente sul progetto redatto (Cass. n. 8058/2023). CasisticaIl contratto di clientela, caratterizzato dal mandato professionale affinché l'avvocato libero professionista esegua, senza vincolo impiegatizio, la prestazione autonoma della sua professione in ordine a tutte le eventuali controversie insorte in un dato arco temporale, non richiede la forma scritta, per cui deve ritenersi concluso nel luogo ove il cliente e professionista hanno raggiunto, anche verbalmente, l'accordo, e non già nel luogo in cui l'uno rilasci all'altro una scrittura a documentazione del già raggiunto accordo (Cass. n. 4662/1991). Per accertare la natura professionale di una prestazione che utilizzi sistemi di elaborazione elettronica — come tale riservata non alle società di servizi, bensì a professionisti iscritti negli appositi albi professionali — il giudice deve valutare la prevalenza dell'attività intellettuale su quella materiale, tenendo conto che possono esservi servizi in cui la prima ha una funzione ridotta rispetto all'elaborazione elettronica (come nel caso in cui l'elaborazione consista nel conseguire il risultato di un calcolo così complesso che sarebbe impensabile affidarlo alla sola mente umana) e servizi in cui, invece, l'attività intellettuale prevale, intervenendo con le proprie cognizioni specialistiche e trovando nell'elaboratore solo uno strumento che si limita a rendere più veloce, rispetto alla mano dell'uomo, la scritturazione dei calcoli (nella specie, la S.C., in base all'enunciato principio, ha cassato la sentenza del giudice di merito il quale, senza spiegare perché l'attività intellettuale non dovesse ritenersi prevalente su quella materiale, aveva negato natura professionale all'attività svolta da una società di servizi, consistita nella preparazione dei modelli fiscali 101 e 102, nella redazione delle dichiarazioni dei sostituti d'imposta, nella compilazione dei modelli 01M e 03M e nella chiusura delle posizioni assicurative e contributive presso l'I.N.A.I.L. e l'I.N.P.S., limitandosi ad affermare che essa s'era risolta nell'elaborazione di dati ed indicazioni forniti dai clienti ed, in minima parte, nello svolgimento di un'elementare contabilità: Cass., n. 163/1996). L'attività di assistenza e di consulenza finalizzata alla preparazione e alla presentazione di una domanda rivolta alla concessione di finanziamenti pubblici da presentare ad un organo predeterminato dalla legge costituisce prestazione d'opera professionale e non può essere qualificata come attività di mediazione né tipica né atipica, mancando l'elemento essenziale della «messa in relazione» dei contraenti (Cass. n. 24118/2013). La nomina di un coadiutore, ai sensi dell'art. 32, comma 2, l. fall. (per la nuova disciplina v. art. 129 d.lgs. n. 14/2019 – Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza), resta assoggettata alle norme pubblicistiche che regolano l'affidamento di incarichi nella procedura fallimentare e l'attività prestata non è perciò riconducibile all'esecuzione di un contratto d'opera professionale, atteso che la curatela si avvale di esso per ricevere un contributo tecnico al perseguimento delle finalità istituzionali; ne consegue che al rapporto che si instaura tra le parti è inapplicabile la disciplina risultante dagli artt. 1418 e 2231, in forza della quale l'esecuzione di una prestazione d'opera professionale di natura intellettuale, effettuata da chi non sia iscritto nell'apposito albo previsto dalla legge, dà luogo a nullità assoluta del contratto tra professionista e cliente, privando il professionista non iscritto del diritto al pagamento del compenso (Cass. II n. 20193/2019). Professionisti associatiNell'ipotesi di associazione tra professionisti il mandato rilasciato dal cliente ad uno di essi non può presumersi, atteso il carattere personale e fiduciario del rapporto, con esso instaurato, rilasciato impersonalmente e collettivamente a tutti i professionisti dello studio medesimo (Cass. n. 11922/2000). I professionisti che si associano per dividere le spese e gestire congiuntamente i proventi della propria attività non trasferiscono per ciò solo all'associazione tra loro costituita la titolarità del rapporto di prestazione d'opera, ma conservano la rispettiva