Codice Civile art. 2389 - Compensi degli amministratori (1).

Guido Romano

Compensi degli amministratori (1).

[I]. I compensi spettanti ai membri del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo sono stabiliti all'atto della nomina o dall'assemblea.

[II]. Essi possono essere costituiti in tutto o in parte da partecipazioni agli utili o dall'attribuzione del diritto di sottoscrivere a prezzo predeterminato azioni di futura emissione.

[III]. La rimunerazione degli amministratori investiti di particolari cariche in conformità dello statuto è stabilita dal consiglio di amministrazione, sentito il parere del collegio sindacale. Se lo statuto lo prevede, l'assemblea può determinare un importo complessivo per la remunerazione di tutti gli amministratori, inclusi quelli investiti di particolari cariche.

(1) Articolo sostituito dall' art. 1 d.lg. 17 gennaio 2003, n. 6 , con effetto dal 1° gennaio 2004. La legge ha modificato l’intero capo V, ed è stata poi modificata e integrata dal d.lg 6 febbraio 2004, n. 37, la cui disciplina transitoria è dettata dall'art. 6.

Inquadramento

L'ordinamento riconosce agli amministratori delle società di capitali il diritto ad un compenso per l'attività da essi svolta per conto della società: in tal senso è del tutto pacifica la giurisprudenza (Cass. n. 2755/1969; Cass. n. 1489/1987) la quale ha correttamente qualificato in termini di diritto soggettivo perfetto la pretesa dell'amministratore di una società al compenso per l'opera prestata (così, Cass. n. 16764/2005; Trib. Trapani, 7 gennaio 2010).

La carica si presume, dunque, onerosa (Trib. Firenze, 18 marzo 2002): ai fini dell'esclusione della onerosità del rapporto è, infatti, necessaria una rinunzia espressa o tacita (Cass. n. 4261/2009). Anche l'amministratore dimissionario ha diritto al compenso e tale diritto permane fino al momento della sua sostituzione (App. Bologna 19 maggio 1979).

L'amministratore è legato da un rapporto di tipo societario che, in considerazione dell'immedesimazione organica che si verifica tra persona fisica ed ente e dell'assenza del requisito della coordinazione, non è ricompreso in quelli previsti dal n. 3 dell'art. 409 c.p.c. Ne deriva che i compensi spettantigli per le funzioni svolte in ambito societario sono pignorabili senza i limiti previsti dall'art. 545 c.p.c. (Cass. S.U., 1545/2017).

Dalla natura di diritto soggettivo del compenso deriva che, ove l'assemblea non provveda alla determinazione ovvero lo determini in misura manifestamente inadeguata, l'amministratore può rivolgersi al tribunale per la sua determinazione (Cass. n. 1647/1997; Cass. n. 2895/1991). Discende ulteriormente che il diritto dell'amministratore al compenso nella misura deliberata dall'assemblea costituisce un diritto individuale, che non può venire escluso o limitato con una successiva deliberazione assembleare (Trib. Milano, 8 maggio 1991).

Costituendo il compenso l'oggetto di un diritto di credito dell'amministratore nei confronti della società, l'amministratore che paga un debito sociale riconducibile ad un proprio emolumento non è responsabile verso la società per distrazione dei relativi importi (Cass. n. 434/2012).

Si verifica, poi, che lo stesso soggetto ricopra cariche amministrative in più società facenti parte del medesimo gruppo. In assenza di una espressa rinunzia da parte dell'amministratore al compenso dovutogli per l'attività professionale svolta, non può ritenersi che all'amministratore di una società appartenente ad un gruppo non spetti il compenso per lo svolgimento dell'incarico svolto in favore di una diversa società appartenente al medesimo gruppo. Tuttavia, il compenso dell'amministratore di più società può essere determinato in maniera unitaria qualora vi sia unitarietà della struttura, complementarietà dell'attività, identità della compagine e dei collegi sindacali, salvo che l'attore non provi di aver prestato attività separata per ciascuna delle società amministrate, sì da determinare distinti compensi partitamente valutabili (Trib. Roma, 12 settembre 2012).

La determinazione da parte dell'assemblea

Qualora non sia stabilita nello statuto, per la determinazione della misura del compenso degli amministratori è necessaria una esplicita delibera assembleare, che non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio, attesa: la natura imperativa e inderogabile della previsione normativa, discendente dall'essere la disciplina del funzionamento delle società dettata, anche, nell'interesse pubblico al regolare svolgimento dell'attività economica, oltre che dalla previsione come delitto della percezione di compensi non previamente deliberati dall'assemblea; la distinta previsione delle delibera di approvazione del bilancio e di quella di determinazione dei compensi (art. 2364, n. 1 e 3); la mancata liberazione degli amministratori dalla responsabilità di gestione, nel caso di approvazione del bilancio (art. 2434); il diretto contrasto delle delibere tacite ed implicite con le regole di formazione della volontà della società (art. 2393, comma 2). Conseguentemente, l'approvazione del bilancio contenente la posta relativa ai compensi degli amministratori non è idonea a configurare la specifica delibera richiesta dall'art. 2389 cit., salvo che un'assemblea convocata solo per l'approvazione del bilancio, essendo totalitaria, non abbia espressamente discusso e approvato la proposta di determinazione dei compensi degli amministratori (Cass. S.U., n. 21933/2008). Si è però precisato che – ove il compenso sia stato già in precedenza determinato – l'approvazione del bilancio che contenga l'indicazione del debito relativo a quel compenso valga come riconoscimento di debito e, quindi, come fatto interruttivo della prescrizione del diritto al compenso. E va da sé che tale distinzione appare razionalmente comprensibile se si pone mente al carattere negoziale della determinazione del compenso e, al contrario, al carattere non negoziale del riconoscimento di debito (Trib. Roma, 17 ottobre 2016).

