Codice Civile art. 2473 bis - Esclusione del socio (1).

Guido Romano

Esclusione del socio (1).

[I]. L'atto costitutivo può prevedere specifiche ipotesi di esclusione per giusta causa del socio. In tal caso si applicano le disposizioni del precedente articolo, esclusa la possibilità del rimborso della partecipazione mediante riduzione del capitale sociale.

(1) V. nota al Capo VII.

Inquadramento

La riforma del diritto societario ha consentito all'autonomia privata di introdurre nello statuto la possibilità per la società di escludere il socio, così evidenziando di volere — attraverso la valorizzazione della centralità del socio e dei rapporti contrattuali tra soci — imprimere una impronta personalistica alla società a responsabilità limitata. E, infatti, in una società di capitali ove il rapporto tra socio e quota si pone in termini proprietari, l'istituto dell'esclusione non costituisce, a differenza del modello delle società di persone, un elemento naturale del rapporto sociale (in questo senso, Salvatore, 427; Piscitello, 734): da qui, la necessità della preventiva e specifica determinazione delle cause di esclusione nell'atto costitutivo.

Al di fuori dell'ipotesi prevista dalla norma in commento, l'unica fattispecie legislativamente disciplinata di esclusione di un socio dalla società è, invece, rappresentata dall'art. 2466 il quale la prevede come sanzione per il caso di mancata esecuzione di conferimenti.

Le cause di esclusione

L'atto costitutivo può prevedere «specifiche ipotesi di esclusione per giusta causa del socio»: l'esclusione del socio, dunque, è possibile solo ove ricorrano due circostanze e, cioè, che l'atto costitutivo predetermini, in modo specifico, le cause di esclusione e che tali ipotesi convenzionali siano tutte riconducibili al genere della «giusta causa».

La possibilità che lo statuto di una società a responsabilità limitata preveda la facoltà dei soci di escludere uno di essi è, quindi, subordinata alla specifica predeterminazione di fattispecie tipizzate di giusta causa, allo scopo di evitare che la decisione di esclusione possa volta per volta esser riempita con una valutazione discrezionale della maggioranza in merito alla ricorrenza della giusta causa stessa (Trib. Milano, 23 luglio 2015; Lodo arbitrale, 31 gennaio 2006).

L'atto costitutivo deve contenere un vero e proprio “catalogo”, avendo la legge optato per la natura «causale» dell'esclusione: non basta la volontà della maggioranza per provocare la risoluzione del singolo rapporto sociale, ma occorre un motivo, corrispondente ad un catalogo statutario (Piscitello 736).

È, quindi, illegittima una clausola generica di esclusione che faccia riferimento a gravi inadempienze del socio, in quanto, come osservato dalla dottrina (Galletti, 1917; Piscitello, 736), l'organo competente alla valutazione dei presupposti dell'esclusione del socio si vedrebbe assegnato un potere privo di adeguato controllo.

La previsione statutaria in forza della quale sia ammessa l'esclusione del socio che «si renda gravemente inadempiente alle obbligazioni che derivano dalla legge o dal contratto sociale o, in qualsiasi modo, causi discredito commerciale alla società o leda il rapporto di fiducia con gli altri soci» risulta priva del requisito della specificità richiesto dall'art. 2473-bis ed è, pertanto, nulla (Trib. Milano, 5 settembre 2014; Trib. Milano, 7 novembre 2013; Trib. Napoli, 14 giugno 2016). È stata, invece, ritenuta valida la clausola che consente l'esclusione in ipotesi di svolgimento, da parte del socio, di attività imprenditoriale in concorrenza con la società (Trib. Milano, 24 maggio 2007). In altre parole, accanto alle ipotesi legali di esclusione del socio tipizzate dall’art. 2466 c.c., possono essere previste ulteriori ipotesi convenzionali, ex art. 2473-bis c.c., purchè vengano espressamente previste dall’atto costitutivo, non essendo a tal fine sufficiente un generico richiamo al presupposto della giusta causa. Appare conforme al disposto dell’art. 2473-bis c.c. la previsione, contenuta nell’atto costitutivo di una s.r.l., di esclusione del socio per inattività, all’interno dell’organizzazione aziendale, per almeno 180 giorni nell’arco di un esercizio sociale (Trib. Bologna, 11 aprile 2017).

