Codice Civile art. 2384 - Poteri di rappresentanza (1).Poteri di rappresentanza (1). [I]. Il potere di rappresentanza attribuito agli amministratori dallo statuto o dalla deliberazione di nomina è generale. [II]. Le limitazioni ai poteri degli amministratori che risultano dallo statuto o da una decisione degli organi competenti non sono opponibili ai terzi, anche se pubblicate, salvo che si provi che questi abbiano intenzionalmente agito a danno della società. (1) Articolo sostituito dall' art. 1 d.lg. 17 gennaio 2003, n. 6 , con effetto dal 1° gennaio 2004. La legge ha modificato l’intero capo V, ed è stata poi modificata e integrata dal d.lg 6 febbraio 2004, n. 37, la cui disciplina transitoria è dettata dall'art. 6. InquadramentoCome già evidenziato, agli amministratori compete un potere generale di gestione della società e, quindi, il potere deliberativo diretto a formare la volontà dell'ente in ordine ad ogni decisione funzionale al raggiungimento dell'oggetto sociale. Diverso dal potere gestorio è il potere rappresentativo consistente nella potestà conferita all'amministratore di impersonare la società nei rapporti esterni, manifestando all'esterno la volontà sociale, e di impegnarla giuridicamente verso i terzi. In questo quadro, il primo comma dell'articolo in commento prevede che il potere di rappresentanza attribuito agli amministratori dallo statuto o dalla deliberazione di nomina è generale. Secondo l'opinione maggioritaria, la norma configura la rappresentanza istituzionale come un potere originario che la legge attribuisce agli amministratori in quanto funzione necessaria in vista dell'attuazione del programma sociale (Calabra Buonaura, 130; Aiello, in Tr. Res. 2011, 78). La rappresentanza, tuttavia, sebbene funzione istituzionalmente e inderogabilmente collegata al potere gestorio (Mosco, 607; Aiello, in Tr. Res. 2011, 79), non viene attribuita dalla legge automaticamente ad ogni amministratore, in quanto essa trova la sua fonte, secondo il disposto dell'art. 2384, nello statuto o nella deliberazione di nomina degli amministratori. D'altra parte, l'art. 2328 comma 2, n. 9 prevede che l'atto costitutivo stabilisca il numero dei soggetti preposti all'amministrazione della società e le relative prerogative, con specificazione di quali tra essi godano della facoltà di impegnare direttamente la società verso i terzi (Aiello, in Tr. Res. 2011, 79). In mancanza di una norma statutaria, l'assemblea, con la delibera di nomina, potrà attribuire i poteri rappresentativi a taluno soltanto degli amministratori. In difetto di ogni previsione, sia statutaria che deliberativa, il potere di rappresentanza compete a ciascun amministratore. Anche nelle società per azioni, in mancanza di limitazioni previste dall'atto costitutivo, il potere rappresentativo degli amministratori si accompagna a quello gestionale e, in caso di pluralità di amministratori, si tratta di un potere rappresentativo a carattere disgiunto come può argomentarsi dalla regola generale del carattere disgiunto (di norma) dell'amministrazione della società che spetti a più soci (art. 2257 comma 1), dei quali ognuno ha in generale la rappresentanza della società (art. 2266 comma 2) (Cass. n. 18574/2007). Il carattere generale della rappresentanza. La rappresentanza processualeIl primo comma della disposizione in commento dispone che il potere di rappresentanza è «generale». Con l'abrogazione del previgente art. 2384 bis, è venuto meno il limite legale per relationem costituito dall'oggetto sociale: in questa prospettiva, sussiste una scissione tra potere gestionale e potere rappresentativo ossia tra attività amministrativa interna (fase decisionale delle operazioni sociali) ed esterna (attuazione con i terzi delle operazioni sociali) (Spiotta, 614), che restano tra loro indipendenti ed autonomi (Calandra Buonaura, 659; Mosco 607). In questa prospettiva, l'osservanza dell'oggetto sociale, pur costituendo un vincolo all'attività amministrativa nei rapporti endosocietari, rimane irrilevante nei rapporti di terzi così che gli atti ultra vires rimangono validi ed efficaci per la società (Aiello, in Tr. Res. 2011, 81). Il carattere generale del potere di rappresentanza è stato affermato anche nella giurisprudenza (Trib. Napoli, 19 novembre 2008). In tema di rappresentanza processuale delle persone giuridiche che, ai sensi dell'art. 75 c.p.c., spetta al soggetto al quale è conferita a norma di legge o dello statuto, la capacità di agire o resistere in giudizio in nome e per conto delle società di capitali, essa è attribuita ai sensi del comma 1 dell'art. 2384, agli amministratori che abbiano la rappresentanza esterna, salve peraltro le deroghe stabilite dall'atto costitutivo e dallo statuto, che sono senz'altro opponibili dai terzi, atteso che il principio di cui al comma 2 dell'art. 2384 — secondo cui le limitazioni del potere di rappresentanza risultanti dall'atto costitutivo o dallo statuto sono opponibili soltanto se si provi che i terzi abbiano agito intenzionalmente in danno della società — ha effetti limitati alla tutela dei terzi e per certi versi dell'onere gravante sull'amministratore di provare la sussistenza dei poteri