legittimazione attiva nei confronti del proprio cliente, sicché non sussiste una legittimazione alternativa del professionista e dello studio professionale (Cass. n. 6994/2007). In tema di contratto d'opera intellettuale, l'associazione professionale, costituendo un autonomo centro di imputazione di interessi, ha la capacità di stare in giudizio in persona dei componenti o di chi ne abbia la rappresentanza legale, purché l'oggetto della prestazione di cui si chiede la liquidazione non presupponga la personalità del rapporto fra cliente e professionista (Cass. n. 24410/2006). Il rispetto del principio di personalità della prestazione, che connota i rapporti di cui agli artt. 2229 ss., ben può contemperarsi con l'autonomia riconosciuta allo studio professionale associato, al quale può essere attribuita la titolarità dei diritti di credito derivanti dallo svolgimento dell'attività professionale (Cass. II, n. 17718/2019). Contratti conclusi con la pubblica amministrazioneIl contratto d'opera professionale stipulato con la P.A. (nella specie, un comune), anche se questa agisca iure privatorum, deve essere redatto, a pena di nullità, in forma scritta exartt. 16 e 17, r.d. n. 2440/1923; l'osservanza di detto requisito richiede la redazione di un atto recante la sottoscrizione del professionista e dell'organo dell'ente legittimato ad esprimerne la volontà all'esterno, nonché l'indicazione dell'oggetto della prestazione e l'entità del compenso, dovendo escludersi che, ai fini della validità del contratto, la sua sussistenza possa ricavarsi da altri atti (quali, ad esempio, la delibera dell'organo collegiale dell'ente che abbia autorizzato il conferimento dell'incarico, ovvero una missiva con la quale l'organo legittimato a rappresentare l'ente ne abbia comunicato al professionista l'adozione) ai quali sia eventualmente seguita la comunicazione per iscritto dell'accettazione da parte del medesimo professionista. Il contratto mancante del succitato requisito è nullo e non è suscettibile di alcuna forma di sanatoria, sotto nessun profilo, poiché gli atti negoziali della P.A. constano di manifestazioni formali di volontà, non surrogabili con comportamenti concludenti (alla stregua del principio di cui in massima, la S.C. ha confermato la decisione del giudice di seconde cure che, in riforma della sentenza di primo grado, aveva accolto l'opposizione al decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento di una somma a titolo di compenso per un incarico professionale svolto per il Comune dall'intimante, dipendente dello stesso in qualità di responsabile del Servizio Assetto e Uso del Territorio, ritenendo che la delibera di conferimento dell'incarico, sulla quale lo stesso intimante fondava la propria pretesa, in mancanza della prescritta formalità, non potesse essere interpretata che come un ordine di servizio del Comune, pur riferito a mansioni esorbitanti dalle mansioni espletate dal pubblico dipendente, che non lo aveva impugnato, dando corso alle prestazioni richieste, sicché doveva escludersi ogni conferimento di incarico libero-professionale suscettibile di autonomo compenso) (Cass. n. 22501/2006). Il conferimento, da parte di un ente pubblico, di un incarico ad un professionista non inserito nella struttura organica dell'ente medesimo, costituisce espressione non di una potestà amministrativa, bensì di semplice autonomia privata, ed è funzionale all'instaurazione di un rapporto di cosiddetta parasubordinazione - da ricondurre pur sempre al lavoro autonomo - anche nella ipotesi in cui la collaborazione assuma carattere continuativo, ed il professionista riceva direttive ed istruzioni dall'ente, onde anche la successiva delibera di revoca dell'incarico riveste natura non autoritativa, ma di recesso contrattuale, con conseguente attribuzione della controversia alla cognizione del giudice ordinario che, peraltro, assicura piena tutela con l'eventuale disapplicazione dell'atto presupposto (Cass. S.U., n. 9314/2022). In tema di contratti della P.A., ancorché quest'ultima agisca iure privatorum, il contratto d'opera professionale deve rivestire, ex artt. 16 e 17 r.d. n. 2440/1923, la forma scritta ad substantiam e, quindi, deve tradursi, a pena di nullità, nella