Codice Civile art. 2377 - Annullabilità delle deliberazioni (1).Annullabilità delle deliberazioni (1). [I]. Le deliberazioni dell'assemblea, prese in conformità della legge e dell'atto sostitutivo, vincolano tutti i soci, ancorché non intervenuti o dissenzienti (2). [II]. Le deliberazioni che non sono prese in conformità della legge o dello statuto possono essere impugnate dai soci assenti, dissenzienti od astenuti, dagli amministratori, dal consiglio di sorveglianza e dal collegio sindacale. [III]. L'impugnazione può essere proposta dai soci quando possiedono tante azioni aventi diritto di voto con riferimento alla deliberazione che rappresentino, anche congiuntamente, l'uno per mille del capitale sociale nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e il cinque per cento nelle altre; lo statuto può ridurre o escludere questo requisito. Per l'impugnazione delle deliberazioni delle assemblee speciali queste percentuali sono riferite al capitale rappresentato dalle azioni della categoria. [IV]. I soci che non rappresentano la parte di capitale indicata nel comma precedente e quelli che, in quanto privi di voto, non sono legittimati a proporre l'impugnativa hanno diritto al risarcimento del danno loro cagionato dalla non conformità della deliberazione alla legge o allo statuto. [V]. La deliberazione non può essere annullata: 1) per la partecipazione all'assemblea di persone non legittimate, salvo che tale partecipazione sia stata determinante ai fini della regolare costituzione dell'assemblea a norma degli articoli 2368 e 2369; 2) per l'invalidità di singoli voti o per il loro errato conteggio, salvo che il voto invalido o l'errore di conteggio siano stati determinanti ai fini del raggiungimento della maggioranza richiesta; 3) per l'incompletezza o l'inesattezza del verbale, salvo che impediscano l'accertamento del contenuto, degli effetti e della validità della deliberazione. [VI]. L'impugnazione o la domanda di risarcimento del danno sono proposte nel termine di novanta giorni dalla data della deliberazione, ovvero, se questa è soggetta ad iscrizione nel registro delle imprese, entro novanta giorni dall'iscrizione o, se è soggetta solo a deposito presso l'ufficio del registro delle imprese, entro novanta giorni dalla data di questo (3). [VII]. L'annullamento della deliberazione ha effetto rispetto a tutti i soci ed obbliga gli amministratori, il consiglio di sorveglianza e il consiglio di gestione a prendere i conseguenti provvedimenti sotto la propria responsabilità. In ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione. [VIII]. L'annullamento della deliberazione non può aver luogo, se la deliberazione impugnata è sostituita con altra presa in conformità della legge e dello statuto. In tal caso il giudice provvede sulle spese di lite, ponendole di norma a carico della società, e sul risarcimento dell'eventuale danno. [IX]. Restano salvi i diritti acquisiti dai terzi sulla base della deliberazione sostituita. (1) Articolo sostituito dall' art. 1 d.lg. 17 gennaio 2003, n. 6 , con effetto dal 1° gennaio 2004. La legge ha modificato l’intero capo V, ed è stata poi modificata e integrata dal d.lg 6 febbraio 2004, n. 37, la cui disciplina transitoria è dettata dall'art. 6. (2) Comma inserito dall'art. 1 d.lg. 17 gennaio 2003, n. 6, come modificato dall'art. 5 1o) d.lg. 6 febbraio 2004, n. 37. (3) V. Avviso di rettifica in G.U. 4 luglio 2003, n. 153. InquadramentoGli artt. 2377-2379-ter delineano la disciplina della invalidità delle deliberazioni assembleari. La disciplina è, però, completata anche da altre norme e, precisamente, l'art. 2434-bis in materia di impugnazione della delibera di approvazione del bilancio, l'art. 2373 in materia di conflitto di interessi dei soci e gli artt. 2500-bis, art. 2504-quater e art. 2506-ter che precludono la pronunzia di invalidità, una volta adempiuti gli obblighi pubblicitari, delle deliberazioni di trasformazione, fusione e scissione. La disciplina dell'invalidità delle deliberazioni dell'assemblea societarie costituisce un corpus normativo autonomo rispetto a quella contrattuale prevista dagli art. 1418 ss. (Cass. n. 3457/1999; Cass. n. 9040/1995). Inesistenza, annullabilità e nullità delle deliberazioniAnche prima della riforma