Codice Civile art. 2236 - Responsabilità del prestatore d'opera.InquadramentoLa prestazione che il professionista è tenuto a compiere a vantaggio del cliente consiste in un'attività di prevalente carattere intellettuale, i cui tratti peculiari si delineano in un lavoro che, per quanto svolto in maniera continuativa, viene pur sempre compiuto in piena autonomia e discrezionalità (Santoro-Passarelli, 24). Il contenuto principale dell'obbligazione viene individuato nel dovere di compiere quanto necessario in vista del risultato che il cliente spera di perseguire. Il dato è significativo poiché, diversamente da ogni altro rapporto proiettato verso il pieno soddisfacimento dell'interesse creditorio, l'opera del professionista potrà risultare esattamente adempiuta anche se ciò non dovesse verificarsi. Viene dunque in evidenza il profilo dell'errore tecnico ovvero professionale in relazione al quale, pur essendo la prestazione, intesa come attuazione dell'attività intellettuale pattuita, effettuata, tuttavia non ne consegue la realizzazione dell'interesse del creditore (Giacobbe, in Comm. S.,1083). La diligenza esigibile dal professionista o dall'imprenditore, nell'adempimento delle obbligazioni assunte nell'esercizio delle loro attività, è una diligenza speciale e rafforzata, di contenuto tanto maggiore quanto più sia specialistica e professionale la prestazione a loro richiesta. L'inadempimento del professionistaNella controversia concernente l'inadempimento contrattuale del professionista, pertanto, questi, per andare esente da un giudizio di condanna, ha l'onere di provare che l'insuccesso è dipeso da causa a lui non imputabile anche quando la prestazione richiestagli richiedeva la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, posto che problemi speciali esigono dal professionista una competenza speciale. Né a tale conclusione osta l'art. 2236, il quale non esonera affatto il professionista-debitore da responsabilità nel caso di insuccesso di prestazioni complesse, ma si limita a dettare un mero criterio per la valutazione della sua diligenza (Cass. n. 16254/2012). In tema di responsabilità del prestatore di opera intellettuale, poiché l'art. 1176 fa obbligo al professionista di usare, nell'adempimento delle obbligazioni inerenti la sua attività professionale, la diligenza del buon padre di famiglia, il medesimo risponde normalmente per colpa lieve; nella sola ipotesi che la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, l'art. 2236 prevede un'attenuazione di responsabilità, nel senso che il professionista è tenuto al risarcimento del danno unicamente per dolo o colpa grave. Pertanto, la prova dell'esistenza di tale presupposto, derogando alle norme generali sulla responsabilità per colpa, incombe al professionista; peraltro, la domanda di risarcimento del danno, basata sulla colpa grave, contiene quella per colpa lieve, senza che, pertanto, la pronuncia di condanna fondata su colpa lieve del professionista possa dar luogo a vizio di ultrapetizione (Cass. n. 8546/2005). Le obbligazioni inerenti all'esercizio dell'attività professionale sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l'incarico, si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato, ma non a conseguirlo. Pertanto, ai fini del giudizio di responsabilità nei confronti del professionista, rilevano le modalità dello svolgimento della sua attività in relazione al parametro della diligenza fissato dall'art. 1176, comma 2, che è quello della diligenza del professionista di media attenzione e preparazione. Sotto tale profilo, rientra nella ordinaria diligenza dell'avvocato il compimento di atti interruttivi della prescrizione del diritto del suo cliente, i quali, di regola, non richiedono speciale capacità tecnica, salvo che, in relazione alla particolare situazione di fatto, che va liberamente apprezzata dal giudice di merito, si presenti incerto il calcolo del termine. Non ricorre tale ipotesi, con la conseguenza che il professionista può essere chiamato a rispondere anche per semplice negligenza, ex art. 1176, comma 2, e non solo per dolo o colpa grave ai sensi dell'art. 2236, allorché l'incertezza riguardi non già gli elementi di fatto in base ai quali va calcolato il termine, ma il termine stesso, a causa dell'incertezza della norma giuridica da applicare al caso concreto. Parimenti, l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale in ordine alla questione relativa all'applicabilità del termine di prescrizione in caso di mancata proposizione della querela non esime il professionista dall'obbligo di diligenza richiesto dall'art. 1176 (Cass. n. 18612/2013). ll professionista assume nei confronti del cliente l'obbligazione di svolgere la propria attività a regola d'arte, impegnandosi ad eseguire la prestazione richiesta con l'adozione di tutte le cautele necessarie che andranno adeguate e parametrate al criterio della diligenza qualificata che costituisce regola di valutazione del comportamento del debitore e di apprezzamento dell'esattezza della prestazione dovuta (Cass. n. 26232/2023). La responsabilità del medicoIn tema di responsabilità civile derivante da attività medico-chirurgica, il paziente che agisce in giudizio deducendo l'inesatto adempimento dell'obbligazione sanitaria deve provare il contratto ed allegare l'inadempimento del professionista, restando a carico dell'obbligato l'onere di provare l'esatto adempimento, con la conseguenza che la distinzione fra prestazione di facile esecuzione e prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà non vale come criterio di ripartizione dell'onere della prova, ma rileva soltanto ai fini della valutazione del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa, spettando, al sanitario la prova della particolare difficoltà della prestazione, in conformità con il principio di generale «favor» per