Codice Civile art. 2233 - Compenso.

Roberto Amatore
aggiornato da Francesco Agnino

Compenso.

[I]. Il compenso, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice [1657, 1709, 1755, 2225, 2751-bis n. 2, 2956 n. 2], sentito il parere dell'associazione professionale a cui il professionista appartiene.

[II]. In ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera e al decoro della professione.

[III]. Sono nulli, se non redatti in forma scritta, i patti conclusi tra gli avvocati ed i praticanti abilitati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali (1).

(1) Comma così sostituito dall'art. 2 2-bis d.l. 4 luglio 2006, n. 223, conv., con modif., in l. 4 agosto 2006, n. 248, introdotto in sede di conversione, con decorrenza dal 12 agosto 2006. Il testo del comma era il seguente: «Gli avvocati, i procuratori e i patrocinatori non possono, neppure per interposta persona, stipulare con i loro clienti alcun patto relativo ai beni che formano oggetto delle controversie affidate al loro patrocinio, sotto pena di nullità e dei danni».

Inquadramento

La onerosità del contratto d'opera professionale, che in genere ne costituisce elemento normale, come risulta dall'art. 2233, non ne integra un elemento essenziale, né può essere considerato un limite di ordine pubblico alla autonomia contrattuale delle parti, le quali, pertanto, ben possono prevedere espressamente la gratuità dello stesso, per i motivi più vari, come l'affectio o la benevolentia ovvero ragioni di ordine sociale o di convenienza, anche con riguardo ad un personale ed indiretto vantaggio. Ne consegue che, soltanto al di fuori di dette ipotesi, il patto in deroga ai minimi della tariffa professionale sarebbe nullo (nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva riconosciuto la validità di un contratto d'opera professionale gratuito avente per oggetto i pareri su questioni fiscali ed informatiche espressi da un dottore commercialista e docente universitario durante una rubrica televisiva, andata in onda nel periodo da novembre 1996 a marzo 1997, a fronte dei quali venivano trasmessi curriculum e «credenziali» del predetto commercialista/docente) (Cass. n. 21251/2007).

In tema di contratti conclusi con un professionista, lo scioglimento per mutuo dissenso, in difetto di specifica pattuizione negoziale, non opera retroattivamente - a differenza di quanto previsto dalla legge nell'ipotesi di risoluzione per inadempimento - ed alla cessazione del rapporto non consegue il ripristino delle "status quo ante" che, anzi, deve ritenersi implicitamente escluso per effetto della globale valutazione compiuta dalle parti all'atto della caducazione dell'accordo. Ne deriva che la disciplina dell'attività e del compenso del professionista interessato, in relazione alle prestazioni eseguite prima della fine del rapporto, rimarrà regolata dal contratto dichiarato sciolto (Cass. n. 4827/2019).

Generalità

Al professionista è consentita la prestazione gratuita della sua attività professionale per i motivi più vari che possono consistere nell'affectio, nella benevolentia, o in considerazioni di ordine sociale o di convenienza, anche con riguardo ad un personale ed indiretto vantaggio Nell'affermare il suindicato principio la S.C. ha affermato ricorrere una delle suindicate ipotesi nel caso, concernente la progettazione di uno stabilimento per la macellazione e la lavorazione di carni suine giacché, laddove si fosse verificata la dedotta condizione dell'erogazione del finanziamento da parte di terzi, il professionista avrebbe ricevuto un ulteriore incarico concernente la redazione di un progetto esecutivo e la direzione dei lavori per un «notevole importo», a tale stregua configurandosi pertanto per il medesimo la convenienza ad effettuare la prestazione lavorativa oggetto di causa «a rischio» di gratuità per l'ipotesi del mancato avveramento della condizione) (Cass. n. 16966/2005). La clausola contrattuale con la quale il sorgere del diritto al compenso da parte del professionista incaricato del progetto di un'opera viene condizionato all'ottenimento del finanziamento per l'opera progettata non è configurabile come condizione meramente potestativa, come tale nulla, atteso che, se è vero che il verificarsi di essa dipende dalla volontà e dall'attività di una sola delle parti, è anche vero che tale accadimento non è indifferente per la parte in questione, alla stregua di un mero si voluero, non potendosi dubitare della piena funzionalità della pattuizione ad uno specifico interesse dedotto come tale nel contratto e perciò oggetto del medesimo (Cass. n. 20444/2009). Qualora, per lo svolgimento di un'attività professionale, debba essere riconosciuto un indennizzo per arricchimento senza causa secondo la previsione dell'art. 2041, la quantificazione dell'indennizzo medesimo va effettuata secondo i criteri fissati dalla citata norma, mentre resta esclusa la possibilità di un'applicazione diretta della tariffa professionale, la quale dispiega rilievo solo come parametro di valutazione oltre che come limite massimo di quella liquidazione (Cass. n. 21292/2007).

