Codice Civile art. 2469 - Trasferimento delle partecipazioni (1).Trasferimento delle partecipazioni (1). [I]. Le partecipazioni sono liberamente trasferibili (2) per atto tra vivi e per successione a causa di morte, salvo contraria disposizione dell'atto costitutivo. [II]. Qualora l'atto costitutivo preveda l'intrasferibilità delle partecipazioni o ne subordini il trasferimento al gradimento di organi sociali, di soci o di terzi senza prevederne condizioni e limiti, o ponga condizioni o limiti che nel caso concreto impediscono il trasferimento a causa di morte, il socio o i suoi eredi possono esercitare il diritto di recesso ai sensi dell'articolo 2473. In tali casi l'atto costitutivo può stabilire un termine, non superiore a due anni dalla costituzione della società o dalla sottoscrizione della partecipazione, prima del quale il recesso non può essere esercitato. (1) V. nota al Capo VII. (2) La parola «trasferibili» è stata sostituita alla parola «trasmissibili» dall'art. 3 d.lg. 17 gennaio 2003, n. 6, come modificato dall'art. 5 1nn) d.lg. 6 febbraio 2004, n. 37. InquadramentoIl legislatore, se da una parte, ribadisce il principio della libera trasferibilità delle partecipazioni nelle società a responsabilità limitata sia per atto tra vivi che mortis causa, dall'altra, in ossequio al principio generale della rilevanza centrale che il socio assume in tale tipo di società, consente di escludere in tutto o in parte la trasferibilità ovvero di sottoporla a determinate condizioni. Tuttavia, l'intrasferibilità della partecipazione o l'assoggettamento al gradimento di determinati soggetti è contemperato dal diritto di recesso. L'oggetto del trasferimento delle partecipazioni socialiLa cessione delle quote societarie ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta. Pertanto, le carenze o i vizi relativi alla consistenza e alle caratteristiche dei beni ricompresi nel patrimonio sociale possono giustificare la risoluzione di tale contratto solo se sono state fornite a tale riguardo dal cedente specifiche garanzie contrattuali (cfr. Cass. I, n. 9067/1995; Cass. III, n. 16031/2007; Cass. n. 26690/2006). Si ammette che la cessione della quota attuata sul presupposto di una determinata consistenza patrimoniale della società, si possa inquadrare nell'ambito di un complesso regolamento negoziale, il quale abbia per oggetto non solo l'acquisizione di un generico status socii, ma anche ulteriori obblighi, a carico del cedente; tali obblighi possono per relationem essere collegati dalle parti, appunto, a una certa consistenza del patrimonio ovvero a determinate caratteristiche di beni sociali specificamente considerati (cfr., Cass. III, n. 16031/2007 cit.; contra, ma isolata Cass. I, n. 18181/2004). Nella vendita di partecipazioni sociali, la clausola con la quale il venditore si impegna a tenere indenne il compratore dalle sopravvenienze passive nel patrimonio della società ha ad oggetto una prestazione accessoria e non rientra, quindi, nella garanzia di cui all'art. 1497, che attiene, invece, alle qualità intrinseche della cosa, esistenti al momento della conclusione del contratto. Pertanto, il diritto del compratore all'indennizzo, fondato su detta clausola, non è soggetto alla prescrizione annuale ex artt. 1495 e1497, bensì alla prescrizione ordinaria decennale (Cass., n. 16963/2014; Cass., n. 7183/2019; Cass., n. 17053/2021). L'omessa riproduzione, nel contratto definitivo di cessione di quote sociali, di una clausola già inserita nel preliminare non comporta, necessariamente, la rinunzia alla pattuizione ivi contenuta, che non resta assorbita ove sussistano elementi in senso contrario ricavabili dagli atti ovvero offerti dalle parti (Cass., n. 662/2022). Le clausole di intrasferibilitàIn primo luogo, l'atto costitutivo può prevedere l'assoluta intrasferibilità della partecipazione sociale, valorizzando, in tal modo, il carattere “chiuso” della società. Il divieto di trasferimento è, però, bilanciato dal diritto di recesso dalla società, esercitabile in qualsiasi momento. La norma si riferisce, in particolare, all'ipotesi di intrasferibilità assoluta cioè incondizionata e illimitata. Si tratta di vedere se spetti il diritto di recesso anche in presenza di clausole che limitino, sotto il profilo oggettivo, soggettivo o temporale, il trasferimento della partecipazione. In via generale, è stato osservato che il diritto di recesso deve ritenersi escluso nei caso in cui la possibilità di cedere la partecipazione subisce delle limitazioni che, però, non impediscano del tutto il trasferimento (Speranzin-Bortoluz, 339). Non consentiranno il recesso né la clausola che impedisca di cedere la partecipazione in favore di determinati soggetti (ovvero che consentano l'ingresso nella società a soggetti dotati di specifici requisiti professionali o soggettivi) né quella che vieti di cedere una porzione soltanto della