il creditore danneggiato cui l'ordinamento è informato (nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva respinto la domanda di risarcimento danni di una paziente per la lesione di una corda vocale conseguente ad un intervento di tiroidectomia, ritenendolo, da un lato, di non facile esecuzione ed omettendo, dall'altro, di valutare la condotta del medico specialista alla stregua del criterio di cui all'art. 1176, comma 2) (Cass. n. 22222/2014). Nel giudizio di responsabilità medica, per superare la presunzione di cui all'art. 1218 non è sufficiente dimostrare che l'evento dannoso per il paziente costituisca una «complicanza», rilevabile nella statistica sanitaria, dovendosi ritenere tale nozione — indicativa nella letteratura medica di un evento, insorto nel corso dell'iter terapeutico, astrattamente prevedibile ma non evitabile — priva di rilievo sul piano giuridico, nel cui ambito il peggioramento delle condizioni del paziente può solo ricondursi ad un fatto o prevedibile ed evitabile, e dunque ascrivibile a colpa del medico, ovvero non prevedibile o non evitabile, sì da integrare gli estremi della causa non imputabile (Cass. n. 13328/2015). Il medico è tenuto al risarcimento del danno lamentato dal paziente non ogni qual volta si sia discostato dalle regole della buona pratica clinica od abbia omesso di informare adeguatamente il paziente stesso, ma soltanto allorché la violazione di tali obblighi sia stata la causa (o concausa) efficiente di un danno effettivo. Ciò vuol dire che, là dove il paziente alleghi la violazione delle leges artis da parte del medico, ha altresì l'onere di provare che da tale inadempimento è derivato un peggioramento delle proprie condizioni di salute altrimenti evitabile; là dove, per contro, alleghi la violazione dell'obbligo di informazione da parte del medico, ha l'onere di provare che, ove l'informazione fosse stata fornita, avrebbe rifiutato il trattamento sanitario (nella fattispecie la Corte ha confermato la sentenza di rigetto della domanda risarcitoria formulata dai genitori di un minore nato con alcune patologie congenite, dopo che la madre si era sottoposta ad un intervento di sterilizzazione, non ritenendo provato il difetto d'informazione della paziente in ordine alle possibilità alternative all'intervento e alle probabilità di gravidanze indesiderate) (Cass. n. 16394/2010). Tra gli obblighi di protezione che assume il medico nei confronti del paziente, per effetto del «contatto sociale» tra il primo ed il secondo, non rientra quello di garantire un determinato risultato della prestazione sanitaria, a meno che il paziente — sul quale incombe il relativo onere — non dimostri l'espressa assunzione della garanzia del risultato da parte del medico (Cass. n. 16394/2010). In un giudizio di responsabilità per attività sanitaria, integra "mutatio libelli", non consentita con la memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c., la deduzione - in una domanda risarcitoria fondata sulla responsabilità di dipendenti di aziende sanitarie pubbliche ed ascritta a specifiche e ben determinate condotte - di un diverso titolo di responsabilità per differenti condotte, addebitate ad altri dipendenti o strutture sanitarie, benché facenti capo alla stessa azienda, nonché realizzate nell'ambito delle cure somministrate in occasione della medesima infermità (Cass. n. 16504/2017). Segue. Novità normative. La legge Gelli (l. n. 24/2017) è stata pubblicata in G.U. il 17 marzo 2017 e segue la dibattuta c.d. Legge Balduzzi l. n. 189/2012 (di conversione del d.l. n. 158/2012), al fine di adeguare i profili di responsabilità civile e penale degli operatori del settore medico e sanitario. La novella ha, tra le altre, la finalità di eliminare o limitare il più possibile il fenomeno della c.d. medicina difensiva, quindi la pratica con la quale il medico difende se stesso contro eventuali azioni di responsabilità medico legali seguenti alle cure mediche prestate. La legge Gelli riafferma il ruolo delle linee guida come termine di confronto per stabilire la responsabilità medica, il quale, com'è noto, era già stato inserito con la l. n. 189/2012 (Legge Balduzzi). La novità più importante che si introduce si ha appunto in sede penale perché in ambito civile si sono per lo più recepiti gli orientamenti giurisprudenziali affermati in materia di responsabilità contrattuale ex art. 1218 ed extracontrattuale ex art. 2043 e gli effetti della distinzione: si pensi in tema di onere della prova in quanto rispetto alla responsabilità aquiliana di cui all'art. 2043, nella quale è il soggetto danneggiato a dover provare tutti gli elementi costitutivi del fatto illecito, incluso il dolo o la colpa dell'autore del danno “ingiusto”, nella responsabilità contrattuale, in ragione di una “ingiustizia” del danno in re ipsa, causato dall'inadempimento (da parte del debitore di una prestazione alla quale si era precedentemente vincolato) sanzionato a prescindere dalla verifica della sussistenza dell'elemento psicologico del dolo o della colpa, si assiste ad una inversione dell'onere probatorio. Per quanto riguarda la responsabilità civile invece le novità si segnalano dall'art. 7 l. 8 marzo 2017 n. 24 (c.d. Legge Gelli-Bianco). Si traccia una netta demarcazione tra la responsabilità della struttura pubblica o privata e della persona fisica del personale medico o paramedico che incorre nella responsabilità: mentre viene ad attrarsi nella responsabilità contrattuale la responsabilità della struttura e quindi soggetta alle norme dell'art. 1218 e ss.; l'esercente la professione sanitaria risponde del proprio operato ai sensi dell'art. 2043 c.c., salvo che abbia agito nell'adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente. Questa differenza ha delle ripercussioni almeno sotto due profili: onere probatorio (più agevole provare la