L'art. 2, comma 2-bis, d.l. n. 223/2006, conv. l. n. 248/2006, ha introdotto il testo del comma 3 della norma in commento, in sostituzione del precedente il cui testo così recitava: “Gli avvocati, i procuratori e patrocinatori non possono, neppure per interposta persona stipulare con i loro clienti alcun patto relativo ai beni che formano oggetto delle controversie affidate loro patrocinio, sotto pena di nullità e dei danni”. In merito al diritto della professionista compenso, la riforma legislativa del 2006 ha introdotto le seguenti novità: ha abolito l'obbligatorietà delle tariffe fisse e dei minimi di tariffa; ha apposto nel nuovo terzo comma una prescrizione di forma per gli accordi sul compenso di cui siamo parte gli avvocati; ha in parte abolito il divieto del patto di quota lite. L'art. 9, comma 1, d.l. n. 1/2012, convertito dalla l. n. 27/2012 ha abrogato le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico, stabilendo che, nel caso di liquidazione giurisdizionale, il compenso del professionista è determinato con riferimento ai parametri stabiliti dal d.m. n. 140/2012. La previsione contenuta nell'articolo 9, comma 2, d.l. n. 1/2012, stabilendo che, stabilendo che, in sede di liquidazione giurisdizionale, il compenso del professionista è determinato dal giudice con riferimento ai nuovi parametri ministeriali (i quali si uniscono alle abrogato il tariffe professionali), pone un delicato problema di coordinamento tra la nuova disciplina è la norma codicistica qui in esame, con riferimento al permanere o meno dell'obbligo del giudice di sentire, ai fini della determinazione del compenso spettante al professionista, la competente associazione professionale.

In tema di contratti conclusi con un professionista, lo scioglimento per mutuo dissenso, in difetto di specifica pattuizione negoziale, non opera retroattivamente - a differenza di quanto previsto dalla legge nell'ipotesi di risoluzione per inadempimento - ed alla cessazione del rapporto non consegue il ripristino delle status quo ante che, anzi, deve ritenersi implicitamente escluso per effetto della globale valutazione compiuta dalle parti all'atto della caducazione dell'accordo. Ne deriva che la disciplina dell'attività e del compenso del professionista interessato, in relazione alle prestazioni eseguite prima della fine del rapporto, rimarrà regolata dal contratto dichiarato sciolto (Cass. II n. 4827/2019).