quota (Zanarone, 581; Speranzin-Bortoluz, 340) né, infine, la clausola che impedisca la costituzione di diritti reali minori sulla quota quali il pegno e l'usufrutto (Ghionni, 82) in quanto in tali ipotesi è comunque garantito la possibilità di disinvestire. Secondo un autore (Zanarone, 582) la clausola che vieta di cedere a titolo oneroso la partecipazione consentendo solo trasferimenti gratuiti legittima l'esercizio del diritto di recesso in quanto il socio non potrebbe realmente disinvestire ottenendo un controvalore economico. Le clausole di gradimentoIl legislatore, poi, prende in considerazioni quelle clausole di gradimento che subordinano l'ingresso del nuovo socio all'approvazione di un organo sociale, di uno o più soci ovvero di terzi. In linea di massima, possono distinguersi le clausole di mero gradimento che rimettono alla assoluta discrezionalità del soggetto il rilascio o meno del placet e le clausole che subordinano il gradimento al possesso di determinati requisiti da parte dell'acquirente ovvero alla ricorrenza di condizioni oggettive e determinabili ex ante (Campobasso, 242). È legittima la clausola che limita la trasferibilità della quota al mero gradimento cioè al giudizio discrezionale anche immotivato degli organi sociali, dato che tale clausola si basa sul principio della necessità del consenso del contraente ceduto alla cessione del contratto (Cass., 9 novembre 1993, n. 11057). Nell'articolo in commento, il legislatore prende in considerazione le clausole, contenute nell'atto costitutivo, che subordinano il trasferimento al gradimento di organi sociali, di soci o di terzi senza prevederne condizioni e limiti (mero gradimento): anche in tali casi, il socio avrà diritto di recedere e ciò per il solo fatto della presenza della clausola e non già per il caso di rifiuto del placet da parte del soggetto legittimato ad esprimere il gradimento (Zanarone, 589). Il soggetto chiamato ad esprimere il gradimento potrà essere un organo societario (assemblea, amministratori) oppure un socio cui sia stato statutariamente attribuito tale diritto che configurerà un diritto particolare (art. 2468 comma 3) ovvero ancora un terzo estraneo alla compagine sociale. È, però, necessario che sia individuato o individuabile per relationem il soggetto competente ad esprimere il gradimento (Revigliono, 242; Speranzin-Bortoluz, 345). Secondo Trib. Roma, 5 luglio 2011, il diritto di recesso da società a responsabilità limitata, con riferimento alle vicende inter vivos, viene attribuito al socio nelle sole ipotesi in cui la facoltà di trasferire la partecipazione sociale venga esclusa del tutto, ovvero subordinata al mero gradimento (e, dunque, al parere libero ed arbitrario) di organi sociali, soci e terzi. La mancata espressione del consenso dei soci, specificamente richiesto dallo statuto di una società a responsabilità limitata nel caso di trasferimento della quota per atto tra vivi, rende il trasferimento della stessa inefficace, oltre che nei confronti della società, anche nei confronti delle parti (Cass., n. 9461/2021). Il trasferimento per causa di morteIl principio della libera trasferibilità delle partecipazioni in società a responsabilità limitata vale anche con riferimento agli acquisti mortis causa. In tali casi, l'erede o il legatario subentrano al socio defunto nella titolarità della quota e nella legittimazione all'esercizio dei diritti sociali a seguito del compimento delle formalità previste dall'art. 2470 comma 2 (Speranzin-Bortoluz, 345; Bullo, 206). In caso di pluralità di eredi, la quota cade in comunione tra gli eredi del socio: essi acquistano la titolarità indivisa della quota relitta e devono procedere necessariamente alla iscrizione dell'acquisto in comune, pena la violazione del principio generale di continuità delle iscrizioni. Anche in tal caso, tuttavia, l'atto costitutivo potrà prevedere limitazioni al trasferimento della quota: è, infatti, conferito agli eredi del socio il diritto di recesso in presenza di una clausola che “ponga condizioni o limiti che nel caso concreto impediscono il trasferimento a causa di morte”. Il legislatore riconosce all'erede il diritto alla liquidazione del valore della partecipazione del socio defunto, proporzionalmente al valore effettivo del patrimonio sociale e, dunque, secondo i criteri stabiliti dall'art. 2473 in tema di liquidazione della quota del socio receduto (Revigliono, 253; Maltoni, 1846; Speranzin-Bortoluz, 347). La clausola di uno statuto di una società a responsabilità limitata che, in caso di morte di un socio, preveda il diritto degli altri soci di acquisire la quota del defunto versando agli eredi il relativo controvalore, da determinarsi secondo criteri stabiliti dalla stessa clausola, non viola il divieto dei patti successori e neppure costituisce una frode al divieto dei patti medesimi (Cass., 12 febbraio 2010, n. 3345). È