responsabilità contrattuale) e prescrizione (10 anni contrattuale e 5 anni extracontrattuale). Segue. Natura della responsabilità medica L'obbligazione del medico dipendente dal servizio sanitario per responsabilità professionale nei confronti del paziente, ancorché non fondata sul contratto, ma sul «contatto sociale» ha natura contrattuale. Consegue che relativamente a tale responsabilità i regimi della ripartizione dell'onere della prova, del grado della colpa e della prescrizione sono quelli tipici delle obbligazioni da contratto d'opera intellettuale professionale (Cass. n. 589/1999). La responsabilità medica, anteriormente alla l. n. 24 del 2017, deve qualificarsi in termini di responsabilità contrattuale, sicché - ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per la lesione del diritto alla salute - è onere del danneggiato provare secondo il criterio del "più probabile che non", il nesso di causalità fra l'aggravamento della situazione patologica (o l'insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta al medico dimostrare l'impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile (avendo eseguito la prestazione professionale in modo diligente), provando che l'inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l'ordinaria diligenza (Cass. n. 10050/2022). La diligenza esigibile dal medico nell'adempimento della sua prestazione professionale, pur essendo quella «rafforzata» di cui al comma 2 dell'art. 1176 c.c., non è sempre la medesima, ma varia col variare del grado di specializzazione di cui sia in possesso il medico, e del grado di efficienza della struttura in cui si trova ad operare. Pertanto dal medico di alta specializzazione ed inserito in una struttura di eccellenza è esigibile una diligenza più elevata di quella esigibile, dinanzi al medesimo caso clinico, da parte del medico con minore specializzazione od inserito in una struttura meno avanzata (Cass. n. 17143/2012). In tema di responsabilità dell'ente ospedaliero per inesatto adempimento della prestazione sanitaria, inquadrabile nella responsabilità contrattuale, consistendo l'obbligazione professionale in un obbligazione di mezzi, è a carico del danneggiato la prova dell'esistenza del contratto e dell'aggravamento della situazione patologica (o dell'insorgenza di nuove patologie), nonché del relativo nesso di causalità con l'azione o l'omissione dei sanitari, restando a carico di questi ultimi o dell'ente ospedaliero la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile (fattispecie relativa alla paraplegia conseguita in danno di un paziente sottoposto a intervento di lombosciatalgia — emilaminectomia) (Cass. n. 9085/2006). Allorquando la responsabilità medica venga invocata a titolo contrattuale, cioè sul presupposto che fra il paziente ed il medico e/o la struttura sanitaria sia intercorso un rapporto contrattuale (o da «contatto»), la distribuzione, «inter partes», dell'onere probatorio riguardo al nesso causale deve tenere conto della circostanza che la responsabilità è invocata in forza di un rapporto obbligatorio corrente fra le parti ed è dunque finalizzata a far valere un inadempimento oggettivo. Ne consegue che, per il paziente/danneggiato, l'onere probatorio in ordine alla ricorrenza del nesso di causalità materiale — quando l'impegno curativo sia stato assunto senza particolari limitazioni circa la sua funzionalizzazione a risolvere il problema che egli presentava — si sostanzia nella prova che l'esecuzione della prestazione si è inserita nella serie causale che ha condotto all'evento di danno, rappresentato o dalla persistenza della patologia per cui era stata richiesta la prestazione, o dal suo aggravamento, fino ad esiti finali costituiti dall'insorgenza di una nuova patologia o dal decesso del paziente (Cass. n. 20904/2013). Il contratto di prestazione professionale avente ad oggetto la prestazione medica (nel caso di specie assistenza al parto) impone al sanitario dipendente della struttura ospedaliera gli obblighi di diagnosi, cura e assistenza e gli altri obblighi di protezione propri della prestazione medica e non anche — quantomeno nella sua configurazione tipica — l'obbligo ad una generica tutela della relazione tra la madre e la figlia (sulla base di questo principio la Corte ha escluso che potesse qualificarsi come contrattuale la prospettata responsabilità dell'ente ospedaliero nei confronti di una bambina nata sana per le lesioni subite dalla madre in occasione del parto, che avrebbero determinato una lesione della tutela relazionale madre-figlia) (Cass. n. 12198/2001). Segue. Profili di responsabilità del chirurgo In tema di responsabilità professionale del medico chirurgo, una accurata ricognizione del complesso rapporto intercorrente tra la fattispecie del nesso causale e quella della colpa, con specifico riferimento ai rispettivi, peculiari profili probatori, consente la enunciazione dei seguenti principi: 1) il nesso di causalità è elemento strutturale dell'illecito, che corre — su di un piano strettamente oggettivo e secondo una ricostruzione logica di tipo sillogistico — tra un comportamento (dell'autore del fatto) astrattamente considerato (e non ancora utilmente qualificabile in termini di «damnum iniuria datum») e l'evento; 2) nell'individuazione di tale relazione primaria tra condotta ed evento, si prescinde, in prima istanza, da ogni valutazione di prevedibilità, tanto soggettiva quanto «oggettivata», da parte dell'autore del fatto, essendo il concetto logico di «previsione» insito nella categoria giuridica della colpa (elemento qualificativo dell'aspetto soggettivo del torto, la cui analisi si colloca in una dimensione temporale successiva in seno alla ricostruzione della complessa fattispecie dell'illecito); 3) il nesso di causalità materiale tra condotta ed evento è quello per cui ogni comportamento antecedente (prossimo, intermedio, remoto) che abbia generato, o anche solo contribuito a generare, tale obbiettiva relazione col fatto deve considerarsi «causa» dell'evento stesso; 4) il nesso di causalità giuridica è, per converso, relazione eziologica per cui i fatti sopravvenuti, di per sé soli idonei a determinare l'evento, interrompono il nesso con il fatto di tutti gli antecedenti causali precedenti; 5) la valutazione del nesso di causalità giuridica, tanto sotto il profilo della dipendenza dell'evento dai suoi antecedenti fattuali, quanto sotto l'aspetto della individuazione del «novus actus interveniens», va compiuta secondo criteri a) di probabilità scientifica, ove questi risultino esaustivi; b) di logica, se appare non praticabile (o insufficientemente praticabile) il ricorso a leggi scientifiche di copertura; con l'ulteriore precisazione che, nell'illecito omissivo, l'analisi morfologica della fattispecie segue un percorso affatto speculare — quanto al profilo probabilistico — rispetto a quello commissivo, dovendosi, in altri termini, accertare il collegamento evento/comportamento omissivo in termini di probabilità inversa, onde inferire che l'incidenza del comportamento omesso si pone in relazione non/probabilistica con l'evento (che, dunque, si sarebbe probabilmente avverato anche se il comportamento fosse stato posto in essere), a prescindere, ancora, dall'esame di ogni profilo di colpa intesa nel senso di mancata previsione dell'evento e di inosservanza di precauzioni doverose da parte dell'agente. L'accertamento della gravità della colpa deve essere svolto con riferimento alla difficoltà dell'intervento piuttosto che con riferimento alla gravità della patologia, e la colpa lieve vale ad escludere la responsabilità sanitaria quando l'intervento medico sia di particolare difficoltà e solo ove si tratti di imperizia, non già di negligenza o imprudenza, casi questi ultimi in cui anche la colpa lieve è fondamento di responsabilità (Cass. n. 4905/2022). Casistica in tema di responsabilità del medicoIn tema di danno alla persona, conseguente a responsabilità medica, l'omissione della diagnosi di un processo morboso terminale, sul quale sia possibile intervenire soltanto con un intervento cosiddetto palliativo, determinando un ritardo della possibilità di esecuzione di tale intervento, cagiona al paziente un danno alla persona per il fatto che nelle more egli non ha potuto fruire di tale intervento e, quindi, ha dovuto sopportare le conseguenze del processo morboso e particolarmente il dolore, posto che la tempestiva esecuzione dell'intervento palliativo avrebbe potuto, sia pure senza la risoluzione del processo morboso, alleviare le sue sofferenze (Cass. n. 23846/2008). In tema di responsabilità professionale del medico, il nesso causale sussiste anche quando, attraverso un criterio necessariamente probabilistico, si possa ritenere che l'opera del medico, se correttamente e prontamente prestata, avrebbe avuto fondate possibilità di evitare il danno; a tal fine, la difettosa tenuta della cartella clinica non vale ad escludere la sussistenza del nesso eziologico tra la colposa condotta del medico e le conseguenze dannose sofferte dal paziente, ove risulti provata la idoneità di tale condotta a provocare il danno, ma consente anzi il ricorso alle presunzioni, assumendo rilievo, al riguardo, il criterio della «vicinanza alla prova», cioè della effettiva possibilità per l'una o per l'altra parte di offrirla (Cass. n. 10060/2010). In materia di responsabilità del medico per inadempimento del dovere di informare la gestante circa lo stato di salute del feto, in considerazione dell'insieme dei doveri che la legge pone in capo al padre nei confronti del figlio, va riconosciuto anche in suo favore - benché egli assuma, nel contratto tra la donna ed il professionista, la posizione di terzo — il diritto al risarcimento del danno conseguente alla mancata possibilità di esercizio, da parte della donna, della facoltà di interruzione anticipata della gravidanza (Cass. n. 2354/2010). Nel caso in cui il medico ometta di segnalare alla gestante l'esistenza di più efficaci test diagnostici prenatali rispetto a quello in concreto prescelto, impedendole così di accertare l'esistenza d'una una malformazione congenita del concepito, quest'ultimo, ancorché privo di soggettività giuridica fino al momento della nascita, una volta venuto ad esistenza, ha diritto ad essere risarcito da parte del sanitario con riguardo al danno consistente nell'essere nato non sano, e rappresentato dell'interesse ad alleviare la propria condizione di vita impeditiva di una libera estrinsecazione della personalità, a nulla rilevando né che la sua patologia fosse congenita, né che la madre, ove fosse stata informata della malformazione, avrebbe verosimilmente scelto di abortire (Cass. n. 16754/2012). In tema di responsabilità del medico per erronea diagnosi concernente il feto e conseguente nascita indesiderata, il risarcimento dei danni, che costituiscono conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento della struttura sanitaria all'obbligazione di natura contrattuale gravante sulla stessa, spetta non solo alla madre, ma anche al padre, atteso il complesso di diritti e doveri che, secondo l'ordinamento, si incentrano sulla procreazione cosciente e responsabile, considerando che, agli effetti negativi della condotta del medico ed alla responsabilità della struttura ove egli opera non può ritenersi estraneo il padre che deve, perciò, considerarsi tra i soggetti "protetti" e, quindi, tra coloro rispetto ai quali la prestazione mancata o inesatta è qualificabile come inadempimento, con il correlato diritto al risarcimento dei conseguenti danni, immediati e diretti, fra cui deve ricomprendersi il pregiudizio patrimoniale derivante dai doveri di mantenimento dei genitori nei confronti dei