Codice Civile art. 2298 - Rappresentanza della società.

Guido Romano

Rappresentanza della società.

[I]. L'amministratore che ha la rappresentanza della società può compiere tutti gli atti che rientrano nell'oggetto sociale, salve le limitazioni che risultano dall'atto costitutivo o dalla procura. Le limitazioni non sono opponibili ai terzi, se non sono iscritte nel registro delle imprese [99-101 att.] o se non si prova che i terzi ne hanno avuto conoscenza [19, 2193] (1).

(1) Seguiva un secondo comma abrogato dall'art. 33 1 l. 24 novembre 2000, n. 340, il cui testo recitava: «Gli amministratori che hanno la rappresentanza sociale devono, entro quindici giorni dalla notizia della nomina, depositare presso l'ufficio del registro delle imprese le loro firme autografe».

Inquadramento

In forza del richiamo contenuto nell'art. 2293, l'amministrazione e la rappresentanza nelle s.n.c. sono disciplinate dalle norme sulle società semplici e, in particolare, dalla norma di cui all'art. 2266 secondo la quale, in mancanza di diversa disposizione del contratto, la rappresentanza spetta a ciascun socio amministratore e si estende a tutti gli atti che rientrano nell'oggetto sociale.

La norma in commento, dunque, integra la disciplina dettata per la società semplice quanto agli effetti che si producono nei confronti dei terzi dall'iscrizione nel registro delle imprese. I soci, in quanto anche rappresentanti (in assenza di diversa pattuizione), potranno compiere tutte le operazioni riconducibili all'oggetto sociale senza necessità di una autorizzazione di volta in volta rilasciata per il compimento delle stesse, inerendo tale potere necessariamente alla qualità di socio, ed essendo il conferimento del potere rappresentativo inscindibilmente legato al contratto di società (Tassinari, 463). È stato, infatti, efficacemente affermato che la rappresentanza della società consiste in un attributo inerente a tale qualità e non necessitando di alcun espresso conferimento di poteri (Ferri, in Comm. S. B., 1987, 208).

L'attribuzione, nell'atto costitutivo di una società, del potere di rappresentanza ad uno solo dei soci non impedisce a quest'ultimo, qualora dall'atto costitutivo stesso non risultino limiti, di conferire ad altro socio o ad un terzo un mandato con rappresentanza della società, in ordine a determinate operazioni utili allo svolgimento dell'attività sociale (Cass. n. 18/1982).

Le limitazione al potere rappresentativo

In mancanza di diverse disposizioni nell'atto costitutivo o nella procura, l'amministratore dotato della rappresentanza sociale ha il potere di compiere tutti gli atti che rientrino nell'oggetto sociale, compresi gli atti di straordinaria amministrazione.

Si è osservato, infatti, che i poteri di rappresentanza dell'amministratore di società in nome collettivo vanno individuati con riferimento agli atti che rientrano nell'oggetto sociale, qualunque sia la loro rilevanza economica e natura giuridica, fatta eccezione per le specifiche limitazioni: pertanto, qualora lo statuto distingua tra atti di ordinaria e atti di straordinaria amministrazione, può ritenersi eccedente l'ordinaria amministrazione, in quanto estraneo all'oggetto sociale, l'atto dispositivo che sia suscettibile di modificare la struttura dell'ente e perciò sia con tale oggetto contrastante, essendo esteriormente riconoscibile come non rivolto a realizzare gli scopi economici della società, perché da essi esorbitante (Cass. n. 8538/2004; Cass. n. 3519/1999).

Il perimetro del potere gestorio è, dunque, segnato dai contorni dell'oggetto sociale come individuato nello statuto e ciò determina una netta coincidenza tra contenuto dei poteri amministrativi e contenuto del potere rappresentativo, in modo che qualora solo il primo sia oggetto di un'esplicita limitazione, anche il secondo dovrà ritenersi limitato (Tassinari, 464). 

