Codice Civile art. 2265 - Patto leonino.InquadramentoL'ampia libertà concessa dall'ordinamento ai soci di determinare le quote di partecipazione di ciascuno di essi agli utili ed alle perdite trova un limite nel divieto di patto leonino, stabilito dalla norma in commento, il quale sanziona con la nullità il patto con il quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili ed alle perdite. Secondo parte della dottrina, il divieto trova differente spiegazione per quanto riguarda gli utili e le perdite (contra, Ferrara-Corsi, 252). Infatti, con riferimento agli utili, la ratio andrebbe ravvisata nel contrasto con l'essenza stessa del tipo contrattuale societario (Ferri 198; Nigro, 232 che precisa che, in tal caso, potrebbe sussistere un contratto di tipo diverso, ma non certo di società): il divieto si porrebbe, in questa prospettiva, come norma di ordine pubblico diretta a tutelare il buon funzionamento della società ed a garantire la corretta formazione della volontà sociale (Marasà, in Tr. I.Z., 2000, 188, Abriani, 44). Quanto, invece, alle perdite, il divieto si giustificherebbe con ragioni di ordine morale e politico (Ferri, 198) ovvero, secondo altri, in ragione della usurarietà del patto (Graziani, 71). La legge, con il precetto dell'art. 2265 pone come limite invalicabile all'autonomia statutaria, non è il mancato bilanciamento tra poteri amministrativi e poteri patrimoniali (che pur costituisce l'ipotesi di normalità in base alla disciplina dell'art. 2263), né una graduazione della ripartizione dei rischi e degli utili dell'impresa sociale difforme dalla quota di partecipazione sociale, ma l'esclusione in modo assoluto e sostanziale dai rischi della perdita e dal diritto agli utili per alcuni dei soci rispetto ad altri (Cass. n. 8927/1994). L'ambito di applicazioneSebbene collocato tra le norme che regolano la società semplice, il divieto è ritenuto applicabile a tutti i tipi societari (De Luca, Stagno D'Alcontres, 148, Ferrara, Corsi, 252, Cottino, 64). Il divieto del c.d. patto leonino posto dall'art. 2265 presuppone una situazione statutaria caratterizzata dalla esclusione totale e costante di uno o di alcuni soci dalla partecipazione al rischio di imprese e dagli utili, ovvero da entrambe. Pertanto, esulano dal divieto le pattuizioni regolanti la partecipazione alle perdite e agli utili in misura difforme dall'entità della partecipazione sociale del singolo socio, sia che si esprimano in una misura di partecipazione difforme da quella inerente ai poteri amministrativi (situazione di rischio attenuato), sia che condizionino in alternativa la partecipazione, o la non partecipazione, agli utili o alle perdite al verificarsi di determinati eventi giuridicamente rilevanti. Peraltro, il divieto di esclusione dalla partecipazione agli utili o alle perdite deve essere riguardato in senso sostanziale, e non formale, per cui esso sussiste anche quando le condizioni della partecipazione agli utili o alle perdite siano, nella previsione originaria delle parti, di realizzo impossibile, e nella concretezza determinino una effettiva esclusione totale da dette partecipazioni (Cass. n. 8927/1994 cit.; Trib. Cagliari, 3 aprile 2008, Riv. Dir. comm., 2011, II, 95). Facendo applicazione di tali principi, la successiva giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 642/2000) ha, in linea di principio, affermato che esulano dal divieto le clausole che contemplino la partecipazione agli utili e alle perdite in una misura diversa dalla entità della partecipazione sociale del singolo socio, sia che si esprimano in misura difforme da quella inerente ai poteri amministrativi, sia che condizionino in alternativa la partecipazione o la non partecipazione agli utili o alle perdite al verificarsi di determinati eventi giuridicamente rilevanti e, nella fattispecie, ha escluso la configurabilità del patto leonino laddove l'esclusione di un socio dagli utili e dalle perdite era perfettamente bilanciata dal suo esonero, come socio d'opera, dall'obbligo di sopperire al fabbisogno finanziario della società, posto a carico esclusivo dei soci di capitale in proporzione delle loro quote. Il divieto deve essere letto in senso sostanziale e non meramente formale (Abriani, 55, Campobasso, 80), nulli essendo quei criteri di ripartizione congegnati in modo tale da determinare la sostanziale esclusione di uno o più soci dalla partecipazione agli utili o alle perdite. Secondo la S.C. è lecito e non integra un patto leonino l'accordo con il quale un socio, in occasione di un finanziamento partecipativo, si obbliga a manlevare un altro socio dalle conseguenze negative del conferimento effettuato in società, attribuendogli il diritto di vendita entro un determinato termine ed un corrispondente obbligo di acquisto della partecipazione sociale ad un prezzo predeterminato (Cass. n. 7934/2024). Le conseguenze del divietoLa nullità colpisce solo il patto che prevede l'esclusione dalle perdite e dagli utili ferma rimanendo la validità tanto della partecipazione del socio colpito dal divieto, tanto, a maggior ragione, il contratto sociale (Campobasso, 80, Abriani, 88, Nigro, 236): in tal senso, si ritiene applicabile, una volta espunta la clausola nulla, la partecipazione agli utili ed alle perdite va determinata secondo i criteri previsti dall'art. 2263 (Galgano, 227). Tuttavia, la nullità potrà colpire l'intera partecipazione del socio interessato qualora risulti che, senza il patto leonino, non avrebbe partecipato al contratto sociale (art. 1419 comma 2) (così, Campobasso, 80, nt. 53, Ferrara, Corsi, 253, Nigro, 236). Potrà, infine, essere dichiarata la nullità dell'intero contratto di società ove la partecipazione di quel determinato socio debba considerarsi, secondo le circostanze, essenziale (art. 1420). 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