figli (Cass. Ord. n. 2675/2018). Posto che l'esecuzione di un intervento di protesi dentaria deve ritenersi di agevole ed abituale esecuzione, è correttamente motivata la decisione di merito che abbia ritenuto gravemente colposa la condotta del medico odontoiatra il quale, dopo avere realizzato una protesi provvisoria, debba attendere un notevole periodo (nella specie, diciotto mesi) senza che si sia provveduto alla realizzazione dell'impianto definitivo, così favorendo l'insorgenza di fenomeni irritativi delle mucose gengivali, con conseguente produzione di danni patrimoniali a carico del soggetto interessato dall'intervento (Cass. n. 10668/2008). In epoca antecedente l'entrata in vigore dell'art. 5, comma 7, d.l. n. 443/1987, conv., con modif., dalla l. n. 531/1987 — che ha stabilito l'obbligo per le Usl di compiere preventivi controlli del sangue da destinare alle trasfusioni, al fine di accertare l'assenza del virus Hiv — l'attività di trasfusione era già connotata da obiettiva pericolosità; ne consegue che incorre in responsabilità contrattuale, imputabile anche alla struttura sanitaria, il medico che — in mancanza di una situazione di reale emergenza e senza informare adeguatamente il paziente del rischio obiettivo che tale pratica terapeutica presentava — abbia eseguito una trasfusione di sangue, non testato almeno per il virus dell'epatite B, a causa della quale il paziente abbia contratto il virus dell'Aids e sia, di conseguenza, deceduto (principio affermato in relazione ad una trasfusione eseguita nel 1984, che il giudice di merito aveva accertato non essere necessaria, rispetto alla quale il paziente non avrebbe prestato il proprio consenso ove correttamente informato) (Cass. n. 9315/2010). Il consenso informato del pazienteLa responsabilità del sanitario (e di riflesso della struttura per cui egli agisce) per violazione dell'obbligo del consenso informato discende dalla tenuta della condotta omissiva di adempimento dell'obbligo di informazione circa le prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente venga sottoposto e dalla successiva verificazione — in conseguenza dell'esecuzione del trattamento stesso, e, quindi, in forza di un nesso di causalità con essa — di un aggravamento delle condizioni di salute del paziente, mentre, ai fini della configurazione di siffatta responsabilità è del tutto indifferente se il trattamento sia stato eseguito correttamente o meno, svolgendo rilievo la correttezza dell'esecuzione agli effetti della configurazione di una responsabilità sotto un profilo diverso, cioè riconducibile, ancorché nel quadro dell'unitario «rapporto» in forza del quale il trattamento è avvenuto, direttamente alla parte della prestazione del sanitario (e di riflesso della struttura ospedaliera per cui egli agisce) concretatesi nello svolgimento dell'attività di esecuzione del trattamento. La correttezza o meno del trattamento, infatti, non assume alcun rilievo ai fini della sussistenza dell'illecito per violazione del consenso informato, in quanto è del tutto indifferente ai fini della configurazione della condotta omissiva dannosa e dell'ingiustizia del fatto, la quale sussiste per la semplice ragione che il paziente, a causa del deficit di informazione non è stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni e che, quindi, tale trattamento non può dirsi avvenuto previa prestazione di un valido consenso ed appare eseguito in violazione tanto dell'art. 32 comma 2 Cost., (a norma del quale nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge), quanto dell'art. 13 Cost., (che garantisce l'inviolabilità della libertà personale con riferimento anche alla libertà di salvaguardia della propria salute e della propria integrità fisica), e dall'art. 33 l. n. 833/1978 (che esclude la possibilità d'accertamenti e di trattamenti sanitari contro la volontà del paziente, se questo è in grado di prestarlo e non ricorrono i presupposti dello stato di necessità; ex art. 54 c.p.), donde la lesione della situazione giuridica del paziente inerente alla salute ed all'integrità fisica. Mentre, sul piano del danno-conseguenza, venendo in considerazione il peggioramento della salute e dell'integrità fisica del paziente, rimane del tutto indifferente che la verificazione di tale peggioramento sia dovuta ad un'esecuzione del trattamento corretta o scorretta (Cass. n. 5444/2006). In tema di attività medico-chirurgica, il consenso informato deve basarsi su informazioni dettagliate, idonee a fornire la piena conoscenza della natura, portata ed estensione dell'intervento medico-chirurgico, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative, non essendo all'uopo idonea la sottoscrizione, da parte del paziente, di un modulo del tutto generico, né rilevando, ai fini della completezza ed effettività del consenso, la qualità del paziente, che incide unicamente sulle modalità dell'informazione, da adattarsi al suo livello culturale mediante un linguaggio a lui comprensibile, secondo il suo stato soggettivo ed il grado delle conoscenze specifiche di cui dispone. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto non adeguata l'informazione fornita ad una paziente dapprima mediante consegna di un modulo prestampato dal contenuto generico in occasione del primo intervento chirurgico e poi, senza indicazione degli esatti termini della patologia determinatasi a causa di questo, delle concrete prospettive di superamento della medesima attraverso una serie di interventi successivi: Cass. III 23328/2019). La responsabilità dell'ente ospedalieroIl rapporto che si instaura tra paziente e casa di cura (o ente ospedaliero) ha la sua fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo, da cui, a fronte dell'obbligazione al pagamento del corrispettivo (che ben può essere adempiuta dal paziente, dall'assicuratore, dal servizio sanitario nazionale o da altro ente), insorgono a carico della casa di cura (o dell'ente), accanto a quelli di tipo «lato sensu» alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell'apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze. Ne consegue che la responsabilità della casa di cura (o dell'ente) nei confronti del paziente ha natura contrattuale e può conseguire, ai sensi dell'art. 1218, all'inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, nonché, in virtù dell'art. 1228, all'inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costui effettuata e la sua organizzazione aziendale, non rilevando in contrario al riguardo la circostanza che il sanitario risulti essere anche «di fiducia» dello stesso paziente, o comunque dal medesimo scelto (nella specie, la S.C., alla stregua dell'enunciato principio, ha confermato la sentenza impugnata con la quale era stata affermata la responsabilità solidale con il chirurgo della società titolare della casa di cura, nella cui struttura era stato praticato ad una paziente l'intervento operatorio di liposuzione agli arti inferiori, al quale aveva fatto seguito un'infezione dannosa per la degente, così respingendo — siccome attinente a circostanze irrilevanti in diritto al fine di escluderne l'asserita responsabilità contrattuale — il motivo di impugnazione della stessa casa di cura con il quale era stato evidenziato che il chirurgo non svolgeva attività professionale alle sue dipendenze, che la clinica aveva fornito soltanto le attrezzature ed i servizi occorrenti per l'intervento chirurgico, ma non la sonda utilizzata dalla quale si era propagata l'infezione, e che i suoi dipendenti avevano agito sotto l'esclusiva sorveglianza del medico operatore, attuandone le disposizioni loro impartite) (Cass. n. 13953/2007). L'ospedale risponde a titolo contrattuale dei danni patiti dal paziente, per fatto proprio, ex art. 1218, ove tali danni siano dipesi dall'inadeguatezza della struttura, ovvero per fatto altrui, ex art. 1228 ove siano dipesi dalla colpa dei sanitari di cui l'ospedale si avvale (Cass. n. 1620/2012). La responsabilità dell'avvocatoLa responsabilità professionale dell'avvocato, la cui obbligazione è di mezzi e non di risultato, presuppone la violazione del dovere di diligenza media esigibile ai sensi dell'art. 1176, comma 2; tale violazione, ove consista nell'adozione di mezzi difensivi pregiudizievoli al cliente, non è esclusa né ridotta quando tali modalità siano state sollecitate dal cliente stesso, poiché costituisce compito esclusivo del legale la scelta della linea tecnica da seguire nella prestazione dell'attività professionale (nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto ininfluente, ai fini della responsabilità professionale, la condivisione del cliente della scelta di chiamare in garanzia un terzo sebbene il diritto da tutelare fosse prescritto, come poi puntualmente eccepito dal terzo chiamato) (Cass. n. 10289/2015). In tema di responsabilità professionale dell'avvocato per omesso svolgimento di un'attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, la regola della preponderanza dell'evidenza o del 'più probabile che non', si applica non solo all'accertamento del nesso di causalità tra l'omissione e l'evento del danno, ma anche all'accertamento del nesso tra quest'ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili, atteso che, trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell'omissione, lo stesso può essere indagato solo mediante un giudizio prognostico sull'esito che avrebbe potuto avere l'attività professionale omessa (Cass. n. 24956/2020). L'avvocato, i cui obblighi professionali sono di mezzi e non di risultato, è tenuto ad operare con diligenza e perizia adeguate alla contingenza, così da assicurare che la scelta professionale cada sulla soluzione che meglio tuteli il cliente. Ne consegue che il professionista, ove una soluzione giuridica, pure opinabile ed, eventualmente, non condivisa e convintamente ritenuta ingiusta ed errata dal medesimo, sia stata tuttavia riaffermata dalle Sezioni Unite della Corte regolatrice (come, nella specie, con riguardo alla validità della notifica della sentenza presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario, in mancanza di elezione di domicilio della controparte nel circondario in cui ha sede l'autorità adita, ai fini della decorrenza del termine breve per l'impugnazione del provvedimento), non è esentato dal tenerne conto per porre in essere una linea difensiva volta a scongiurare le conseguenze, sfavorevoli per il proprio assistito, alla prevedibile applicazione dell'orientamento ermeneutico da cui pur dissente (Cass. n. 4790/2014). In tema di responsabilità professionale, ai fini della verifica dell'esistenza di un danno risarcibile, nel caso in cui l'avvocato abbia omesso di trascrivere la domanda giudiziale ex art. 2901 c.c., con conseguente impossibilità per il creditore di opporre gli effetti della sentenza al terzo che, in corso di causa, abbia acquistato un cespite del compendio oggetto dell'esperita azione revocatoria, l'esistenza di un'iscrizione ipotecaria su quello stesso bene non è, di per sé, ostativa alla possibilità di riconoscere l'esistenza di detto danno, occorrendo, invece, una verifica della residua consistenza del credito garantito da ipoteca (Cass. n. 2348/2022). In tema di responsabilità professionale dell'avvocato, quando il cliente abbia provato la conclusione del contratto di patrocinio, con il conferimento dell'incarico al legale per agire nei gradi di merito, non è necessario il rilascio di un ulteriore mandato per agire in sede di legittimità, la cui prova sia a carico del primo, sicchè la sola circostanza che non sia stata conferita la prevista procura speciale non esclude la responsabilità del professionista per mancata proposizione tempestiva del relativo