In ogni caso, le limitazioni al potere di rappresentanza non potrebbero essere tali da rendere impossibile la gestione o da svuotare il carattere generale della rappresentanza con la riduzione i questa a singoli atti (Ferri, in Comm. S. B., 1987, 407).

È stato, in dottrina, sostenuto che occorre tenere presenti, in materia di rappresentanza degli amministratori di società di persone, i criteri stabiliti dagli artt. 2384 e 2384 bis (Salafia, 905).

L'introduzione, in relazione alla disciplina delle società di capitali, delle regole contenute negli artt. 2384 e 2384-bis — che, a differenza di quanto dispone, per le società di persone, l'art. 2298, escludono che le predette limitazioni, pur se pubblicate, siano opponibili ai terzi, salvo che si provi che questi abbiano agito intenzionalmente a danno della società, e comunque che l'estraneità all'oggetto sociale degli atti compiuti dagli amministratori in nome della società possa essere opposta ai terzi in buona fede — non è suscettibile di applicazione analogica nei confronti delle società di persone, regolate da specifiche norme. Tuttavia, quella disciplina svolge un indubbio effetto di «irraggiamento» sull'intero sistema, nel senso di imporre, anche in relazione alle società da ultimo citate, in ossequio al principio della tutela dell'affidamento dei terzi, una concezione più sfumata dei limiti al potere di rappresentanza degli amministratori derivanti dall'oggetto sociale, da intendere con molta larghezza. è dunque necessario che il giudice di merito verifichi, caso per caso, tutti gli aspetti della vicenda, allo scopo di accertare in concreto se il comportamento tenuto da colui che agiva in nome e per conto della società potesse avere o meno ingenerato nella controparte, considerate le modalità di svolgimento del rapporto, il ragionevole convincimento della sussistenza dei poteri di rappresentanza (Cass. n. 1817/2000).

L'oggetto sociale opera come limite della riferibilità dell'atto alla società di fatto soltanto ove quest'ultimo non sia stato posto in essere congiuntamente da tutti i soci (così, Cass. n. 6142/1988).

Per impegnare validamente la società non è necessaria la spendita del nome degli altri soci, essendo sufficiente che il comportamento di chi agisce per la società sia tale da rendere palesi al terzo il vincolo sociale e la riferibilità del negozio alla società (Trib. Milano, 13 gennaio 2000).

L'atto stipulato a nome di una società in nome collettivo da uno solo dei soci amministratori, in violazione della clausola dell'atto costitutivo (regolarmente iscritta nel registro delle imprese), la quale, legittimamente derogando alla disciplina codicistica attributiva del potere di amministrazione e di rappresentanza a ciascuno dei soci, preveda per talune categorie di atti che il potere rappresentativo sia esercitato congiuntamente da determinati soci, non è configurabile una mera causa di annullabilità del contratto ai sensi dell'art. 1425 ma di inefficacia, in applicazione del principio secondo cui il contratto posto in essere da chi sia privo del potere di rappresentare il soggetto in nome del quale esso è stipulato costituisce un negozio giuridico inefficace nei confronti dell'interessato, salva ovviamente la possibilità di ratifica da parte della società dell'atto concluso dal falsus procurator (Cass. n. 2174/1997).

L'amministratore non socio

Discussa è la possibilità di attribuire l'amministrazione di una s.n.c. ad un soggetto esterno alla compagine sociale.

La giurisprudenza, in un risalente arresto, ha negato tale possibilità in ragione della possibilità che essa rappresenti un espediente per eludere il principio della responsabilità personale ed illimitata di tutti i soci (Cass. n. 218/1968).

Tale conclusione è condivisa da parte della dottrina (Buonocore, in Comm. S., 1995, 298). Altra parte della dottrina, invece, ritiene che nelle s.n.c. sia ammissibile la figura dell'amministratore estraneo (sia pure con l'eccezione introdotta per le società tra avvocati) (Campobasso, 101).

Bibliografia

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