Codice Civile art. 2319 - Nomina e revoca degli amministratori.Nomina e revoca degli amministratori. [I]. Se l'atto costitutivo non dispone diversamente, per la nomina degli amministratori e per la loro revoca nel caso indicato nel secondo comma dell'articolo 2259 sono necessari il consenso dei soci accomandatari e l'approvazione di tanti soci accomandanti che rappresentino la maggioranza del capitale da essi sottoscritto. InquadramentoAnche in tale disposizione si rinviene una conferma del carattere «capitalistico» della partecipazione della categoria degli accomandanti (Montalenti 1985, 307; Leozappa, 559). È, infatti, previsto che, salva diversa disposizione dello statuto, per la nomina e per la revoca degli amministratori nominati con atto separato sia necessario il consenso dei soci accomandatari e l'approvazione di tanti soci accomandanti che rappresentino la maggioranza del capitale da essi sottoscritto. Come si vede, per quanto riguarda la revoca, la norma si riferisce alla sola ipotesi di nomina con atto separato. Al contrario, la revoca dalla carica di amministratore rivestita dal socio accomandatario, nominato a tale carica nell'atto costitutivo della società, comportando una modifica di detto atto, richiede il consenso di tutti i soci, siano essi accomandatari o accomandanti, anche quando una clausola contrattuale abbia attribuito alla maggioranza poteri modificativi del contratto sociale, non potendo rientrare in tali poteri anche quello di alterare la posizione del socio accomandatario (Cass. n. 5416/1996). La revoca dell'amministratore nominato con atto separatoCome già detto, l'articolo in commento si riferisce all'ipotesi di nomina dell'amministratore con atto separato e, prevede, che sia necessario il consenso dei soci accomandatari e l'approvazione di tanti soci accomandanti che rappresentino la maggioranza del capitale da essi sottoscritto. La disciplina legale prevista dall'articolo in commento può essere derogata dall'atto costitutivo, avendo i soci piena autonomia sul punto. In particolare, è stato osservato che l'atto costitutivo potrebbe richiedere che nomina e revoca necessitino di una particolare maggioranza qualificata ovvero del consenso unanime di tutti gli accomandanti ovvero ancora del consenso di una categoria di soci (Ferri, in Tr. Vas., 1987, 483). È stato osservato, però, da un lato, che la previsione di un voto unanime non sarebbe compatibile con la ratio della disposizione in commento (Conforti, 183) e, dall'altra, che non potrebbe riservarsi la decisione di nomina o di revoca ad un singolo socio essendo, in tal caso, la decisione riferibile non già all'ente, ma esclusivamente a detto singolo (Montalenti, 1985, 310). L'applicazione del principio maggioritario previsto dall'articolo in esame si riferisce alla sola scelta dell'amministratore tra coloro che sono già soci accomandatari, mentre lo stesso criterio di maggioranza non può valere per ammettere nuove persone fra i contraenti originari, quando anche divenissero amministratori, poiché deve esser riconosciuto a ciascun singolo socio il diritto di non estendere il vincolo sociale a persone non gradite trattandosi di contratti caratterizzati dall'intuitus personae (Trib. Milano 16 luglio 2008). Per la revoca dell'amministratore non è, invece, richiesta la giusta causa salvo che si tratti di incarico gestorio conferito anche nell'interesse dello stesso amministratore. Il procedimento di revoca e le correlazioni con la esclusione dalla societàIn forza del rinvio generale alle norme sulle società in nome collettivo e, dunque, alla disposizione di cui all'art. 2259 comma 3, la revoca giudiziale dell'amministratore può essere chiesta sia dai soci accomandanti che dai soci accomandatari (Bussoletti, 964; Leozappa, 561). In particolare, dubbi erano stati manifestati sul punto dalla giurisprudenza (App. Milano, 5 giugno 1991) con riferimento agli accomandanti in quanto detta richiesta costituirebbe un atto di gestione vietato a tale categoria di soci. La dottrina, condivisibilmente, ha però ritenuto che con l'iniziativa, l'accomandante non compie un atto di ingerenza nell'amministrazione, ma si limita ad attivare un controllo giudiziario di legittimità sull'operato