del diritto societario, il regime normativo della invalidità delle deliberazioni assembleari era improntato sulla base del binomio annullabilità-nullità. Tuttavia, nel corso degli anni, la giurisprudenza, per venire incontro a particolari esigenze di tutela e per reagire a vizi ritenuti particolarmente gravi, aveva fatto ricorso alla categoria dell'inesistenza. Tale figura, non conosciuta dal codice, ricorreva quando mancava alcuno dei requisiti procedimentali indispensabili per la formazione di una delibera imputabile alla società, determinandosi così una fattispecie apparente, non sussumibile nella categoria giuridica delle deliberazioni assembleari (in giurisprudenza, ex plurimis, Cass. n. 9364/2003; Cass. n. 11186/2001). La riforma del diritto societario è intervenuta per rimodulare le categorie di vizi attraverso, in particolare, l'eliminazione della categoria dell'inesistenza giuridica e la riconduzione normativa, attraverso la loro tipizzazione positiva, delle ipotesi prima rientranti nel perimetro della inesistenza alle fattispecie della annullabilità o della nullità (sul punto, Bertolotti, 274). Pertanto, la dottrina, recependo la nuova sistemazione della materia operata dal legislatore della riforma, ha però evidenziato l'opportunità di mantenere tuttora la categoria dell'inesistenza quale prospettazione residuale ed estrema, complementare (ed esterna) alla patologia che può inficiare una assemblea esistente (Bertolotti 279). Sul tema è intervenuta la giurisprudenza di legittimità la quale, dopo aver ricordato che il legislatore della riforma ha scelto di eliminare la figura della inesistenza per ricondurre i vizi inficianti le delibere assembleari unicamente alle ipotesi di nullità e annullabilità, ha tuttavia osservato che la inesistenza resta una categoria logica e non una (possibile) fattispecie giuridica: sicché su di essa è impossibile per la legge incidere in modo definitivo. Ha, pertanto, ritenuto configurabile, in via del tutto residuale la categoria della inesistenza della delibera assembleare esclusivamente allorquando lo scostamento della realtà dal modello legale risulti così marcato da impedire di ricondurre l'atto alla categoria stessa di deliberazione assembleare (Cass., n. 26199/2021 che ha ritenuto inesistente la delibera assunta esclusivamente con il voto di soggetti totalmente estranei ed in totale assenza dei soggetti legittimati, non convocati). Anche alcune decisioni dei giudici di merito, hanno ritenuto che, sebbene in casi limite, la categoria dell'inesistenza potrebbe tornare di qualche utilità al fine dello scrutinio di quelle ipotesi in cui nella dedotta delibera manchino gli elementi essenziali per individuare la fattispecie, e tale situazione si verifica quando difetti la legittimazione di tutti i partecipanti all'assemblea (Trib. Bari, 28 novembre 2005, Soc., 2007, 223). In questa prospettiva, è stato affermato che non può qualificarsi come delibera della società un atto qualificato come tale da un soggetto che si è autoattribuito la qualità di socio e si è autocostituito in assemblea ad insaputa degli organi sociali di amministrazione e controllo (Trib. Milano, 1 aprile 2008, Soc., 2008, 1130). In un altro caso, è stata dichiarata inesistente la deliberazione attesa l'inconfigurabilità stessa della società, da qualificarsi, invece, come impresa familiare ai sensi dell'art. 230-bis (Trib. Roma, 12 aprile 2012). L'annullabilitàL'impugnazione della deliberazione dell'assemblea di una società, ai sensi dell'art. 2377, è consentita non soltanto per violazioni formali, ma anche per vizi di legittimità sostanziale, come quando abbia un contenuto non consentito dalla legge, ovvero dallo statuto o dall'atto costitutivo (Cass. n. 1673/1988). Così, l'annullabilità costituisce la categoria generale dell'invalidità nell'ambito delle deliberazioni assembleari e ricomprende tutti quei casi di difformità dalla legge o dall'atto costitutivo che non ricadono nella nullità. In questa prospettiva, particolarmente significativa è la giurisprudenza che sanziona con l'annullamento le deliberazioni assunte con abuso o eccesso di potere. Si afferma, quindi, (Cass. n. 27387/2005), l'abuso o eccesso di potere è causa di annullamento delle deliberazioni assembleari