ricorso, gravando sull'avvocato l'onere di provare di aver sollecitato il cliente a fornire indicazioni circa la propria intenzione d'impugnare la sentenza sfavorevole di secondo grado, di averlo informato di questo esito e delle conseguenze dell'omessa impugnazione, nonchè di non aver agito per fatto a sé non imputabile o per la sopravvenuta cessazione del rapporto contrattuale (Cass. n. 7410/2017). In tema di responsabilità dell'avvocato verso il cliente, la scelta di una determinata strategia processuale può essere foriera di responsabilità, purché l'inadeguatezza rispetto al raggiungimento del risultato perseguito dal cliente sia valutata dal giudice di merito ex ante, in relazione alla natura e alle caratteristiche della controversia e all'interesse del cliente ad affrontarla con i relativi oneri, dovendosi in ogni caso valutare anche il comportamento successivo tenuto dal professionista nel corso della lite; pertanto, in relazione ad una causa che presenti un'elevata probabilità di soccombenza per il proprio cliente, il difensore che abbia accettato l'incarico non può successivamente disinteressarsene del tutto, incorrendo in responsabilità professionale ove esponga il cliente all'incremento del pregiudizio iniziale, se non altro a causa delle spese processuali cui lo stesso va incontro per la propria difesa e per quella della controparte (Cass. n. 30169/2018). La responsabilità del notaioIl notaio incaricato della redazione e autenticazione di un contratto di compravendita immobiliare non è un destinatario passivo delle dichiarazioni delle parti e non può, quindi, limitarsi ad accertare la volontà delle stesse e sovrintendere alla compilazione dell'atto ma ha l'obbligo di compiere l'attività preparatoria e successiva, necessaria ad assicurare tanto la serietà e la certezza dell'atto giuridico da rogarsi, quanto l'attitudine dello stesso ad assicurare il conseguimento del suo scopo tipico e del risultato pratico voluto dalle parti della relativa stipulazione, a partire dalle attività che concernono la sussistenza delle condizioni di validità e di efficacia dell'atto medesimo (Cass. 10474/2022). Sussiste la responsabilità contrattuale del notaio che abbia rogato un atto di trasferimento di immobile allorché il venditore sia stato in precedenza dichiarato fallito, risultando per tale ragione l'atto privo di effetti verso i creditori. Il bene, pertanto, deve essere restituito e l'acquirente ha diritto al risarcimento del danno patito, il cui ammontare è pari al valore monetario dell'immobile al momento dell'effettivo rilascio, detratto l'importo corrispondente al vantaggio economico tratto nel periodo in cui l'acquirente ne ha avuto il godimento quale proprietario (Cass. n. 26908/2014). Il notaio incaricato di redigere l'atto pubblico di trasferimento immobiliare, che abbia compilato la dichiarazione a fini Invim, sottoscritta dal venditore, riportando quanto da questi dichiarato, qualora abbia provveduto alla relativa registrazione senza avvertire la parte delle conseguenze derivanti da dichiarazioni non veritiere, pone in essere un comportamento non conforme alla diligenza qualificata cui egli è obbligato, per l'incarico professionale conferito, poiché è tenuto a fornire una consulenza tecnica alla parte funzionale non solo al raggiungimento dello scopo, privatistico e pubblicistico, tipico, cui l'atto rogando è preordinato, ma anche al conseguimento degli effetti vantaggiosi eventualmente previsti dalla normativa fiscale e a rispettare gli obblighi da essa imposti, sicché risponde dei danni originati da tale comportamento anche nella sola ipotesi di colpa lieve (in applicazione dell'anzidetto principio, la S.C. ha ritenuto la responsabilità del notaio per colpa lieve, poiché nell'atto rogando il valore finale dell'immobile dichiarato dal venditore era identico a quello indicato nel precedente atto di acquisto, e, dunque, appariva ragionevolmente probabile che la dichiarazione non fosse veritiera) (Cass. n. 26369/2014). Incorre in responsabilità professionale il notaio che rogiti un contratto di compravendita immobiliare senza compiere le visure dei pubblici registri per verificare la libertà e disponibilità dell'immobile; tuttavia il danno risarcibile derivante da tale condotta non si identifica necessariamente col prezzo pagato dall'acquirente ma con la situazione economica nella quale il medesimo si sarebbe trovato qualora il professionista avesse diligentemente adempiuto la propria prestazione (in applicazione di tale principio, la S.C. — con riferimento al caso in cui il prezzo di una compravendita immobiliare risultava essere stato corrisposto quasi per intero dall'acquirente in data anteriore alla stipulazione dell'atto notarile — ha identificato il danno risarcibile unicamente nel versamento della parte residua del corrispettivo, ritenendo che il pregiudizio anteriormente subito dal cliente appartenesse ad una serie causale del tutto indipendente dalla condotta del notaio) (Cass. n. 18244/2014). Il divieto previsto dall'art. 28, n. 3, l. n. 89/1913, che interdice al notaio di rogare atti che contengano disposizioni che interessino lui stesso, la moglie o alcuno dei suoi parenti o affini, in linea retta o in linea collaterale fino al terzo grado, o persone di cui sia procuratore, è posto a presidio della terzietà del notaio stesso, garantendo la tutela anticipata dell'imparzialità e della trasparenza della sua attività, sicché la valutazione dell'esistenza di un interesse personale del rogante, o degli altri soggetti che sono indicati nella norma, va effettuata «ex ante», in termini di mera potenzialità o pericolosità, senza che rilevi se le parti abbiano in concreto ricevuto o meno un danno dall'atto rogato (in applicazione dell'enunciato principio, è stata ritenuta la nullità di un atto di compravendita con costituzione da parte del