Codice Civile art. 2433 - Distribuzione degli utili ai soci (1).

Guido Romano

Distribuzione degli utili ai soci (1).

[I]. La deliberazione sulla distribuzione degli utili è adottata dall'assemblea che approva il bilancio ovvero, qualora il bilancio sia approvato dal consiglio di sorveglianza, dall'assemblea convocata a norma dell'articolo 2364-bis, secondo comma.

[II]. Non possono essere pagati dividendi sulle azioni, se non per utili realmente conseguiti e risultanti dal bilancio regolarmente approvato.

[III]. Se si verifica una perdita del capitale sociale, non può farsi luogo a ripartizione di utili fino a che il capitale non sia reintegrato o ridotto in misura corrispondente.

[IV]. I dividendi erogati in violazione delle disposizioni del presente articolo non sono ripetibili, se i soci li hanno riscossi in buona fede in base a bilancio regolarmente approvato, da cui risultano utili netti corrispondenti.

(1) V. nota al Capo V.

Inquadramento

L'articolo in commento stabilisce la competenza assembleare (ovvero del consiglio di sorveglianza, ove la società adotti il sistema dualistico) in ordine alla distribuzione degli utili ai soci prevedendo la distribuibilità soltanto di quegli utili che siano stati effettivamente conseguiti nel corso dell'esercizio e che risultino dal bilancio regolarmente approvato.

La nozione di utile

La norma si limita a richiamare «gli utili realmente conseguiti e risultanti dal bilancio regolarmente approvato». La norma, dunque, si riferisce all'utile di esercizio (Colombo, 1994, 492) e, dunque, alla differenza tra ricavi e costi. È stato osservato che la legittimità di una operazione, quale la distribuzione degli utili ai soci, a contenuto essenzialmente finanziario viene decisa partendo da un dato contabile e, precisamente, dal fatto che il conto economico della società mostri un saldo positivo e che il saldo patrimoniale, risultante dalla chiusura degli esercizi precedenti, non mostri una differenza negativa tale da intaccare il capitale sociale (Lolli, 1113).

La distribuzione degli utili di bilancio può avere luogo in natura mediante assegnazione di beni patrimoniali. Ove sia possibile raggiungere lo stesso risultato di parità quantitativa offerta dal danaro, è assicurata la parità di trattamento dei soci (Trib. Vicenza, 23 marzo 1999).

La deliberazione assembleare di distribuzione degli utili

L'articolo in commento demanda all'assemblea, in sede di approvazione del bilancio, la valutazione in ordine alla distribuibilità degli utili ai soci e, dunque, alla maggioranza degli azionisti.

Non è, dunque, configurabile un diritto del socio agli utili senza una preventiva deliberazione assembleare in tal senso, rientrando nei poteri dell'assemblea, in sede approvativa del bilancio, la facoltà di disporne l'accantonamento o il reimpiego nell'interesse della stessa società, sulla base di una decisione censurabile solo se propria di iniziative della maggioranza volte ad acquisire posizioni di indebito vantaggio a danno degli altri soci cui sia resa più onerosa la partecipazione (Cass. n. 2020/2008; Cass. n. 10271/2004; Cass. n. 2959/1993; App. Milano, 25 marzo 1986). Sin quando non sopravvenga una delibera di distribuzione dei dividendi, il socio di società di capitali è titolare di una semplice aspettativa al conseguimento dell'utile, a meno che lo statuto stabilisca la regola della distribuzione, nel qual caso l'aspettativa assurge a vero e proprio diritto (Trib. Milano, 28 settembre 2006; Trib. Trieste, 25 giugno 1996). Con riferimento ad una fattispecie di abuso, si segnala una decisione del Tribunale di Milano secondo la quale è annullabile per violazione del principio di esecuzione del contratto secondo buona fede la deliberazione di accantonamento degli utili a riserva qualora nella stessa sia ravvisabile, per la rilevanza degli importi e l'assenza di ogni motivazione in ordine alle ragioni sociali ispiratrici della scelta, un intento vessatorio nei confronti dei soci di minoranza (Trib. Milano, 28 maggio 2007).

Questa posizione è condivisa dalla dottrina la quale evidenzia che la mancata sussistenza dell'obbligo per l'assemblea di distribuire l'utile ai soci comporta la legittimità della delibera che destini gli utili a riserve facoltative, salvo che l'operazione posta in essere dalla maggioranza sia animata da scopi extrasociali o da intenti emulativi nei confronti della minoranza (Balzarini, 635): in tal caso grava sul socio che impugna dimostrare l'esercizio fraudolento del potere di voto della maggioranza (Bergamaschi, par. 5).