allorquando la delibera non trovi alcuna giustificazione nell'interesse della società — per essere il voto ispirato al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un interesse personale antitetico a quello sociale — ovvero sia il risultato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci maggioritari diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza uti singuli; al di fuori di tali ipotesi resta preclusa ogni possibilità di controllo in sede giudiziaria sui motivi che hanno indotto la maggioranza alla votazione della delibera. La figura dell'abuso di potere, quindi, rappresenta un limite al principio maggioritario (sulla tematica dell'abuso del diritto, si veda, di recente, Cass. I, n. 10488/2011). L'orientamento più recente della giurisprudenza di legittimità, peraltro, fonda il divieto di abuso sulla base dei canoni generali della correttezza e della buona fede che deve informare l'opera dei soci nell'organizzazione della società (Cass. n. 27387/2005; Trib. Roma, 19 marzo 2013; Trib. Roma, 20 ottobre 2011, entrambe in Banca Borsa, tit. cred., 2014, II, 590). I soggetti legittimatiIl secondo ed il terzo comma dell'articolo in commento conferiscono la legittimazione ad impugnare le deliberazioni annullabili agli amministratori, al consiglio di sorveglianza, al collegio sindacale ed ai soci, assenti, dissenzienti o astenuti che siano titolari di una determinata aliquota del capitale sociale. Sulla base della dizione normativa, non vi è dubbio che il potere spetti al collegio sindacale come organo e non già ai singoli sindaci. Quanto agli amministratori, secondo l'orientamento maggioritario, la legittimazione è riconosciuta all'organo amministrativo nel suo complesso e non agli amministratori uti singuli (Grippo-Bolognesi, in Tr. Res., 2011, 156; Guerrieri, 533; Lener, Tucci, 238; contra, Di Girolamo, 1702 secondo il quale, se la legittimazione è conferita agli amministratori a difesa del loro esclusivo interesse di evitare di incorrere in responsabilità dovendo essi dare o non dare esecuzione a deliberazioni illegali ma efficaci, appare consequenziale attribuire il potere di impugnativa a ciascun amministratore singolarmente considerato). La giurisprudenza dominante ritiene che il potere di impugnare le deliberazioni assembleari spetta al consiglio di amministrazione e non agli amministratori individualmente considerati (in tal senso, ex plurimis, Cass. n. 259/2010; Cass. n. 1084/1963), salvo il caso in cui la delibera risulti potenzialmente lesiva di un suo particolare interesse (Trib. Palermo, 18 maggio 2001, Giust. civ., 2001, I, 1944; Trib. Milano, 21 ottobre 2005, Giur. it., 2006, 1208; Trib. Verona, 30 giugno 1995, Foro it., 1996, I, 303; Trib. Milano, 8 febbraio 2006, Giustizia a Milano, 2006, 13). Sono legittimati ad impugnare la deliberazione viziata i soci assenti, dissenzienti ed astenuti: in altre parole, tutti i soci che non abbiano concorso all'adozione della deliberazione. Conformemente all'obiettivo della riforma di favorire la stabilità dei processi decisionali della società, la legittimazione dei soci è subordinata al possesso di una certa aliquota del capitale sociale, aliquota che varia a seconda che la società faccia o meno ricorso al mercato del capitale di rischio. Il requisito del possesso può essere raggiunto anche congiuntamente da più soci. Peraltro, il terzo comma dell'articolo in commento consente allo statuto di ridurre o escludere il requisito in argomento, ma non di innalzare le soglie necessarie per l'impugnazione. La qualità di socio ed il possesso della porzione di capitale sociale che legittima all'impugnazione deve essere poi mantenuta per tutta la durata del processo: su punto, si rinvia al commento dell'art. 2378 comma 2. L'interesse del socio al potenziamento ed alla conservazione della consistenza economica della società è tutelabile esclusivamente con strumenti interni, tra cui la possibilità di insorgere contro le deliberazioni invalide, ma non implica la legittimazione ad agire, nei confronti dei terzi, per far annullare o dichiarare nulli anche i negozi intercorsi fra questi ultimi e la società, potendo tale validità essere contestata solo da quest'ultima, come si evince dall'obbligo, facente capo