Per converso, l'approvazione di un bilancio che non prevede il compenso per gli amministratori non comporta rinunzia implicita al compenso anche se l'amministratore abbia concorso, con il proprio voto, all'approvazione del bilancio (Trib. Roma, 12 settembre 2012).

Quanto alla possibilità (ed i limiti) per il socio-amministratore di votare nell'assemblea in cui viene deliberato il compenso ed alla conseguente problematica in ordine al conflitto di interessi, cfr., sub art. 2373.

La determinazione del compenso da parte del giudice

In ragione dell'inquadramento del compenso nell'ambito del diritto soggettivo, ove l'assemblea di una società di capitali, in mancanza di una disposizione nell'atto costitutivo, si rifiuti od ometta di stabilire il compenso spettante all'amministratore ai sensi degli artt. 2364 e 2389, o lo determini in misura manifestamente inadeguata, l'amministratore può chiedere al giudice la determinazione di esso, così come è espressamente previsto per il mandatario (art. 1709). (Cass. n. 2895/1991; Cass. n. 1647/1997; Cass. n. 12592/2010). In tale prospettiva, infatti, in mancanza di determinazione da parte dell'atto costitutivo ovvero dell'assemblea, rimangono prive di effetti altre eventuali forme di determinazione, tra cui l'accordo orale eventualmente intervenuto fra amministratore e socio di maggioranza, con conseguente attribuzione del carattere di indebito oggettivo al compenso corrisposto, sulla base di un simile accordo, in mancanza del fatto costitutivo previsto dalla legge (cfr., Trib. Bari IV, 22 aprile 2010, n. 1394).

Peraltro, il giudice può intervenire non solo supplendo alla carenza di ogni determinazione del compenso, ma anche qualora esso, pur determinato, sia divenuto nel tempo manifestamente inadeguato essendo l'impegno necessario per l'attività gestoria aumentato nel tempo. Si afferma, in giurisprudenza, che qualora il giudice di merito accerti che tra una società di capitali ed il suo amministratore è intercorso soltanto il rapporto di natura organica derivante dal mandato ad amministrare — al quale sono, pertanto, riconducibili le prestazioni dell'amministratore — quest'ultimo può esercitare una specifica azione giudiziaria al fine di ottenere l'adeguamento del compenso previsto dagli artt. 2364 e 2389, ove ritenga insufficiente il compenso stesso, avuto riguardo alla crescente entità ed importanza dell'opera prestata, e non può, di conseguenza, proporre, ostandovi il disposto dell'art. 2042, l'azione generale di arricchimento indebito — di natura sussidiaria — di cui all'art. 2041, per chiedere, in aggiunta al suddetto compenso, un indennizzo proporzionato all'asserito maggior impegno profuso (Cass. n. 2679/1990). È, però, fatta salva l'ipotesi in cui, trattandosi di diritti disponibili, la delibera assembleare sia stata dall'amministratore accettata e posta in esecuzione senza riserve (Cass. n. 12592/2010).

Nel giudizio instaurato dall'amministratore per ottenere il pagamento del compenso, la società può far valere quale eccezione riconvenzionale, ai sensi degli artt. 1218 e 1460 c.c., l'inadempimento o l'inesatto adempimento degli obblighi assunti dall'amministratore in osservanza dei doveri imposti dalla legge o dall'atto costituivo, la cui violazione integra la responsabilità ex art. 2476, comma 1, c.c., venendo in rilievo non il rapporto di immedesimazione organica, bensì il nesso sinallagmatico di tipo contrattuale tra adempimento dei doveri e diritto al compenso (Cass., n. 29252/2021).

È dubbia la competenza in materia di controversie inerenti al diritto al compenso degli amministratori. In particolare, si osserva che, oggi, l'art. 3 comma 2, lett. a), d.lgs., 27 giugno 2003, n. 168, (nel testo modificato dall'art. 2 d.l. 24 gennaio 2012, n. 1) devolve alla cognizione delle Sezione specializzate in materia di impresa le cause aventi ad oggetto «rapporti societari».