degli amministratori (Montalenti, 1985, 305; Campobasso, 131, nt. 11). Anche la successiva giurisprudenza si è attestata su tali posizioni (Trib. Napoli, 4 febbraio 2005; Trib. Milano, 30 gennaio 1993). Allorché il socio amministratore compia atti contrastanti non solo con i doveri inerenti al rapporto gestorio, ma anche con gli obblighi ad esso incombenti quale socio, tali fatti possono costituire presupposto oltre che per la revoca per giusta causa della facoltà di amministrare anche per l'esclusione dalla società ai sensi dell'art. 2286, comma 1, quando si connotino in termini di gravità tale da compromettere il conseguimento dell'oggetto sociale (cfr. Cass. n. 710/1980; Cass. n. 103/1956); con la necessaria precisazione che la gravità delle inadempienze legittimanti l'esclusione del socio ricorre non solo quando le stesse siano di consistenza tale da impedire il perseguimento dell'oggetto sociale, ma anche quando le stesse abbiano inciso negativamente sulla situazione dell'ente, rendendo disagevole il raggiungimento dei fini sociali (cfr. Cass. n. 6200/1991; Cass. n. 2344/1982). Il cumulo delle qualifiche di socio e di amministratore non impedisce che le irregolarità o le illiceità commesse dall'amministratore determinino non solo la revoca del mandato e l'esercizio dell'azione di responsabilità, ma anche l'esclusione da socio per violazione dei doveri previsti dallo statuto a tutela delle finalità e degli interessi dell'ente (Cass. n. 26059/2022secondo la quale l'esclusione del socio accomandatario dalla società, non diversamente da qualsiasi altra causa di scioglimento del rapporto sociale a lui facente capo, ne comporta ipso iure anche la cessazione dalla carica di amministratore). Il concetto di giusta causaIl concetto di giusta causa di revoca di un amministratore di società di persone ricomprende, da un lato, tutti quei comportamenti dell'amministratore che compromettono l'esistenza stessa dell'impresa collettiva ed il suo funzionamento; dall'altro, le condotte che, violando obblighi di legge o doveri di correttezza e diligenza propri dell'amministratore, non garantiscono una corretta amministrazione della società e la tutela degli interessi privati dei soci della stessa e dei terzi (quali, in maniera esemplificativa, la creazione di situazioni tali da nuocere alla prosecuzione dell'impresa, il tentativo dell'amministratore di provocare lo scioglimento della società prima della scadenza con mezzi artificiosi, ovvero di distrarre risorse reimpiegandole in attività estranee e diverse). Può trovare applicazione anche al caso di specie, la giurisprudenza in materia di revoca dell'amministratore di società di capitali essendo i principi estensibili al concetto di giusta causa richiesto dal terzo comma dell'art. 2259. In particolare, si è affermato che la giusta causa della revoca dell'amministratore di società può derivare anche da fatti non integranti inadempimento, ma richiede pur sempre un quid pluris rispetto al mero dissenso (alla radice di ogni recesso ad nutum), ossia esige situazioni sopravvenute (provocate o meno dall'amministratore stesso) che minino il pactum fiduciae, elidendo l'affidamento inizialmente riposto sulle attitudini e le capacità dell'organo di gestione, in modo tale da poter fondatamente ritenere che siano venuti meno, in capo allo stesso, quei requisiti di avvedutezza, capacità e diligenza di tipo professionale che dovrebbero sempre contraddistinguere l'amministratore di una società di capitali (Cass. n. 16526/2005; Cass. n. 23557/2008). Si ritiene che possa essere disposta la revoca dell'amministratore e l'esclusione del socio anche con provvedimento di urgenza emesso ai sensi dell'art. 700 c.p.c. Conseguenze derivanti dalla revoca giudiziaria dell'accomandatario dalla carica di amministratoreLa norma in commento non disciplina le conseguenze della revoca giudiziaria dell'accomandatario dalla carica di amministratore. La giurisprudenza assolutamente prevalente esclude, peraltro, che possa essere nominato un amministratore giudiziario (Trib. Roma, 22 maggio 1997; Trib. Napoli, 4 febbraio 2005; Trib. Milano, 14 febbraio 2004. Contra, Trib. Roma, 24 luglio 1997). 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