all'amministratore, di attivarsi nelle dovute forme per l'eliminazione degli effetti conseguenti all'accertato vizio (Cass. n. 29325/2021). Ha interesse ad impugnare la delibera anche il socio che, in ragione dell'entità della partecipazione al capitale sociale, non sarebbe in grado di opporsi all'approvazione di quella delibera (Trib. Roma, 17 ottobre 2016). Deve, invece, escludersi la legittimazione attiva della società ad impugnare le deliberazioni della propria assemblea (Cass., n. 17060/2012; Trib. Roma, 10 ottobre 2016). In caso di comproprietà di azioni, compete al rappresentante comune, in via esclusiva, il diritto di impugnare la deliberazione (Cass. n. 15962/2007). In caso di azioni sottoposte a sequestro giudiziario, unico soggetto legittimato a d impugnare la deliberazione è il custode. In caso di azioni sottoposte a pegno o usufrutto, occorre invece distinguere. Ai sensi dell'art. 2352, salva diversa convenzione, il diritto di voto spetta unicamente al creditore pignoratizio ed all'usufruttuario. Il diritto di impugnazione rientra, invece, nell'ambito dei diritti amministrativi che, in virtù dell'ultimo comma dell'art. 2352, spettano sia al socio che al creditore pignoratizio e all'usufruttuario (Grippo Bolognesi, in Tr. Res., 2011, 159). Tuttavia, è stato correttamente osservato che occorre distinguere l'ipotesi in cui l'usufruttuario o il creditore pignoratizio abbiano votato a favore della delibera da quella in cui essi abbiano espresso voto contrari o siano rimasti assenti o si siano astenuti. Mentre in questo secondo caso nessun problema sorge essendo certa la legittimazione (anche) del socio ad impugnare la deliberazione ritenuta invalida, nel primo caso, l'impugnazione del socio non sarebbe proponibile in quanto in contrasto con il comportamento dell'unico soggetto legittimato ad esprimere il voto (Bertolotti, 327). Si rinvia al commento sub art. 2378 par. 3. La legittimazione passivaL'impugnazione deve essere proposta esclusivamente nei confronti della società, unica legittimata passivamente a resistere avverso alla domanda di annullamento di una deliberazione a sé imputabile. Il socio non è, invece, legittimato a resistere all'azione d'impugnazione di una delibera assembleare (Trib. Roma, 10 ottobre 2016). L'intervento del socio per resistere all'impugnazione di delibera da altri proposta viene qualificato come intervento adesivo dipendente e da questa posizione processuale non deriva il diritto all'autonoma impugnazione della sentenza. Gli effetti della sentenza di annullamento sono, infatti, per il socio, riflessi e non diretti (in questo senso, App. Milano, 12 dicembre 2003, App. 28 ottobre 1980; ma si vedano anche le motivazioni poste a fondamento di Cass. n. 4652/2006). Parimenti, va esclusa la legittimazione processuale passiva degli amministratori e dei sindaci della società nella causa promossa da un socio per impugnare la delibera assembleare di revoca dell'incarico ad un amministratore (Trib. Milano, 18 aprile 2013; Trib. Milano, 20 dicembre 2007, Soc., 2009, 107, Cass., n. 4652/2006). La società sta in giudizio per mezzo del suo legale rappresentante: tuttavia, qualora questi versi in uno stato di conflitto di interessi (ad esempio, perché abbia impugnato la deliberazione) dovrà essere nominato un curatore speciale ai sensi dell'art. 78 c.p.c. (Trib. Padova, 20 maggio 2005, Corr. giur., 2005, 1260). Il termine per impugnareIl termine di decadenza (e non di prescrizione, Cass. n. 25945/2011) di novanta giorni previsto per poter legittimamente invocare l'annullamento della delibera assembleare decorre dalla data della deliberazione per le delibere che non siano soggette a deposito né ad iscrizione nel registro delle imprese; altrimenti, il termine inizierà a decorrere una volta adempiute le citate formalità. Allorquando in una stessa seduta dell'assemblea sociale vengano adottate deliberazioni plurime, sia pure contenute in unico verbale, il termine per l'impugnazione, che l'art. 2377 con decorrenza dalla data della deliberazione o da quella dell'iscrizione, a seconda che la deliberazione sia o meno soggetta all'iscrizione nel registro delle imprese, decorre in modo autonomo per le deliberazioni che appartengono all'una od all'altra categoria (Cass. n. 