Oneri probatori

Il principio «iura novit curia» riguarda solamente la conoscenza da parte del giudice delle norme di diritto applicabili al caso, lasciando sempre a carico delle parti la prova dei fatti. Pertanto, al professionista, il quale assuma di essere creditore per attività professionale prestata a favore del cliente, incombe l'onere di dimostrare non solo che l'opera è stata posta in essere, ma anche l'entità delle prestazioni, al fine di consentire la determinazione quantitativa del suo compenso (Cass. n. 2176/1997). La parcella dell'avvocato costituisce una dichiarazione unilaterale assistita da una presunzione di veridicità, in quanto l'iscrizione all'albo del professionista è una garanzia della sua personalità; pertanto, le «poste» o «voci» in essa elencate, in mancanza di specifiche contestazioni del cliente, non possono essere disconosciute dal giudice. Cass. S.U., 14699/2010). Mentre ai fini dell'emissione del decreto ingiuntivo a norma dell'art. 636 c.p.c. la prova dell'espletamento dell'opera e dell'entità delle prestazioni può essere utilmente fornita con la produzione della parcella e del relativo parere della competente associazione professionale, tale documentazione non è più sufficiente nel giudizio di opposizione, il quale si svolge secondo le regole ordinarie della cognizione e impone, quindi, al professionista, nella sua qualità di attore, di fornire gli elementi dimostrativi della pretesa, con la conseguenza che il giudice di merito non può assumere come base di calcolo per la determinazione del compenso le esposizioni di detta parcella contestate dal debitore (Cass. n. 5884/2006). In tema di prestazioni professionali, la parcella corredata dal parere del consiglio dell'ordine, sulla base della quale il professionista abbia ottenuto il decreto ingiuntivo contro il cliente, se è vincolante per il giudice nella fase monitoria, non lo è nel giudizio di opposizione, poiché il parere attesta la conformità della parcella stessa alla tariffa legalmente approvata ma non prova, in caso di contestazione del debitore, la effettiva esecuzione delle prestazioni in essa indicate, né è vincolante per il giudice della cognizione in ordine alla liquidazione degli onorari. Ne consegue che la presunzione di veridicità da cui è assistita la parcella riconosciuta conforme alla tariffa non esclude né inverte l'onere probatorio che incombe sul professionista creditore — ed attore in senso sostanziale — sia quanto alle prestazioni effettivamente eseguite che quanto alla misura degli importi richiesti (Cass. n. 5321/2003). Qualora l'avvocato, dopo avere presentato al proprio cliente una parcella per il pagamento dei compensi spettantigli redatta in conformità ai minimi tabellari, richieda, successivamente, per le stesse attività un pagamento maggiore sulla base di una nuova parcella, il giudice di merito, richiesto della liquidazione, salva l'ipotesi in cui la prima parcella abbia carattere vincolante in quanto conforme ad un pregresso accordo o espressamente accettata dal cliente, ben può valutare se esistono elementi — discrezionalmente apprezzabili — che facciano ritenere giustificata e legittima la maggiore richiesta (ravvisabili anche nel venire meno di quei rapporti amichevoli che avevano indotto il professionista ad usare al cliente un trattamento di particolare favore) fermo restando il necessario apprezzamento di congruità degli onorari richiesti sulla base ed in funzione dei parametri previsti dalla tariffa professionale, il quale, se adeguatamente motivato, non è sindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 6454/2008).

Nei giudizi aventi ad oggetto l'accertamento di un credito per prestazioni professionali, incombe sul professionista la prova dell'avvenuto conferimento dell'incarico, dell'effettivo espletamento dello stesso nonché dell'entità delle prestazioni svolte. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto operante tale distribuzione dell'onere probatorio anche in ipotesi di opposizione ex art. 645 c.p.c. proposta da un cliente avverso il decreto ingiuntivo notificatogli da un architetto, gravando quest'ultimo della prova degli importi liquidati alle varie imprese per le forniture e i lavori eseguiti: Cass. II, n.  21522/2019).