Tale previsione si presenta idonea a comprendere «tutti i rapporti societari», cioè, secondo il significato dell'aggettivo societario, «di società». Ora, fra essi non può non comprendersi, data l'essenzialità del rapporto di rappresentanza in capo agli amministratori come rapporto che, essendo funzionale, secondo la figura della c.d. immedesimazione organica, alla vita della società, consente alla società di agire, il rapporto fra società e amministratori. Tale rapporto è rapporto «di società», perché serve ad assicurare l'agire della società: i compiti che la società affida al suo amministratore riguardano la gestione stessa dell'impresa, costituita da un insieme variegato di atti materiali, negozi giuridici ed operazioni complesse, sicché, quand'anche taluni di questi atti ed operazioni possano compararsi all'attività di un prestatore d'opera, il rapporto che intercorre tra amministratore e società non può essere equiparato, in ragione del rapporto di immedesimazione organica tra essi esistente, a quello derivante dal contratto d'opera, intellettuale o non intellettuale (Cass. n. 22046/2014;  Cass. ord. n. 14639/2015, contra Cass. ord. n. 11448/2014).

Alla luce di una simile ricostruzione, le controversie aventi ad oggetto la determinazione del compenso degli amministratori devono ritenersi attratte alla competenza delle Sezioni specializzate in materia di impresa (così, nella giurisprudenza di merito, Trib. Roma, 28 settembre 2015, n. 19214; Trib. Milano, 12 giugno 2015, che ha ritenuto di competenza del giudice ordinario e non del giudice del lavoro) l'opposizione al decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento di somme relative ad emolumenti dovuti agli amministratori di S.p.A.; sul punto, anche Trib. Roma, 12 settembre 2012, n. 17050, che, prima dell'istituzione delle sezioni specializzate, aveva ritenuto che le controversie in esame fossero soggette al rito societario).

I criteri di determinazione del compenso

Si ritiene che il compenso degli amministratori debba essere adeguato e ragionevole (Santosuosso, 361; Mosco, 635): il primo parametro si riferisce alla attività svolta dagli amministratori, il secondo alle dimensioni della società amministrata (Spiotta, 485).

Quanto alla concreta determinazione del compenso medesimo, se è vero che la stessa non può, per sua natura, che essere dominata dal criterio dell'equità, è altrettanto vero che tale criterio deve trovare sicuro aggancio in un criterio di proporzione con l'entità della prestazione in concreto eseguita e con il risultato fatto conseguire alla società (Cass. n. 352/1970; Cass. n. 396/1967; Trib. Roma, 12 settembre 2012). In particolare, diversi sono i criteri individuati ai fini della determinazione del giusto compenso e in base ai quali il giudice deve adottare la propria decisione: la situazione societaria, la resa economica e l'impegno dell'amministratore, l'importanza dell'attività prestata (Cass. n. 2679/1990), la situazione economica e gli utili conseguiti (Trib. Roma, 11 marzo 2005; Lodo arbitrale, 8 settembre 2005), i criteri di determinazione del compenso adottati nei precedenti esercizi (Trib. Milano, 11 novembre 1993), il compenso corrente nel mercato per analoghe prestazioni, in relazione a società di simili dimensioni (Cass. n. 15942/2007; Trib. Milano, 30 giugno 2008).

Va da sé che tali elementi debbono costituire, sulla base degli ordinari criteri di riparto di cui all'art. 2697, oggetto di specifica attività assertiva e probatoria da parte dell'attore che agisce al fine di ottenere la liquidazione del compenso spettantegli.

Il compenso degli amministratori investiti di particolari cariche

L'amministratore di società cui sia demandato lo svolgimento di attività estranee al rapporto di amministrazione ha per queste diritto ad una speciale remunerazione ai sensi del terzo comma della disposizione in commento (Cass. n. 2861/2002). Più precisamente si afferma che gli amministratori hanno diritto ad una speciale remunerazione per le prestazioni che siano state effettuate in ragione di particolari cariche e che quindi esulino dal normale rapporto di amministrazione (Cass. n. 11023/2000), rientrando tra le prestazioni tipiche dell'amministratore soltanto quelle inerenti all'attività di gestione ed amministrazione sociale (App. Milano, 30 maggio 2007).

Come è stato correttamente osservato anche in dottrina, il problema che pone la norma in esame è essenzialmente costituito dall'individuazione delle prestazioni ulteriori e diverse: infatti, una volta ampliato il raggio dei poteri gestori, tutte le prestazioni poste in funzione della carica sociale rivestita entrano necessariamente a far parte del rapporto di amministrazione (sul punto, Spiotta, 498).

Sono state ritenute idonee a giustificare il compenso ulteriore l'attività dell'amministratore di una società cooperativa avente ad oggetto l'assistenza ai lavori relativi alla costruzione di case economico — popolari da assegnare in proprietà ai soci (Cass. n. 2861/2002) ovvero l'attività di esame, da parte dell'amministratore-ingegnere di una società di progettazione, dei progetti eseguiti da consulenti esterni (Cass. n. 3284/1969).

La disponibilità del diritto al compenso

Il diritto al compenso è disponibile; sicché la clausola statutaria che prevede la gratuità dell'incarico è legittima, trattandosi di attività non equiparabile ad una prestazione di lavoro subordinato in senso stretto e non essendo perciò ad essa applicabile il principio costituzionale della retribuzione proporzionata e sufficiente (Cass. n. 2861/2002; parzialmente diverso Trib. L'Aquila, 14 aprile 2006).

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