195/1963). Peraltro, in caso di deliberazione soggetta a deposito o iscrizione nel registro delle imprese, l'impugnazione può essere certamente proposta anche prima dell'esecuzione di tale adempimento (Trib. Genova, 29 settembre 1990, in Soc., 1991, 214). Superando un risalente indirizzo (Cass. n. 4494/1985) la giurisprudenza ha ritenuto che tra i termini processuali di cui all'art. 1 l. n. 742/1969, vada compreso anche il termine entro il quale il processo deve essere instaurato, quando l'azione in giudizio rappresenta l'unico strumento a tutela dei diritti dell'attore, con la conseguenza che la sospensione dei termini feriali previsti dalla norma richiamata si applica anche con riferimento al termine previsto dall'art. 2377 per l'impugnazione (Trib. Napoli, 25 febbraio 1998, in Foro it., 1999, I, 1026; Trib. Udine, 31 ottobre 1992, in Soc. 1993, 795 e, da ultimo, Trib. Milano, 3 novembre 2014; Trib. Milano, 12 febbraio 2013). Il decorso del termine di impugnazione non può comunque essere rilevato d'ufficio (Trib. Milano, 11 luglio 1994, Giur. it., 1995, I, 830), ma deve essere eccepito dalla società convenuta tempestivamente costituitasi. I limiti all'impugnazioneIl quinto comma dell'articolo in commento pone dei limiti all'impugnazione delle delibere viziate attraverso una generalizzazione della prova di resistenza (Grippo Bolognesi, in Tr. Res., 2011, 162). Con riferimento alla prima ipotesi, il legislatore condiziona la rilevanza della partecipazione all'assemblea di persone non legittimate al caso in cui tale partecipazione sia stata determinante ai fini della regolare costituzione dell'assemblea a norma degli artt. 2368 e 2369; qualora non sia influente a tali fini, la partecipazione di soggetti non legittimati non produce, di per sé, conseguenza alcuna (Bertolotti 295). In questa prospettiva, non vi è annullabilità della deliberazione neppure nel caso di esclusione dall'assemblea di persone legittimate, quando non risulti pregiudicata la formazione del quorum costitutivo (Angelici 713) e si accerti l'ininfluenza, ai fini della decisione, del voto che il soggetto escluso avrebbe potuto esprimere (Sacchi Vicari, 639). Tuttavia, tale conclusione appare incerta in quanto il soggetto escluso avrebbe avuto diritto non solo di esprimere il proprio voto, ma anche di partecipare alla discussione e, dunque, di influire, attraverso essa, sul convincimento degli altri soci e, in definitiva, sulla decisione finale. In questa prospettiva, il diritto di intervento ha una valenza autonoma, sganciata dal diritto di voto (Bertolotti 296). Il procedimento assembleare, di cui la discussione rappresenta un momento saliente, pur essendo imposto a protezione dei singoli soci, è finalizzato anche alla tutela di un'esigenza di carattere generale, operando come strumento delle minoranze societarie, con la conseguenza che l'articolazione e la disciplina del procedimento medesimo sono sottratte alla disponibilità dei soci, e che le regole di esso implicano per ciascuno degli intervenuti il diritto di poter esprimere, in contraddittorio con gli altri, la propria opinione, al fine di orientare, nel senso da lui auspicato, la decisione finale (Cass. n. 14554/2008). La deliberazione non può essere annullata, poi, per l'invalidità di singoli voti o per il loro errato conteggio, salvo che il voto invalido o l'errore di conteggio siano stati determinanti ai fini del raggiungimento della maggioranza richiesta. L'ultima ipotesi è costituita dalla incompletezza o dalla inesattezza del verbale che non importano l'annullamento della deliberazione ove non impediscano l'accertamento del contenuto, degli effetti e della validità della deliberazione. Le irregolarità, che possono afferire alle modalità di redazione del verbale ed alla inidoneità di esse ai fini della ricostruzione dell'andamento dell'assemblea, possono unicamente determinare una responsabilità risarcitoria. Si ritiene che la prova dell'inesattezza del verbale possa essere fornita anche attraverso la prova testimoniale. La tutela risarcitoriaAi sensi del quarto comma dell'articolo in commento, i soci che non sono legittimati a proporre l'impugnativa hanno diritto al risarcimento del danno loro cagionato dalla non conformità della deliberazione alla