Codice Civile art. 2395 - Azione individuale del socio e del terzo (1).Azione individuale del socio e del terzo (1). [I]. Le disposizioni dei precedenti articoli non pregiudicano il diritto al risarcimento del danno spettante al singolo socio o al terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti colposi o dolosi degli amministratori. [II]. L'azione può essere esercitata entro cinque anni dal compimento dell'atto che ha pregiudicato il socio o il terzo. (1) V. nota al Capo V. InquadramentoL'articolo 2395 costituisce una norma di chiusura del sistema codicistico della responsabilità civile degli amministratori di società di capitali in quanto tale applicabile a tutte le società sia di persone (Cass. n. 17283/2010; Cass. n. 16416/2007) sia di capitali sia, infine, cooperative (Cass. n. 6469/1983). L'azione in argomento è volta a tutelare gli interessi individuali dei titolari di diritti non protetti dagli artt. 2393 e 2394 (Spiotta, 929). Infatti, il novero dei soggetti tutelati dalla disciplina sulla responsabilità degli amministratori non si esaurisce nella società e nei creditori, perché l'offensività delle condotte può colpire direttamente i soci e, anche, soggetti estranei alla compagine societaria (Ambrosini, 170). La natura dell'azioneLa responsabilità del danno arrecato al patrimonio del socio o del terzo presuppone un fatto illecito degli amministratori, consistente in una violazione dolosa o colposa dei doveri che derivano dal mandato gestorio (sul punto, in dottrina Pinto, 920). La giurisprudenza del tutto maggioritaria ritiene che la responsabilità delineata dalla norma in commento debba essere ascritta nell'alveo della responsabilità extracontrattuale (Cass. n. 22573/2014; Cass. n. 8458/2014; Cass. n. 15220/2010; Cass. n. 6870/2010; Cass. n. 4817/1988; Trib. Milano, 13 maggio 2011; App. Catanzaro, 22 marzo 2010) in ragione dell'assenza di un rapporto negoziale che lega il socio (in quanto tale) ed il terzo all'amministratore. Appare, infatti, del tutto evidente come l'art. 2395, parlando di atti colposi o dolosi degli amministratori, si ponga, anche sotto il profilo della formulazione letterale, nell'alveo della clausola generale di cui all'art. 2043 di cui, sostanzialmente, costituisce una fattispecie legale che si caratterizza per l'inquadramento nella tipologia della lesione o dell'aspettativa di credito. In altre parole, ad integrare la fattispecie normativa è la violazione del precetto del neminem laedere, con conseguente applicazione delle norme in materia di responsabilità aquiliana. Tale posizione è preminente anche in dottrina (Minervini, 395; Cottino, 412; Ragusa Maggiore, 93; Pinto, ivi). Taluni, però, sostengono che la responsabilità sarebbe contrattuale in quanto derivante dalla violazione dei doveri di protezione che incombono sugli amministratori dando luogo ad una responsabilità legale (Guerrera, 248). La natura extracontrattuale della responsabilità in argomento non è scevra di conseguenze in ordine al regime probatorio (oltre che in ordine al regime della prescrizione, non rilevante, però, nella fattispecie in esame). Ed infatti, proprio in ragione di tale inquadramento, deve ritenersi che ricade in capo al socio o al terzo che agisca in giudizio al fine di far valere la responsabilità diretta dell'amministratore l'onere probatorio in relazione: alla condotta dolosa o colposa dell'amministratore; all'esistenza di un danno che sia qualificabile, da una parte, come diretto (non potendo esso costituire un mero riflesso del danno subito dal patrimonio sociale) e, dall'altra, come ingiusto; al nesso di causalità che deve intercorrere tra l'attività dell'amministratore ed il pregiudizio causato all'attore. A fronte dell'inadempimento contrattuale di una società, la responsabilità degli amministratori nei confronti dell'altro contraente non deriva automaticamente da tale loro qualità, ma richiede la prova di una condotta dolosa o colposa degli amministratori, del danno e del nesso causale tra questa e il danno patito dal terzo contraente. Ne consegue che, nel caso di bilancio contenente indicazioni non veritiere, che si assumano avere causato l'affidamento incolpevole del terzo circa la solidità economico-finanziaria della società e la sua decisione di contrattare, il terzo ha l'onere di provare non solo tale falsità, ma anche, con qualsiasi mezzo, il nesso causale tra il dato falso e la propria determinazione di concludere il contratto, da cui sia derivato un danno in ragione dell'inadempimento della società alle proprie obbligazioni (Cass., n. 17794/2015). L'amministratore incorre in responsabilità anche quando agisce nell'interesse della società e per adempiere i doveri impostigli dalla carica assunta, se, nello svolgimento di tale attività, produce un danno diretto a terzi agendo con dolo o colpa (Cass. n. 8359/2007; Trib. Milano 2 novembre 2000). Il requisito del danno direttoIl presupposto intorno al quale è costruita l'azione in argomento è costituito dall'incidenza “diretta” del danno sul patrimonio del socio o del terzo: come è stato osservato, infatti, la norma potrebbe essere riformulata “in positivo” nel seguente modo: gli artt. 2392 ss. precludono al socio o al terzo di agire in responsabilità contro gli amministratori per i danni che dall'attività di questi abbiano risentito soltanto indirettamente (Spiotta, 929). La norma, quindi, delinea un sistema di responsabilità volto a tutelare i soci ed i terzi (tra i quali ovviamente anche i creditori sociali) che si fonda sul presupposto di un pregiudizio arrecato direttamente al patrimonio del singolo senza che da ciò derivi un danno per la società (Cass., n. 11223/2021; Cass. n. 22573/2014; Cass. n. 8458/2014; Cass. n. 15220/2010; Cass. n. 16416/2007; Cass. n. 8359/2007; Cass. n. 21130/2008). CasisticaCome già evidenziato, il danno diretto postulato dalla norma in commento è nozione diversa dal danno subito dal patrimonio sociale (e, dunque, indirettamente dal socio): così, l'incapienza dell'attivo fallimentare non è di per sé sufficiente da permettere al terzo di agire in giudizio nei confronti dell'amministratore, in quanto essa rappresenta una mera ricaduta negativa sul patrimonio del singolo creditore di una lesione che colpisce l'intero ceto dei creditori sociali, e la sua denuncia, fonte di responsabilità per l'organo di gestione, è demandata in via esclusiva all'organo fallimentare all'uopo abilitato (Cass. n. 6870/2010). Parimenti, la mancata percezione degli utili e la diminuzione di valore della quota di partecipazione non costituiscono danno diretto del singolo socio, poiché gli utili fanno parte del patrimonio sociale fino all'eventuale delibera assembleare di distribuzione (Cass. n. 22573/2014; Cass. n. 27733/2013; Cass. n. 4548/2012; Cass. n. 8358/2007). Al contrario, costituisce danno diretto, che legittima la proposizione dell'azione in argomento, quello risentito nella propria sfera patrimoniale da chi, per effetto di una inveritiera rappresentazione di bilancio, abbia acquistato per un determinato prezzo azioni di una società aventi, in realtà, valore nullo (Cass. n. 13766/2007). È, poi, legittimato il terzo che alleghi di essere stato indotto, indipendentemente dalla negatività del bilancio della società, a fornire merce (poi non pagata per l'insolvenza della debitrice) perché dai libri, dai registri o dai bilanci artefatti dagli amministratori, consapevoli dell'inganno, risultavano circostanze, non rispondenti al vero, che potevano però indurre i fornitori a non negare la loro definitiva fiducia nella possibilità di una ripresa economica dell'impresa contraente, il medesimo terzo è tenuto ad indicare e, quindi, a provare la specificità delle dette circostanze, nonché l'idoneità di esse a trarre in inganno la sua fiducia (Cass. n. 2685/1989). Sono stati, poi, ritenuti danni diretti: l'incasso di somme di danaro da parte dei soci senza il rilascio di quietanza che abbia così costretto il socio ad un nuovo successivo pagamento (Cass. n. 6154/1982); la sistematica violazione dei diritti di informazione spettanti ai soci e ai terzi, effettuata da amministratori e direttore generale con l'intento di mascherare operazioni gravemente pregiudizievoli per il patrimonio sociale (Trib. Milano, 20 marzo 1997); l'assunzione da parte della società di obbligazioni oggetto di una specifica disciplina con la consapevolezza di non potervi adempiere, così compromettendo in via diretta con la propria condotta il patrimonio del terzo (Trib. Milano, 20 marzo 2012). È idonea a fondare una responsabilità nei confronti della banca ex art. 2395 c.c. la condotta degli amministratori che portano allo sconto fatture nella consapevolezza che le stesse resteranno insolute (Trib. Milano, 8 febbraio 2016). In tema di intestazione fiduciaria delle partecipazioni sociali, il fiduciante, il quale lamenti che il mancato esercizio del diritto di opzione, con la conseguente definitiva uscita dalla società, sia dipeso dalla falsità della situazione patrimoniale, redatta dall'amministratore unico e sottoposta all'assemblea ai fini dell'abbattimento e della ricostituzione del capitale ex art. 2447, è legittimato attivo all'azione individuale del terzo, di cui all'art. 2395, per il risarcimento del danno a lui direttamente cagionato dalla lesione al diritto al ritrasferimento della partecipazione sociale (Cass. n. 3656/2018). La responsabilità della societàLa società, per il principio dell'immedesimazione organica, risponde civilmente degli illeciti commessi dall'organo amministrativo nell'esercizio delle sue funzioni, ancorché l'atto dannoso sia stato compiuto dall'organo medesimo con dolo o con abuso di potere, ovvero esso non rientri nella competenza degli amministratori, ma dell'assemblea (Cass. n. 25946/2011; Trib. Genova, 21 dicembre 2000). BibliografiaAbbadessa, La gestione dell'impresa nelle società per azioni. Profili organizzativi, Milano, 1974; Abbadessa, Il direttore generale, in Tr. 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