Il compenso

Il credito del professionista per il compenso spettantegli in ragione dell'attività svolta nell'esecuzione di un contratto d'opera ex artt. 2230 e ss. è di valuta, e non si trasforma in credito di valore neppure per effetto dell'inadempimento del cliente; esso dà luogo, in caso di mora, alla corresponsione degli interessi nella misura legale, indipendentemente da ogni prova di danno, mentre, ai fini del risarcimento del maggior danno da svalutazione monetaria a norma del comma 2 dell'art. 1224, incombe sul professionista l'onere di dedurre e poi provare che il pagamento tempestivo da parte del cliente gli avrebbe consentito, mediante l'opportuno impiego della somma, d'evitare o limitare gli effetti della sopravvenuta inflazione (Cass. n. 11031/2003). In tema di contratto d'opera professionale, il diritto del professionista al compenso ha natura di debito di valuta, che non è suscettibile di automatica rivalutazione per effetto del processo inflattivo della moneta; pertanto, in caso di inadempimento o ritardato adempimento dell'obbligazione la rivalutazione monetaria del credito può essere riconosciuta, sempreché il creditore alleghi e dimostri sensi del comma 2 dell'art. 1224, l'esistenza del maggior danno derivato dalla mancata disponibilità della somma durante il periodo di mora e non compensato dalla corresponsione degli interessi legali previsti con funzione risarcitoria in misura forfettariamente predeterminata dal comma 1 dell'art. 1224. Ne consegue che la rivalutazione monetaria del debito di valuta, sostituendosi al danno presunto costituito dagli interessi legali, è idonea a reintegrare totalmente il patrimonio del creditore, sicché non possono essere riconosciuti gli interessi sulla somma rivalutata, se non dal momento della sentenza con cui, a seguito e per effetto della liquidazione, il credito — divenuto liquido ed esigibile — produce interessi corrispettivi ai sensi dell'art. 1282 (Cass. n. 11594/2004). Le obbligazioni pecuniarie si identificano soltanto nei debiti che siano sorti originariamente come tali e cioè aventi ad oggetto sin dalla loro costituzione la prestazione di una determinata somma di denaro. Costituisce, pertanto, obbligazione pecuniaria, da adempiere al domicilio del creditore al tempo della sua scadenza, ex art. 1182, comma 3, l'obbligazione derivante da titolo negoziale o giudiziale che ne abbia stabilito la misura e la scadenza stessa; qualora, invece, tale determinazione non sia stata eseguita «ab origine» dal titolo, l'obbligazione deve essere adempiuta, salvo diversa pattuizione, al domicilio del debitore, ai sensi dell'ultimo comma del citato art. 1182, non trattandosi di credito liquido ed esigibile. (Cass. n. 21000/2011). In tema di prestazioni professionali, la prescrizione del diritto al compenso dei professionisti decorre automaticamente, ai sensi dell'art. 2957, dalla conclusione della prestazione, la quale fa presumere l'immediata esigibilità del corrispettivo, senza che abbia alcun rilievo l'apposizione del visto di conformità sulla parcella da parte del competente consiglio dell'ordine, essendo altrimenti riconosciuta al professionista la possibilità di fissare il termine iniziale di decorso della prescrizione in base ad una scelta arbitraria (Cass. n. 7378/2009). I criteri di determinazione del compenso spettante ai prestatori d'opera intellettuale sono dettati dall'art. 2233 c.c. secondo una scala preferenziale che indica al primo posto l'accordo delle parti, in subordine le tariffe professionali ovvero gli usi ed, infine, la decisione del giudice, previo parere obbligatorio, ma non vincolante, delle associazioni professionali. Pertanto, il ricorso ai criteri sussidiari (tariffe professionali, usi, decisione giudiziale) è precluso al giudice quando esista uno specifico accordo tra le parti, le cui pattuizioni risultano preminenti su ogni altro criterio di liquidazione (Cass. n. 29837/2011). La domanda di liquidazione dei compensi per una prestazione di lavoro autonomo, secondo i criteri sussidiari previsti dall'art. 2233, non modifica i presupposti di fatto e l'oggetto della domanda di liquidazione del compenso originariamente proposta per la medesima prestazione con esclusivo riferimento alla tariffa professionale, ma solo il profilo giuridico o, più propriamente, il quadro normativo di riferimento della domanda e, pertanto, può essere proposta anche in appello (Cass. n. 20217/2012).

 In tema di compensi per prestazioni giornalistiche, le tabelle elaborate dal Consiglio dell'ordine, pur non vincolanti, rappresentano un valido criterio orientativo in sede di determinazione giudiziale ex art. 2233 in quanto forniscono elementi utili ai fini della individuazione dei minimi inderogabili a garanzia dell'attività svolta dal professionista (Cass. n. 11412/2016).

Criteri di determinazione del compenso

Qualora il compenso del professionista sia stato liberamente pattuito con il cliente, il giudice non ha il potere di modificarlo al fine di adeguarlo, ai sensi dell'art. 2233 comma 2 all'importanza dell'opera prestata ed al decoro della professione (Cass. n. 12095/1995). Nel contratto di prestazione d'opera professionale non è esclusa — in mancanza di un espresso divieto legislativo — la legittimità della clausola con la quale le parti pattuiscano che il diritto all'onorario per il professionista sia condizionato al conseguimento di un risultato positivo per il cliente (nella specie, era stato convenuto che il professionista, al quale era stato conferito l'incarico di trattare la concessione di un mutuo con un istituto di credito, avrebbe ottenuto l'onorario pattuito solo dopo la stipulazione definitiva del contratto di mutuo e all'atto della prima erogazione) (Cass. n. 1100/1979).