legge o allo statuto (si vedano, sul punto, in particolare, i testi di Guerrera, 2004; La Marca). Il rimedio è dato anche al socio in caso di sostituzione della deliberazione (ai sensi del comma 8) ovvero che abbia perso, nel corso del giudizio, la legittimazione ad ottenere la pronunzia di invalidità (Bertolotti, 366), L'azione è sottoposta al medesimo termine di decadenza stabilito per l'impugnazione (Guerrera, 2004, 234 che evidenzia le ragioni di stabilità sottese a simile previsione; La Marca, 307). La legge non chiarisce espressamente chi risponde dell'obbligazione risarcitoria. Si ritiene che l'azione debba essere intentata nei confronti della società (che è il contraddittore nelle azioni di annullamento) (Guerrera, 2004, 337 ss). Si evidenzia, però, che ponendo a carico della società l'obbligazione risarcitoria, quest'ultima comporterà un depauperamento del patrimonio sociale e, dunque, indirettamente, anche del patrimonio del socio attore (sul punto, La Marca, 245 ss.). Quanto al danno risarcibile, si ritiene che esso sia costituito non solo dal danno direttamente subito dalla persona del socio, ma anche il danno subito alla partecipazione azionaria e, quindi, il danno riflesso rispetto al pregiudizio subito dal patrimonio sociale (Sacchi Vicari, 677; Guerrera, 2004, 397; contra Stagno d'Alcontres, 186). La sostituzione della deliberazioneL'ottavo comma dell'articolo in commento prevede che l'annullamento della deliberazione non può aver luogo, se la deliberazione impugnata è sostituita con altra presa in conformità della legge e dello statuto; in tal caso il giudice provvede sulle spese di lite, ponendole di norma a carico della società, e sul risarcimento dell'eventuale danno. La norma, sebbene formulata con riferimento all'annullamento oggetto del giudizio, ha valenza non processuale, ma sostanziale (Bertolotti, 317) in quanto il nuovo intervento dell'assemblea prescinde del tutto dalla proposizione da parte di uno dei soggetti legittimati dell'impugnativa, perseguendo lo scopo di prevenire la lite, stabilizzando gli effetti di una delibera invalida (Grippo-Bolognesi, in Tr. Res., 2011, 169, Revigliono, 30; Di Girolamo, 1759). Sul punto, i soci devono manifestare espressamente un chiaro intento soppressivo del vizio da cui era affetta la precedente deliberazione e la volontà di sostituire la precedente delibera con un'altra esente da vizi (Trib. Bologna, 18 agosto 2005, Soc., 2006, 1009). Quanto al contenuto della nuova deliberazione, mentre una parte della dottrina evidenziava la necessità che la deliberazione sostitutiva avesse il medesimo contenuto di quella sostituita (Zanarone, 371), altra parte osserva come sia essenziale che il rapporto tra le due delibere riveli che lo scopo perseguito dai soci sia stato effettivamente raggiunto non potendosi così escludere che la seconda delibera abbia un contenuto o un oggetto più ampio di quello sanato (Bertolotti 319, Guerrieri, 563; Revigliono, 83 che però riconosce limitate discrepanze). Al giudice spetta comunque di valutare la validità della deliberazione sostitutiva (Lener Tucci, 248; Zanarone, 374; Bertolotti, 319) e, quindi, di accertare, ai fini della condanna alle spese di lite, la soccombenza virtuale e, dunque, la fondatezza dell'originaria impugnazione della delibera sostituita (Di Girolamo, 1760). Il giudice, poi, provvedere anche sull'eventuale risarcimento del danno. Secondo una parte della dottrina la possibilità di ottenere una simile pronunzia sarebbe subordinata all'originaria formulazione della relativa domanda, nel rispetto delle preclusioni del sistema processuale in quanto la norma non autorizzerebbe comunque una remissione in termini ovvero una mutatio libelli (Scala, 292). Tuttavia, la maggioranza degli autori ritiene l'ammissibilità della domanda proposta a seguito dell'intervenuta sostituzione della delibera e ciò in quanto l'effetto preclusivo alla pronunzia di annullamento deriverebbe da un comportamento della maggioranza non prevedibile al momento dell'introduzione del giudizio, mentre l'interesse ad una pronunzia (solamente) risarcitoria potrebbe non essere originario, ma sorgere soltanto a seguito della sostituzione della delibera (Sacchi Vicari, 676; Revigliono, 936; Bertolotti, 