Codice Civile art. 2322 - Trasferimento della quota.

Guido Romano

Trasferimento della quota.

[I]. La quota di partecipazione del socio accomandante è trasmissibile per causa di morte [2284, 2369 1].

[II]. Salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo, la quota può essere ceduta, con effetto verso la società, con il consenso dei soci che rappresentano la maggioranza del capitale [2469, 2470].

Inquadramento

La norma in commento ribadisce il carattere «capitalistico» della partecipazione dell'accomandante e l'attenuazione, per tale categoria di soci, del rilievo dell'intuitus personae (Montalenti, 1997, 299 nonché 248 che evidenzia la dicotomia esistente tra la natura della partecipazione del socio accomandante rispetto a quello del socio accomandatario; Leozappa, 584). In questa prospettiva, la disposizione distingue l'ipotesi del trasferimento della partecipazione mortis causa da quella del trasferimento per atto tra vivi, risultando la trasferibilità automatica nel primo caso e soggetta al consenso dei soci che rappresentano la maggioranza del capitale nel secondo.

In altre parole, la sostituzione dell'accomandante non importa una modifica dell'atto costitutivo e, in quanto tale, non necessita del consenso unanime di tutti i soci. È stato, però correttamente osservato che tale consenso unanime resta necessario per l'ammissione di un nuovo socio accomandante, fattispecie questa che, invece, comporta la modifica del contratto sociale.

Peraltro, è stato giustamente osservato che la norma in commento ha natura dispositiva (Ferri, in Tr. Vas., 1987, 382), con la conseguenza che l'atto costitutivo potrebbe prevedere l'intrasferibilità della quota ovvero, all'opposto, la libera cedibilità senza necessità di alcuna autorizzazione ovvero ancora condizionare il trasferimento al diritto di prelazione (Leozappa, 586). Secondo un diverso orientamento, tuttavia, un confronto fra i due commi dell'art. 2322 induce a ritenere che in tema di trasferimenti mortis causa non sono ammesse diverse disposizioni dell'atto costitutivo (Ghidini, 650; Bussoletti, 971), con conseguente derogabilità del solo secondo comma dell'articolo in commento.

È legittima una clausola dell'atto costitutivo che limita o esclude la trasmissibilità delle quote per causa di morte (Trib. Milano, 28 aprile 1991).

Il trasferimento mortis causa e la clausola di continuazione

Secondo un primo orientamento, il comma 1 dell'art. 2322 va letto nel senso di autorizzare il trasferimento della quota intesa come complesso dei diritti patrimoniali del socio, mentre l'acquisto dello status di socio sarebbe assoggettato alla regola prevista dall'art. 2284 (App. Brescia 25 gennaio 1962, in Buonocore-Castellano-Costi, 963). Tuttavia, in senso contrario, è stato correttamente osservato che una simile interpretazione non avrebbe senso, poiché, fra l'altro, farebbe dire alla norma una cosa inutile, posto che nessuno dubita che almeno i valori patrimoniali espressi della quota sociale cadano in successione (Bussoletti, 971). Il legislatore, dunque, derogherebbe integralmente alla disciplina prevista dall'art. 2284 prevedendo l'automatico ingresso degli eredi dell'accomandante nella compagine sociale (Di Sabato, 185; Garesio, 823).

Incertezza si sono manifestate per il caso in cui, a seguito del trasferimento mortis causa, subentrino al de cuius più eredi, essendo dubbio che si verifichi la parcellizzazione della partecipazione e l'assunzione da parte di ogni erede della qualità si socio accomandante in misura pari alla quota di diritto ereditario (così Ferri, in Tr. Vas., 1987, 384) ovvero se la quota rimanga unica, e debba essere amministrata da un rappresentante comune, perché l'ingresso di una pluralità di nuovi soci rappresenterebbe una vera e propria modificazione del contratto sociale, che richiede il consenso dei soci a norma dell'art. 2252 (così Bussoletti, 971; Montalenti, 1997, 248; Cottino- Sarale-Weigmann, 225).

La clausola c.d. di continuazione automatica prevista nell'atto costitutivo di società in accomandita semplice — in forza della quale gli eredi del socio accomandante defunto subentrano, per intero, nella posizione giuridica del loro «dante causa» entro la compagine sociale, a prescindere da ogni loro manifestazione di volontà — non contrasta né con la regola stabilita dall'art. 2322 comma 1, né con l'art. 458, che con norma eccezionale non suscettibile di applicazione analogica, vieta i patti successori, per non essere essa riconducibile allo schema tipico del patto successorio (Cass. n. 12906/1995).

Quanto poi alla posizione dell'accomandatario, è invalida la clausola di continuazione, con la quale i soci di società in accomandita semplice, nell'atto costitutivo, in deroga all'art. 2284,  prevedano l'automatica trasmissibilità all'erede del socio accomandatario defunto, di cui non sia certa l'identità, unitamente alla predetta qualità di socio, anche del munus di amministratore, tenendo conto che tale designazione in incertam personam coinvolge la stessa struttura societaria, e che la funzione amministrativa, strettamente strumentale al perseguimento del fine sociale, non può essere affidata ad un soggetto che, al momento in cui è posto in essere il negozio societario, resti indeterminabile, ovvero sia individuabile con criteri di indifferenza rispetto alle sorti della società e allo scopo che i soci intendono raggiungere (Cass. n. 2632/1993).

Il trasferimento inter vivos

Il secondo comma condiziona l'efficacia del trasferimento, per atto tra vivi, della quota dell'accomandante al consenso della maggioranza dei soci, salvo che l'atto costitutivo disponga diversamente.

È stato correttamente precisato che il consenso dei soci che rappresentino la maggioranza del capitale, richiesto dall'art. 2322 per il trasferimento della quota sociale di una società in accomandita semplice, non incide sul perfezionamento e sulla validità del negozio di cessione, ma opera come una condicio iuris per la opponibilità del trasferimento della quota sociale della società (Cass. n. 2055/1979). La norma, infatti, mira a tutelare esclusivamente l'interesse della società medesima (Cass. n. 4966/1977).

Bibliografia

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