venditore di servitù di passaggio sul fondo alienato in favore di fondo di proprietà del notaio rogante) (Cass. n. 26848/2013). Non sussiste la responsabilità professionale del notaio che abbia omesso di indicare la presenza di iscrizioni ipotecarie su immobili trasferiti mediante atto da lui rogato quando sia provato che il contraente interessato a tale informazione conosceva l'esistenza di quelle formalità (Cass. n. 17010/2018). Rientra tra gli obblighi del notaio richiesto della stipulazione di un contratto di compravendita immobiliare e, in particolare, nell'obbligo di buona fede oggettiva, lo svolgimento delle attività accessorie e successive necessarie per il conseguimento del risultato voluto dalle parti ed, in particolare, il compimento delle cosiddette "visure" catastali e ipotecarie allo scopo di individuare esattamente il bene e verificarne la libertà, salvo espresso esonero del notaio da tale attività per concorde volontà delle parti, dettata da motivi di urgenza o da altre ragioni. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità del notaio per il mancato acquisto del diritto di proprietà sul compendio immobiliare compravenduto per atto dal medesimo rogato, nonostante le anomalie emergenti dalle visure immobiliari impedissero di verificare con certezza la titolarità, in capo ad uno dei precedenti danti causa della parte venditrice, del diritto di proprietà sui beni venduti : Cass, III n. 21775/2019). Non incorre in responsabilità per negligenza professionale il notaio che - nell'ipotesi di compravendita di un immobile gravato dalla trascrizione di una domanda giudiziale pregiudizievole chiaramente indicata nel rogito - abbia omesso di avvertire l'acquirente di ulteriori, ipotetici ed eventuali rischi, non prevedibili al momento della stipula, correlati alla proposizione, quale possibile sviluppo della controversia pendente, di altre domande non ancora avanzate. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la decisione di merito che aveva ritenuto sussistente la responsabilità del notaio per non aver informato l'acquirente che, nell'azione di petizione ereditaria intentata dall'erede non legittimario asseritamente pretermesso nei confronti dell'erede testamentario, vi era il rischio di impugnazione del testamento olografo, divenuto oggetto di querela di falso successivamente alla stipula: Cass. III n. 20297/2019). La responsabilità dell'ingegnereL'obbligo cui è tenuto l'ingegnere incaricato della redazione del progetto di costruzione di un edificio, consistente nello accertare preventivamente e con assoluta precisione le dimensioni, i confini e le altre caratteristiche dell'area sulla quale debba eseguirsi la costruzione medesima, sussiste come dato prodromico essenziale per il corretto espletamento del mandato professionale, ancorché tali prestazioni non abbiano formato oggetto di uno specifico incarico del cliente; pertanto, deve ritenersi che l'ingegnere progettista sia responsabile dello sconfinamento della costruzione progettata, e che tale sua responsabilità non richieda la colpa grave, non implicando la individuazione dei confini la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, tanto da essere detta attività ricompresa anche nella Competenza delle professioni tecniche minori (Cass. n. 3476/1989). In tema di contratto d'opera per la redazione di un progetto edilizio, pur trattandosi di una fase preparatoria rispetto all'esecuzione dell'opera, il professionista (che nella specie abbia cumulato l'incarico di progettista e di direttore dei lavori), deve assicurare la conformità del medesimo progetto alla normativa urbanistica ed individuare in termini corretti la procedura amministrativa da utilizzare, così da prevenire la soluzione dei problemi che precedono e condizionano la realizzazione dell'opera richiesta dal committente. Ne consegue che ne sussiste la responsabilità per l'attività espletata sia nella fase antecedente all'esecuzione delle opere in relazione alla scelta del titolo autorizzativo occorrente per il tipo di intervento edilizio progettato sia in quella successiva di controllo e verifica della difformità dell'opera progettata rispetto a quella eseguita, non costituendo la riscontrata difformità di per sè indice di un accordo illecito volto alla realizzazione di un abuso edilizio, trattandosi di un obbligo del professionista giustificato dalla specifica competenza tecnica necessariamente richiesta a chi abbia assunto l'incarico del progetto e della direzione dei lavori (Cass. n. 18342/2019). Sussiste la responsabilità per inadempimento del professionista, incaricato del progetto e della direzione dei lavori di ristrutturazione di un'abitazione, il quale, violando gli obblighi informativi posti a suo carico, non abbia avvisato il committente della necessità di presentare la comunicazione della fine dei lavori prima della scadenza della D.I.A. e, senza porsi il problema della mancanza di tale dichiarazione ai fini della commerciabilità dell'immobile, abbia comunque certificato la regolarità delle opere, per poi indicare al committente, per ovviare alle conseguenze derivanti dal proprio inadempimento, la possibilità di ricorrere alla procedura di sanatoria (Cass. III n. 16288/2019). BibliografiaAnastasi, Professioni intellettuali e subordinazione, in Enc. giur., Roma, 2000, 4; Cian Trabucchi, Commentario Breve al Codice civile, Padova, 2014; G. Gabrielli, Vincolo contrattuale e recesso unilaterale, in Enc. dir., voce Recesso, XXXIX, Milano, 1988, 37 e ss; Levi, La funzione disciplinare degli ordini professionali, Milano, 1967, 44; Perulli, Il lavoro autonomo, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1996, 60; Pezzato, voce: Onorario, in Enc. dir., XXX, Milano, 185; Santoro Passarelli, Opera (contratto), in Nss. D.I., 982; Torrente Schlesinger, Manuale di diritto Privato, Milano, 2015. |