Ingegneri e architetti

I compensi per le prestazioni professionali rese da ingegneri ed architetti allo Stato e agli altri enti pubblici per la realizzazione di opere pubbliche o di interesse pubblico, possono essere concordati, ai sensi dell'art. 4, comma 12-bis, del d.l. 2 marzo 1989, n. 65 (aggiunto dalla l. n. 155/1989), in misura ridotta rispetto ai minimi tariffari, secondo i generali criteri di determinazione del corrispettivo nell'ambito del contratto d'opera, il quale non può prescindere da quanto convenuto dalle parti, senza che ricorra alcuna nullità del patto derogatorio, né sorga l'obbligo dell'amministrazione committente di liquidare al professionista il maggiore compenso richiesto in base alle proprie parcelle (Cass. n. 8502/2015). In tema di incarichi di progettazione conferiti dallo Stato o da altri enti pubblici, l'art. 6 l. n. 404/1977, che dispone la corresponsione del rimborso spese di cui alla tariffa professionale in base alla solo documentazione prodotta con esclusione di qualsiasi liquidazione forfettaria, è una norma a carattere imperativo, con conseguente nullità di ogni contraria pattuizione, ed ha portata generale, trovando applicazione anche al di fuori del settore dell'edilizia carceraria pur quando si tratti di progettazione per la stessa opera affidata a più professionisti, ove siano individuate le parti affidate a ciascuno di loro e ognuno possa lavorare secondo le proprie competenze, sempreché le varie parti del progetto vadano a comporsi nell'identità dell'opera complessiva oggetto dell'incarico (Cass. n. 26063/2013). In tema di liquidazione di compensi relativi a prestazioni professionali rese da un architetto in favore di un ente pubblico, l'incarico di progettazione di un'opera e quello di direzione dei relativi lavori non sono inscindibilmente connessi tra loro; pertanto, poiché gli incarichi professionali da parte della P.A. esigono «ad substantiam» la forma scritta, ove all'architetto sia stato conferito, con tale forma, il solo incarico di progettazione e non anche quello di direzione dei lavori, quest'ultimo incarico (nella specie non espletato per mancanza di finanziamenti) non può considerarsi parziale o limitato, ed al professionista non spetta la maggiorazione del 25 per cento del compenso stabilita dall'art. 18 l. n. 143/1949, richiamato dall'art. 7 della l. reg. Siciliana 29 aprile 1985, n. 21 (Cass. n. 12032/2010). Il compenso per prestazioni professionali va determinato in base alla tariffa ed adeguato all'importanza dell'opera solo nel caso in cui esso non sia stato liberamente pattuito, in quanto l'art. 2233 pone una garanzia di carattere preferenziale tra i vari criteri di determinazione del compenso, attribuendo rilevanza in primo luogo alla convenzione che sia intervenuta fra le parti e poi, solo in mancanza di quest'ultima, e in ordine successivo, alle tariffe e agli usi e, infine, alla determinazione del giudice, mentre non operano i criteri di cui all'art. 36, comma 1, Cost., applicabili solo ai rapporti di lavoro subordinato. La violazione dei precetti normativi che impongono l'inderogabilità dei minimi tariffari (quale, per gli ingegneri ed architetti, quello contenuto nella l. n. 340/1976) non importa la nullità, ex art. 1418, comma 1, del patto in deroga, in quanto trattasi di precetti non riferibili ad un interesse generale, cioè dell'intera collettività, ma solo ad un interesse della categoria professionale (Cass. n. 21235/2009).

Geometri

A norma dell'art. 16, lett. m), r.d. n. 274/1929, che non è stato modificato dalla l. n. 1068/1971, la competenza dei geometri è limitata alla progettazione, direzione e vigilanza di modeste costruzioni civili, con esclusione di quelle che comportino l'adozione — anche parziale — di strutture in cemento armato, mentre, in via d'eccezione, si estende anche a queste strutture, a norma della lett. l) del medesimo articolo, solo con riguardo alle piccole costruzioni accessorie nell'ambito degli edifici rurali o destinati alle industrie agricole, che non richiedano particolari operazioni di calcolo e che per la loro destinazione non comportino pericolo per le persone, essendo riservata agli ingegneri la competenza per le costruzioni civili, anche modeste, che adottino strutture in cemento armato. Pertanto, la progettazione e la direzione di opere da parte di un geometra in materia riservata alla competenza professionale degli ingegneri o degli architetti sono illegittime, a nulla rilevando in proposito che un progetto redatto da un geometra sia controfirmato o vistato da un ingegnere ovvero che un ingegnere esegua i calcoli in cemento armato, atteso che il professionista competente deve essere altresì titolare della progettazione, trattandosi di competenze inderogabilmente affidate dal committente al professionista abilitato secondo il proprio statuto professionale, sul quale gravano le relative responsabilità. Ne consegue che, qualora il rapporto professionale abbia avuto ad oggetto una costruzione per civili abitazioni, è affetto da nullità il contratto anche relativamente alla direzione dei lavori affidata a un geometra, quando la progettazione — richiedendo l'adozione anche parziale dei calcoli in cemento armato — sia riservata alla competenza degli ingegneri (Cass. n. 17028/2006).