spesi (Cass. n. 9199/2004; Cass. n. 14455/2003; Cass. S.U., n. 8681/1995). Le limitazioni al potere di rappresentanzaNell'ottica di un rafforzamento della tutela dei terzi, il secondo comma dell'articolo in commento prevede che le limitazioni ai poteri degli amministratori che risultano dallo statuto o da una decisione degli organi competenti non sono opponibili ai terzi, anche se pubblicate, salvo che si provi che questi abbiano intenzionalmente agito a danno della società. In altre parole, i limiti ai poteri di rappresentanza, ancorché iscritti nel registro delle imprese, possono essere opposti ai terzi solo se si provi che abbiano agito intenzionalmente a danno della società, ossia in caso di dolo diretto di questi ultimi. La norma non vieta all'autonomia privata di circoscrivere le prerogative degli amministratori, ma confina la rilevanza di tali limitazioni al profilo endosocietario, confermando, nei confronti dei terzi, la validità e l'efficacia dell'atto compiuto (Calandra Buonaura, 660; Aiello, in Tr. Res. 2011, 82). Anche in giurisprudenza si afferma che qualora lo statuto di una società di capitali preveda la dissociazione tra potere di rappresentanza e potere di gestione degli amministratori, l'atto compiuto dal legale rappresentante senza la previa deliberazione del consiglio di amministrazione è efficace, non essendo opponibile al terzo, ai sensi dell'art. 2384 quella limitazione (Cass. n. 1525/2006; Cass. n. 18574/2007, Cass. n. 13442/2005). È inopponibile ai terzi la clausola statutaria che limita i poteri di rappresentanza del presidente alla sola ordinaria amministrazione poiché l'art. 2384 circoscrive la rilevanza delle limitazioni rappresentative nei confronti dei terzi alle ipotesi stabilite dalla legge, individuate con un generico riferimento agli atti che rientrano nell'oggetto sociale senza distinguere tra ordinaria e straordinaria amministrazione (Cass. n. 789/1981). Più di recente, la giurisprudenza ha affermato che l'eccedenza dell'atto rispetto ai limiti dell'oggetto sociale, ovvero il suo compimento al di fuori dei poteri conferiti, non integra un'ipotesi di nullità, ma, al più, di inefficacia e di opponibilità nei rapporti con i terzi e, posto che è rimesso alla società, e solo ad essa, respingere gli effetti dell'atto, deve correlativamente essere riconosciuto alla società il potere di assumere ex tunc quegli effetti, attraverso la ratifica, ovvero di farli preventivamente propri, attraverso una delibera autorizzativa, capace di rimuovere i limiti del potere rappresentativo dell'amministratore (Cass. n. 5522/2015; Cass. n. 9905/2008). La firma congiuntaLa previsione, nello statuto di una società, della firma congiunta degli amministratori non si traduce in una regola sull'esercizio del potere di rappresentanza degli amministratori medesimi ma costituisce una limitazione di tale potere perché, implicando la necessità dell'esercizio congiunto della funzione rappresentativa, nega il potere rappresentativo dell'amministratore che agisce senza la partecipazione dell'altro; essa, conseguentemente, ai sensi del comma 2 dell'art. 2384, non è opponibile ai terzi, salvo che si provi che questi abbiano intenzionalmente agito in danno della società (Cass. n. 12420/1995; Cass. n. 13442/2005). L'exceptio doliL'unico temperamento alla protezione dell'affidamento sociale è costituito dall'exceptio doli. I limiti ai poteri di rappresentanza, ancorché iscritti nel registro delle imprese, possono essere opposti ai terzi solo se si provi che abbiano agito intenzionalmente a danno della società, ossia in caso di dolo diretto di questi ultimi. In tal caso, quello che rileva è solo l'atteggiamento del terzo: ove questi tratti con la società con dolo intenzionale, a danno di questa, i limiti gli possono essere opposti, non importa se risulti eseguita o meno la pubblicazione presso il registro delle imprese (Nazzicone, 58). Si avverte che per l'opponibilità al terzo contraente della limitazione dei poteri di rappresentanza degli organi di una società di capitali, il dolo di cui al comma 2 dell'art. 2384 consiste nella coscienza e volontà del terzo di stipulare col rappresentante sfornito di poteri un atto che possa arrecare danno oggettivo alla società, non essendo richiesto lo specifico proposito di esso, poiché il concetto di dolo di cui alla norma citata va configurato nello stesso senso del dolo generico previsto dal codice penale. Tale dolo, poiché verte su di un fatto psichico, può legittimamente desumersi in via presuntiva (Cass. n. 4914/1988). L'inopponibilità delle limitazioni del potere di rappresentanza soggiacciono non soltanto alla condizione della prova della malafede del terzo, essendo esclusa la rilevanza della mera conoscenza effettiva dell'esistenza di limitazioni da parte del terzo, ma anche dall'ulteriore elemento dell'accordo fraudolento o comunque del comportamento teso a danneggiare, almeno potenzialmente, la società (Cass. n. 14509/2000; Cass. n. 7180/2000). BibliografiaAbbadessa, La gestione dell'impresa nelle società per azioni. Profili organizzativi, Milano, 1974; Abbadessa, Il direttore generale, in Tr. 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