redazione di un apposito documento, recante la sottoscrizione del professionista e del titolare dell'organo attributario del potere di rappresentare l'ente interessato nei confronti dei terzi, nonché l'indicazione dell'oggetto della prestazione e l'entità del compenso, essendone preclusa, altresì, la conclusione tramite corrispondenza, giacché la pattuizione deve essere versata in un atto contestuale, pur se non sottoscritto contemporaneamente. Il contratto mancante della forma scritta non è suscettibile di sanatoria poiché gli atti negoziali della P.A. constano di manifestazioni formali di volontà, non surrogabili con comportamenti concludenti, né, a tal fine, è sufficiente che il professionista accetti, espressamente o tacitamente, la delibera a contrarre, atteso che questa, benché sottoscritta dall'organo rappresentativo medesimo, resta un atto interno che l'ente può revocare ad nutum (Cass. II, n. 27910 2018). AvvocatiIl mandato professionale per l'espletamento di attività di consulenza e comunque di attività stragiudiziale non deve essere provato necessariamente con la forma scritta, «ad substantiam» ovvero «ad probationem», potendo essere conferito in qualsiasi forma idonea a manifestare il consenso delle parti e potendo il giudice — nella specie in sede di accertamento del relativo credito nel passivo fallimentare — tenuto conto della qualità delle parti, della natura del contratto e di ogni altra circostanza, ammettere l'interessato a provare, anche con testimoni, sia il contratto che il suo contenuto; inoltre, l'inopponibilità, per difetto di data certa ex art. 2704, non riguarda il negozio, ma la data della scrittura prodotta, pertanto il negozio e la sua stipulazione in data anteriore al fallimento possono essere oggetto di prova, prescindendo dal documento, con tutti gli altri mezzi consentiti dall'ordinamento, salve le limitazioni derivanti dalla natura e dall'oggetto del negozio stesso (Cass. n. 4705/2011). In caso di morte o perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, l'omessa dichiarazione o notificazione del relativo evento ad opera di quest'ultimo comporta, giusta la regola dell'ultrattività del mandato alla lite, che il difensore continui a rappresentare la parte come se l'evento stesso non si fosse verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle altre parti ed al giudice) nella fase attiva del rapporto processuale, nonché in quelle successive di sua quiescenza od eventuale riattivazione dovuta alla proposizione dell'impugnazione. Tale posizione è suscettibile di modificazione qualora, nella fase di impugnazione, si costituiscano gli eredi della parte defunta o il rappresentante legale di quella divenuta incapace, ovvero se il suo procuratore, già munito di procura alla lite valida anche per gli ulteriori gradi del processo, dichiari in udienza, o notifichi alle altre parti, l'evento, o se, rimasta la medesima parte contumace, esso sia documentato dall'altra parte o notificato o certificato dall'ufficiale giudiziario ex art. 300, comma 4, c.p.c. (Cass. S.U., n. 15295/2014). In tema di responsabilità professionale dell'avvocato per omesso svolgimento di un'attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, la regola della preponderanza dell'evidenza o del “più probabile che non”, si applica non solo all'accertamento del nesso di causalità fra l'omissione e l'evento di danno, ma anche all'accertamento del nesso tra quest'ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili, atteso che, trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell'omissione, lo stesso può essere indagato solo mediante un giudizio prognostico sull'esito che avrebbe potuto avere l'attività professionale omessa (Cass. n. 25112/2017 : nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto la responsabilità di due professionisti, consistita nella mancata riassunzione del giudizio di rinvio a seguito di cassazione, con conseguente prescrizione del diritto vantato dal loro cliente, sulla base di una valutazione prognostica circa il probabile esito favorevole dell'azione non coltivata desunta "dagli stringenti vincoli posti al giudice del rinvio dalla sentenza della Corte di cassazione"). Dall'esecuzione di un contratto nullo