Avvocati

L'art. 13 l. n. 247/2012 recante “Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense”, a norma del quale la pattuizione dei compensi è libera: è ammessa la pattuizione a tempo, in misura forfettaria, per convenzione avente ad oggetto uno o più affari, in base all'assolvimento e ai tempi di erogazione della prestazione, per singole fasi o prestazioni o per l'intera attività, a percentuale sul valore dell'affare o su quanto si prevede possa giovarsene, non soltanto a livello strettamente patrimoniale, il destinatario della prestazione. Il nuovo regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi della professione forense è stato adottato, ai sensi della comma 6 dell'art. 13 l. n. 247/2012, con d.m. 10 marzo 2014, n. 55.

L'abolizione della distinzione professionale tra gli avvocati e i procuratori legali, prevista dalla l. n. 27/1997, che ha soppresso l'albo dei procuratori legali prevedendo l'iscrizione di questi ultimi nell'unico albo degli avvocati, non ha determinato il superamento della tradizionale bipartizione tra le funzioni di procuratore e di avvocato, e non ha comportato, pertanto, l'abolizione della tariffa per le prestazioni professionali dei procuratori (Cass. n. 27090/2011).

Secondo l'orientamento espresso dalla Cgce 19 febbraio 2002, causa C-35/99, è legittima — rispetto agli artt. 5 e 85 del trattato Cee (ora artt. 10 e 81 CE) — la disciplina delle tariffe professionali degli avvocati fatta propria dell'ordinamento italiano, non potendosene predicare la perdita di connotazione pubblicistica, poiché manca un autonomo potere dell'ordine professionale di stabilire gli onorari e le competenze che devono essere applicati dal giudice, con sottrazione del potere in questione allo Stato italiano in quanto, da un lato, il Ministro ha il potere di modificare il progetto di tariffa pur approntato dall'organizzazione di categoria e, dall'altro è il giudice stesso ad applicare tale normativa, con potere di derogare ai minimi e massimi ivi previsti (Cass. n. 27090/2011).

In tema di compenso professionale e patto di quota lite, il giudice di merito non può sottrarsi al compito di verificare se i criteri concordati dalle parti comportano un'evidente sproporzione del corrispettivo professionale rispetto all'opera prestata, potendo - solo in caso negativo - ritenere vincolanti i criteri di quantificazione fissati dalla scrittura di incarico (Cass. n. 30287/2022).

La convenzione stipulata fra un'associazione sindacale di lavoratori ed un avvocato o procuratore, la quale preveda che quest'ultimo difenda in giudizio gli assistiti percependo il solo importo delle spese, competenze ed onorari liquidati dal giudice in caso di vittoria, è idonea a vincolare il professionista nei confronti del lavoratore che gli conferisca l'incarico della difesa in giudizio, nel presupposto della qualità di assistito del predetto sindacato ed in riferimento a quella convenzione, secondo la disciplina del contratto a favore di terzo, di cui all'art. 1411, e, quindi, indipendentemente sia da un'accettazione della convenzione da parte del lavoratore stesso (la quale rileva al diverso fine di rendere irrevocabile il beneficio da parte dello stipulante), sia da un'ulteriore specifica manifestazione di volontà nei suoi confronti da parte del professionista medesimo. Peraltro, la circostanza che la suddetta convenzione possa tradursi, in caso di conclusione del giudizio con esito sfavorevole o compensazione delle spese, in una rinuncia preventiva dell'avvocato o procuratore alle proprie spettanze, non ne comporta la nullità, per violazione del principio dell'inderogabilità dei minimi tariffari (art. 24 l. n. 794/1942), qualora tale rinuncia risulti giustificata da un fine di liberalità od uno spirito di solidarietà sociale, meritevole di tutela, e non si presenti come mero strumento del legale per conseguire maggiori vantaggi economici attraverso un non consentito accaparramento di affari futuri (Cass. n.  26212 /2019).

Il cliente che conferisca l'incarico a un legale che fa parte di uno studio associato è tenuto a versare l'onorario al professionista e non allo studio di cui quest'ultimo fa parte, data la natura personale dell'attività oggetto del mandato professionale, a meno che l'associazione sia regolata da appositi accordi, che possono attribuire all'associazione medesima la legittimazione a stipulare contratti e ad acquisire la titolarità dei rapporti. Il giudice di merito deve accertare tale circostanza analizzando lo statuto dell'associazione (Cass. n. 8358/2020).