Si è, però, osservato che, ove si riconosca validità alla regola della normalità del riparto periodico durante la società, la pura e reiterata decisione di accantonare tutti o gran parte degli utili per generiche, ma inesistenti, finalità di rafforzamento patrimoniale, costituisce causa di annullamento della delibera ponendosi la sistematica esclusione del riparto in contrasto con il sistema (Colombo, in Tr. Res. 2011, 598).

In definitiva, è stato efficacemente osservato che i soci non vantano nei confronti della società un diritto al dividendo ab origine per il solo fatto di essere titolari di azioni o di quote; esso si costituisce per gradi ed integra una fattispecie a formazione progressiva, perché sorge solo dopo la chiusura dell'esercizio sociale, la registrazione di eventuali utili, l'approvazione del bilancio e infine la decisione dell'assemblea di distribuire o meno i medesimi a favore dei soci (Bergamaschi, par. 2).

I limiti alla distribuzione degli utili

Secondo la norma in commento, gli utili possono essere distribuiti solo se: 1) essi siano realmente conseguiti; 2) essi risultino da un bilancio regolarmente approvato; 3) non sussistano perdite ancora da ripianare, a meno che il capitale non venga ridotto in misura corrispondente. Sussistono, poi, ulteriori presupposti per la distribuzione. Infatti, la possibilità di procedere alla distribuzione è condizionata al previo accantonamento della componente di utili pari alla riserva legale fino a quando tale riserva non abbia raggiunto la misura minima prevista dall'art. 2430 (Lolli, 1114).

Altri limiti legislativi relativi alla ripartizione dei dividendi sono posti: 1) dall'art. 2423 comma 4 secondo cui gli utili eventualmente derivanti da una deroga dalle disposizioni di redazione del bilancio dovranno essere iscritti in una riserva che può essere distribuita solo in misura corrispondente all'importo del valore recuperato; 2) dall'art. 2426 comma 1 n. 5 il quale prevede che se sono stati capitalizzati costi di impianto e di ampliamento, costi di ricerca, di sviluppo e di pubblicità aventi utilità pluriennale per i quali non si è concluso il periodo di ammortamento, i dividendi potranno essere distribuiti solo se residuano riserve disponibili sufficienti a coprire l'ammontare dei costi non ammortizzati (Bergamaschi, par. 4).

Infine, lo statuto può precedere che una determinata percentuale degli utili venga accantonata come “riserva” (“riserva statutaria”).

Gli utili percepiti in buona fede

Qualora gli utili siano stati distribuiti in assenza dei presupposti di legge (reale esistenza, assenza di perdite o di destinazione a riserva legale, approvazione del bilancio da cui risultano) il pagamento costituisce un indebito oggettivo. L'ultimo comma dell'articolo in commento prevede, tuttavia, l'irripetibilità dei dividendi, erogati in assenza dei presupposti di legge, riscossi dai soci in buona fede in base a bilancio regolarmente approvato, da cui risultano utili netti corrispondenti.

L'irripetibilità del dividendo è, dunque, sottoposto a presupposti di natura soggettiva e di natura oggettiva. Il presupposto soggettivo è costituito dalla buona fede del percettore: è stato correttamente affermato che la buona fede deve riguardare quei requisiti di distribuibilità che esulano dalla sfera dell'oggettivamente controllabile dal socio, quali, ad es., la realtà dell'utile e la sua effettiva distribuibilità (Colombo, in Tr. Res. 2011, 602). Quanto ai presupposti di natura oggettiva, è necessario che: 1) gli utili risultino da un bilancio regolarmente approvato, formula da interpretare nel senso che la regolarità va riferita all'iter di approvazione del bilancio e non direttamente al contenuto di esso sotto il profilo della correttezza e veridicità, essendo il socio estraneo all'attività di redazione del bilancio e privo di poteri inerenti al controllo contenutistico (Colombo, in Tr. Res. 2011, 602); 2) gli utili siano astrattamente distribuibili e, quindi, non destinati a riserva legale o statutaria; 3) vi sia stata una deliberazione assembleare che abbia disposto la distribuzione degli utili.

Bibliografia

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