illegittima l'iscrizione nel libro dei soci (oggi, registro delle imprese) dell'acquisto di quote divise in capo a ciascuno dei coeredi, non preceduta dal deposito nel registro delle imprese e dalla conseguente iscrizione nel libro soci della comunione ereditaria avente ad oggetto la quota sociale relitta, essendo questa la conseguenza immediata, ed insuperabile, della successione ereditaria al socio defunto (Trib. Roma, 2 maggio 2001, in Vita not. 2003, 328). Le clausole di prelazioneQuanto alle clausole di prelazione si segnala che il patto di prelazione inserito nello statuto di una società di capitali ed avente ad oggetto l'acquisto delle azioni sociali, poiché è preordinato a garantire un particolare assetto proprietario, ha efficacia reale, in caso di violazione, è opponibile anche al terzo acquirente (Cass., 23 luglio 2012, n. 12797). Tuttavia, tale efficacia reale non importa anche il potere di riscatto da parte del prelazionario pretermesso. In altre parole, l'efficacia reale comporta di per sé l'opponibilità erga omnes della clausola ma nel solo senso della inefficacia rispetto alla società dell'atto di trasferimento eseguito in violazione della clausola: in questa prospettiva, la società potendo rifiutare di riconoscere quale socio l'acquirente della partecipazione il cui acquisto si sia verificato in violazione della clausola di prelazione (cfr. in tal senso, Cass., 2 dicembre 2015, n. 24559; Cass., 8 aprile 2015, n. 7003. Nella giurisprudenza di merito, si vedano Trib. Milano 17 ottobre 1996; Trib. Milano, 26 febbraio 2015). Al contrario, l'efficacia reale non implica la configurabilità di un diritto del socio pretermesso di «riscattare» la partecipazione oggetto della cessione non preceduta da adeguata denuntiatio, e ciò poiché il diritto di riscatto costituisce un così intenso limite all'autonomia contrattuale ed al principio generale di cui all'art. 1379 c.c. che non può ravvisarsi in ipotesi diverse da quelle di prelazione legale in tal senso espressamente regolate dalla legge (retratto successorio, prelazione agraria, prelazione nell'ambito della locazione di immobili ad uso non abitativo) (Trib. Milano 17 dicembre 2012; Trib. Milano, 10 maggio 2013). Le limitazioni al diritto di recessoL'articolo in commento, consentendo all'atto costitutivo di stabilire un termine massimo di due anni nel quale il diritto di recesso non può essere esercitato, evidenzia il carattere inderogabile della restante parte della disciplina del recesso (Speranzin-Bortoluz, 347; Ghionni, 88). In particolare, deve considerarsi inderogabile la disciplina relativa al valore di liquidazione della quota del socio recedente. La violazione delle clausoleLa dottrina è oggi orientata nel riconoscere carattere reale alle clausole, contenute nell'atto costitutivo, che limitino la circolazione delle quote societarie. Conseguentemente, anche se iscritto nel registro delle imprese, il trasferimento della partecipazione sociale sarà inopponibile alla società (Zanarone, 570; Speranzin, Bortoluz, 358; Revigliono, 257). È, tuttavia, dibattuto se tale inefficacia sia assoluta oppure solo relativa e, dunque, opponibile solo dalla società. Parte della giurisprudenza aveva in passato optato per la prima ipotesi evidenziando che la mancata espressione del consenso degli altri soci, espressamente richiesto dallo statuto di s.r.l. in caso di trasferimento di quote della società per atto tra vivi, rende il trasferimento della quota inefficace anche tra le parti del contratto di cessione, salva una diversa ed espressa volontà dei contraenti (Cass., 30 settembre 2005, n. 19203). Tuttavia, si è osservato in dottrina che l'atto di trasferimento, posto in essere della clausola limitativa, è tra le parti valido ed efficace, mentre la violazione della clausola potrà essere fatta valere soltanto dalla società quale soggetto portatore dell'interesse sotteso alla clausola (Zanarone, 577; Speranzin-Bortoluz, ibidem). Nel medesimo senso si è espressa la giurisprudenza la quale ha avuto modo di osservare che il patto di prelazione inserito nello statuto di una società di capitali ed avente ad oggetto l'acquisto delle azioni sociali, poiché è preordinato a garantire un particolare assetto proprietario, ha efficacia reale, in caso di violazione, è opponibile anche al terzo acquirente (Cass. n. 12797/2012; Cass. n. 8645/1998; Cass. n. 2763/1973). La cessione di partecipazione avvenuta in violazione degli eventuali limiti statutari al suo libero trasferimento (prelazione, gradimento, divieto assoluto, ecc.) è inefficace nei confronti della società e, pertanto, la stessa non legittima l'esercizio dei diritti sociali da parte del cessionario, ancorché depositata nel registro delle imprese (Trib. Milano, 28 giugno 2011, in Soc. 2011, 1266; Trib. Napoli, 3 dicembre 2013, in Soc. 2015, 1, 50). 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