può derivare il diritto all'indennizzo ai sensi dell'art. 2041 c.c., poiché il concreto modo in cui il rapporto è risultato attuato può determinare l'arricchimento di una parte, con corrispondente depauperamento dell'altra. Pertanto, nell'ambito di un rapporto professionale, la nullità del patto di quota lite, non comportando l'invalidità dell'intero accordo, non preclude la richiesta di ripetizione di un eventuale spostamento patrimoniale non giustificato (Cass. n. 20069/2018). Ragionieri e CommercialistiQualora il curatore fallimentare, commercialista, sia responsabile, ai sensi del combinato disposto degli artt. 38, comma 1,l. fall. (per la nuova disciplina v. art. 136 d.lgs. n. 14/2019 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza), ed art. 2043, del risarcimento di un danno ingiusto cagionato nell'espletamento della sua attività di ausiliare di giustizia, l'assicuratore della responsabilità civile per la sua attività professionale deve tenerlo indenne (salvo che il rischio sia espressamente escluso dal contratto), atteso che l'attività di curatore fallimentare rientra tra le possibili attività professionali specificamente previste per i commercialisti dalla legge, in quanto il professionista intellettuale non esaurisce la sua attività professionale nell'ambito tratteggiato dalle disposizioni codicistiche (artt. 2227-2230) relative al contratto di prestazione d'opera intellettuale, ma continua a restare un professionista privato anche quando nell'ambito di tale attività espleta un incarico giudiziario (curatore fallimentare, notaio delegato allo scioglimento delle divisioni, consulente tecnico d'ufficio), in relazione al quale svolge pubblici poteri (Cass. n. 15030/2005). Qualora il commercialista, nell'espletamento della attività di ausiliare di giustizia come curatore fallimentare, sia responsabile di danno ingiusto ai sensi degli artt. 2043 e 38, comma 1, r.d. n. 267/1942 (l. fall.) l'assicuratore della responsabilità civile per la sua attività professionale deve tenerlo indenne (salva espressa esclusione contrattuale), atteso che le funzioni di curatore fallimentare rientrano tra quelle previste dalla legge per il commercialista, che quale professionista intellettuale non esaurisce la sua attività nell'ambito del contratto di prestazione d'opera intellettuale, ma resta professionista privato anche quando espleta un incarico giudiziario (curatore fallimentare, consulente tecnico d'ufficio), in relazione al quale svolge pubblici poteri (Cass., n. 12872/2015). In tema di responsabilità professionale, il dottore commercialista incaricato di una consulenza ha l'obbligo - a norma dell'art. 1176, comma 2, non solo di fornire tutte le informazioni che siano di utilità per il cliente e rientrino nell'ambito della sua competenza, ma anche, tenuto conto della portata dell'incarico conferito, di individuare le questioni che esulino dalla stessa, informando il cliente dei limiti della propria competenza e fornendogli gli elementi necessari per assumere le proprie autonome determinazioni, eventualmente rivolgendosi ad altro professionista indicato come competente (Cass. n. 13007/2016: in applicazione dell'anzidetto principio, la S.C. ha ritenuto la responsabilità di un commercialista, incaricato di fornire una consulenza tecnico-giuridica a seguito dell'esito infausto di un ricorso dinanzi alla commissione tributaria regionale, per non aver informato il cliente della possibilità di ricorrere per cassazione avverso la sentenza sfavorevole e della necessità di rivolgersi ad un avvocato al fine di proporre tempestivamente l'impugnazione). BibliografiaAnastasi, Professioni intellettuali e subordinazione, in Enc. giur., Roma, 2000, 4; Cian Trabucchi, Commentario Breve al Codice civile, Padova, 2014; G. Gabrielli, Vincolo contrattuale e recesso unilaterale, in Enc. dir., voce Recesso, XXXIX, Milano, 1988, 37 e ss; Levi, La funzione disciplinare degli ordini professionali, Milano, 1967, 44; Perulli, Il lavoro autonomo, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1996, 60; Pezzato, voce: Onorario, in Enc. dir., XXX, Milano, 185; Santoro Passarelli, Opera (contratto), in Nss. D.I., 982; Torrente Schlesinger, Manuale di diritto Privato, Milano, 2015. |