Segue. Casistica

In materia di onorari e diritti di avvocato e procuratore, la disposizione dell'art. 24 l. n. 794/1942 — che sancisce il principio dell'inderogabilità delle relative tariffe minime, con testuale riferimento alle «prestazioni giudiziali» — va interpretata nel senso dell'estensione di detto principio anche alle «prestazioni stragiudiziali», alla stregua sia della ratio legis (collegata ad esigenze di tutela del decoro della professione forense che si prospettano con identico rilievo nei riguardi di entrambi i tipi di prestazione), sia del criterio di adeguamento al precetto costituzionale di uguaglianza, sia, infine, di ragioni sistematiche volte a tutelare il lavoro e il lavoratore anche nelle prestazioni d'opera intellettuale, con analoghe prescrizioni di inderogabilità. Né la suddetta inderogabilità — cui, quando ne ricorrano i presupposti, si collega automaticamente il doveroso riconoscimento del rimborso forfettario delle spese generali di studio, introdotto dall'art. 15 della tariffa professionale approvata con d.m. 22 giugno 1982 — può soffrire eccezioni in considerazione della natura semplice o ripetitiva di alcuni affari, poiché la cosiddetta standardizzazione della pratiche, così come il carattere «routinario» delle medesimi possono, se mai, incidere sulla determinazione dei compensi tra il minimo e il massimo delle tariffe, ma non anche giustificarne la totale disapplicazione (Cass. n. 20269/2010). Quando l'obbligazione dedotta in giudizio abbia ad oggetto il compenso dovuto ad un avvocato, per determinare il forum contractus ex art. 20 c.p.c. deve farsi riferimento, a norma dell'art. 1326, al luogo in cui è stato sottoscritto il mandato alle liti, avendo in esso il cliente avuto notizia certa dell'accettazione della sua proposta da parte dell'avvocato, che firma il mandato per autentica, mentre, qualora il mandato sia privo dell'indicazione del luogo di rilascio, deve darsi rilievo al luogo di sottoscrizione dell'atto di citazione, a margine del quale il mandato stesso si trovi (Cass. n. 26269/2013). Nel caso in cui più avvocati siano incaricati della difesa in un procedimento civile, ciascuno di essi ha diritto all'onorario nei confronti del cliente solo in base all'opera effettivamente prestata, in virtù del principio di cui all'art. 6 l. n. 794/1942 (oggi trasfuso nell'art. 7 d.m. 5 ottobre 1994, n. 585) (Cass. n. 22463/2010). Le tariffe professionali degli avvocati sono applicabili solo per quelle attività tecniche, o comunque collegate con prestazioni di carattere tecnico, che siano considerate nella tariffa, oggettivamente proprie della professione legale in quanto specificamente riferite alla consulenza o assistenza delle parti in affari giudiziari o extragiudiziari, e non possono essere, pertanto, applicate, solo perché rese da un professionista iscritto all'albo, alle prestazioni svolte nell'ambito di una commissione «mista», i cui atti siano imputabili esclusivamente all'organo collegiale (nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva ritenuto l'inapplicabilità delle tariffe professionali di avvocato, e quindi del principio della inderogabilità dei minimi tariffari, all'attività svolta dal legale nell'ambito di una commissione della P.A. composta da avvocati ed ingegneri, non valutabile all'esterno come attività del singolo componente, e, dunque, incompatibile con il principio del carattere personale della professione forense) (Cass. n. 27919/2013). In tema di liquidazione degli onorari e diritti di avvocati, non è ammissibile il ricorso alla speciale procedura di cui agli artt. 28 e 29 l. n. 794/1942 quando vi sia contestazione sulla esistenza del rapporto di clientela, sull'avvenuta transazione della lite o sulla natura giudiziale dei compensi, ovvero quando con riconvenzionale sia dal cliente introdotto un nuovo e diverso petitum. Peraltro, anche quando venga dedotta l'esistenza di più rapporti professionali con il difensore ed il pagamento integrale di tutte le prestazioni professionali mediante versamenti effettuati, il thema decidendum necessariamente si amplia ed esorbita dalla natura e dall'oggetto del procedimento speciale, postulando la verifica delle diverse attività espletate e dei compensi complessivamente dovuti. Pertanto, in tale caso, trattandosi di indagine incompatibile con la trattazione nelle forme del rito speciale, vengono meno le ragioni che giustificano la deroga al principio generale del doppio grado di giudizio ed il procedimento deve svolgersi secondo il rito ordinario (nella specie è stato ritenuto inammissibile il procedimento speciale perché il convenuto cliente, eccependo il pagamento, aveva fatto riferimento alla somma da lui complessivamente versata in relazione a numerosi rapporti intrattenuti negli anni addietro con il legale) (Cass. n. 23344/2008).