322). Deve riconoscersi il potere dell'assemblea generale e degli altri organi collegiali di un'associazione non riconosciuta come persona giuridica di rimuovere (annullare) le proprie deliberazioni invalide senza necessità di impugnare giudizialmente la deliberazione, bensì adottando una nuova deliberazione immune da vizi. La nuova deliberazione prevista nel comma ultimo dell'art. 2377 emessa dallo stesso organo che ha invalidamente deliberato la precedente non deve necessariamente avere il contenuto della prima. Diversamente da una delibera di revoca alla quale è posto l'ostacolo dei diritti quesiti, la deliberazione di annullamento travolge, al pari di una sentenza di annullamento, i diritti che la deliberazione annullabile aveva attribuito ai soci (Cass. n. 22762/2012; Trib. Padova, 24 novembre 2005, Soc., 2007, 325; Cass. n. 7754/1987; Cass. n. 16017/2008; Cass. n. 11961/2004; Cass. n. 19160/2007; Trib. Lucca, 23 gennaio 2014, n. 111). Dalla sostituzione della deliberazione viziata si distingue la fattispecie della revoca (o «autoannullamento») della delibera da parte della stessa società che consiste nella eliminazione completa della deliberazione precedente invalida. Si tratta di una ipotesi certamente ammissibile, anche se è discusso se essa travolta i diritti acquisiti dai terzi: si ritiene applicabile anche a tale ipotesi la previsione, stabilita per il caso di sostituzione della delibera, dell'ultimo comma dell'art. 2377 con riferimento alla salvezza dei diritti dei terzi con la conseguenza che l'annullamento o la revoca della deliberazione produrrebbero effetti retroattivi solo nei confronti dei soci (Grippo Bolognesi, in Tr. Res., 2011, 171; Guerrieri, 564, nt. 227). Gli effetti della sentenza di annullamentoL'annullamento della deliberazione ha effetto rispetto a tutti i soci ed obbliga l'organo amministrativo a prendere i conseguenti provvedimenti sotto la propria responsabilità. L'annullamento della deliberazione ha effetto retroattivo estinguendo le posizioni giuridiche create dalla delibera medesima. (Zanarone, 343). Le delibere assembleari, una volta divenuta definitiva la pronuncia di annullamento, devono considerarsi come mai validamente approvate, il che impone alla società di adottare nuovamente sia le delibere annullate, sia quelle successive travolte dagli effetti del passaggio in giudicato della sentenza di annullamento, e di adempiere ex novo gli obblighi di legge previsti per ciascuna delibera (App. Milano, 31 gennaio 2003, Giur. it., 2003, 1178). Si osserva però che l'annullabilità di una delibera di aumento del capitale sociale, laddove non ne sia stata disposta la sospensione dell'esecuzione ai sensi dell'art. 2378, comma 3, non incide — ancorché ne possa derivare una modifica della composizione della maggioranza allorquando non sia stata seguita dall'integrale esercizio del diritto di opzione da parte dei vecchi soci — sulla validità delle successive deliberazioni adottate con la nuova maggioranza, poiché l'omessa adozione del provvedimento di sospensione rende legittimi gli atti esecutivi della prima deliberazione, resistendo, peraltro, tale legittimità anche al sopravvenire del suo annullamento, la cui efficacia, sebbene in linea di principio retroattiva, è pur sempre regolata dalla legge ed operante nei soli limiti da essa sanciti, tanto rivelandosi affatto coerente con le esigenze di certezza e stabilità sottese alla disciplina delle società commerciali (Cass. n. 4946/2013). Al di fuori dei casi di declaratoria di nullità o di annullamento della delibera assembleare, il giudicato formatosi nei confronti di soggetti diversi non può fare stato nei confronti del colegittimato non partecipante al giudizio. Pertanto, la sentenza, passata in giudicato, di rigetto della domanda di annullamento o di nullità della delibera assembleare di una società non fa stato nei confronti del socio (o, come nella specie, di un legatario avente causa dal socio) che sia rimasto estraneo a quel giudizio (Cass. n. 10139/2007) BibliografiaAbbadessa, L'assemblea: competenza, in Trattato Colombo-Portale, 3, 1, Torino, 1994; Abriani, L'assemblea, in Abriani, Ambrosini, Cagansso, Montalenti, Le società per azioni, in Tratt. 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