È ammissibile la prova per testimoni avente per oggetto il patto intervenuto tra un avvocato ed il proprio cliente al fine di stabilire il compenso professionale in misura diversa da quella determinabile secondo le tariffe (nel regime anteriore all'art. 2233, comma 3, come sostituito dall'art. 2, comma 2-bis, d.l. n. 223/2006, conv., con modif. nella l. n. 248/2006, inapplicabile ratione temporis), atteso che la nozione di "documento", alla quale fanno riferimento i divieti della prova testimoniale previsti dagli artt. 2722 e 2723,  va intesa nel senso di atto scritto avente un contenuto convenzionale, con il quale contrasti il patto aggiunto o contrario che si vuole dimostrare con i testimoni (Cass. n. 11597/2015).  

Segue. Forma dei patti che prevedono compensi per avvocati

Vedi ora l'art. 13, comma 2, l. n. 247/2012, recante “Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense”, a norma della quale il compenso spettante al professionista è pattuito di regola per iscritto all'atto del conferimento dell'incarico professionale. Il quinto comma del citato art. 13 stabilisce altresì che Il professionista è tenuto, nel rispetto del principio di trasparenza, a rendere noto al cliente il livello della complessità dell'incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili al momento del conferimento alla conclusione dell'incarico; a richiesta è altresì tenuto a comunicare in forma scritta a colui che conferisce l'incarico professionale la prevedibile misura del costo della prestazione, distinguendo tra oneri, spese, anche forfettarie, e compenso professionale.

I notai

Il notaio che, quand'anche sistematicamente, offra la propria prestazione per compensi più contenuti rispetto a quelli previsti dalla tariffa notarile, non pone in essere, per ciò solo, un comportamento di illecita concorrenza, essendo venuta meno la rilevanza sul piano disciplinare di tale condotta per effetto della generale disciplina introdotta dall'art. 2 d.l. n. 223/2006 (conv. dalla l. n. 248/2006), e risultando altresì applicabile alla medesima attività notarile la disciplina in tema di concorrenza nei servizi professionali di cui agli artt. 9 e 12 d.l. n. 1/2012 (conv. dalla l. n. 27/2012) (Cass. n. 3715/2013). In tema di compensi dei notai, lo svolgimento di prestazioni professionali «non strettamente connesse con l'esercizio della funzione pubblica notarile», tali da legittimare, ex artt. 34 d.m. 30 novembre 1980 e 2233 c.c., un autonomo e separato compenso rispetto a quello già ricevuto per la propria prestazione professionale, non possono essere ritenute, sic et simpliciter, tutte quelle diverse dalla materiale redazione del rogito, consistendo, per converso, in attività che, pur trovando occasione nella stesura dell'atto, non sono necessarie ad assicurarne gli effetti, ma perseguono un fine ulteriore e diverso (nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, con motivazione esente da censure, aveva accertato che, per la stessa ammissione del notaio, il fine delle attività professionali di assistenza e consulenza non era ulteriore e diverso, bensì convergente ed unitario, con conseguente obbligo di rispettare il limite tariffario) (Cass. n. 15963/2011). Secondo l'orientamento espresso dalla Corte giust. Ue 19 febbraio 2002, causa C-35/99, é legittima l'applicazione delle tariffe professionali (nella specie, dei notai) che fissano i minimi e i massimi degli onorari dei membri degli ordini professionali, qualora siano adottate con misura legislativa o regolamentare da parte di uno Stato membro dell'Unione Europea) (Cass. n. 15963/2011). 

Bibliografia

Anastasi, Professioni intellettuali e subordinazione, in Enc. giur., Roma, 2000, 4; Cian Trabucchi, Commentario Breve al Codice civile, Padova, 2014; G. Gabrielli, Vincolo contrattuale e recesso unilaterale, in Enc. dir., voce Recesso, XXXIX, Milano, 1988, 37 e ss; Levi, La funzione disciplinare degli ordini professionali, Milano, 1967, 44; Perulli, Il lavoro autonomo, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1996, 60; Pezzato, voce: Onorario, in Enc. dir., XXX, Milano, 185; Santoro Passarelli, Opera (contratto), in Nss. D.I., 982; Torrente Schlesinger, Manuale di diritto Privato, Milano, 2015.

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