Il riferimento alla nozione di giusta causa impone, poi, che la specifica ipotesi statutariamente prevista di esclusione debba fare riferimento ad un comportamento serbato dal socio che assuma il carattere di inadempimento rispetto ad obblighi previsti dalla legge o dallo statuto e che assuma una gravità tale da compromettere il rapporto sociale oppure a circostanze che riguardino direttamente la persona del socio come il venire meno di particolari requisiti soggettivi (fallimento, iscrizione ad un determinato albo etc.).

Il procedimento di esclusione e la tutela dell'escluso

La norma in commento non disciplina il procedimento di esclusione: spetta, dunque, all'interprete individuare l'organo societario al quale spetti la decisione ed il procedimento da seguire per l'esclusione.

Con riferimento al primo aspetto, secondo una parte della dottrina, il silenzio deve intendersi nel senso che viene delegato ai soci, in sede di redazione dell'atto costitutivo (Cagnasso, 2008), stabilire che la competenza a decidere sull'esclusione spetti ai soci ovvero all'organo amministrativo.

Altro orientamento, sulla base della considerazione che l'esclusione comporta «una rilevante modificazione» dei diritti del socio, ritiene che la relativa deliberazione sia di competenza dell'assemblea dei soci ai sensi dell'art. 2479-bis (Rivolta, 692). Anzi, si dubita, proprio in virtù del disposto della norma da ultimo richiamata, della legittimità di clausole statutarie che attribuiscano la competenza in materia all'organo amministrativo (Piscitello, 740).

Secondo giurisprudenza di merito, in relazione all'esclusione di un socio di una società a responsabilità limitata da parte degli altri soci, se da una parte deve trovare applicazione analogica l'art. 2287, in forza del quale nella maggioranza necessaria non si computa la quota posseduta dal socio da escludere, non potrà tuttavia impedirsi al socio la partecipazione all'assemblea relativa, ove prevista come organo competente all'adozione della delibera di esclusione; detto socio non avrà, invero, il diritto di voto, ma avrà indubbiamente il diritto di impugnare la delibera: la mancata convocazione del socio in relazione all'assemblea che ha adottato la delibera impugnata comporta, ove il socio non abbia comunque partecipato all'assemblea, la nullità della decisione (Trib. Roma, 4 novembre 2010).

La deliberazione di esclusione deve essere, comunque, motivata a pena di invalidità (Trib. Milano, 13 novembre 1991).

Inoltre, la decisione, comunque assunta in assenza del socio, gli dovrà essere comunicata in modo tale che possa essere consentito all'escluso di reagire sul piano giudiziario. La comunicazione al socio escluso della deliberazione di esclusione dalla società non richiede la adozione di specifiche formalità o mezzi di trasmissione, essendo sufficiente un qualsiasi atto o fatto idoneo a portare a conoscenza dell'interessato la deliberazione medesima: la sua eventuale incompletezza non incide sulla validità ed operatività del provvedimento, ma può spiegare rilievo solo al diverso fine di consentire un'opposizione tardiva o non specifica ove giustificata da detta incompletezza (Delli Priscoli, 516).

L'articolo non regolamenta il procedimento giudiziale attraverso il quale contestare l'esclusione. È certo che, qualora l'esclusione venga decisa dall'assemblea, il socio possa impugnare ai sensi dell'art. 2479-ter, la relativa deliberazione demandando così al Tribunale l'accertamento della sussistenza del presupposto fattuale tipico (Trib. Napoli, 24 dicembre 2009; Trib. Milano, 7 novembre 2013).

Secondo Cass., n. 18891/2024, in tema di società a responsabilità limitata, ha affermato che è valida ed efficace la clausola statutaria che individui una specifica situazione al ricorrere della quale il socio è obbligato all'alienazione della quota di partecipazione al capitale della società senza una previa manifestazione di volontà da parte dell'assemblea, non potendo tale decisione essere parificata all'ipotesi di esclusione di cui all'art. 2473-bis c.c. che, invece, richiede, sia pure non espressamente, la decisione dei soci.

La liquidazione della quota

Con riferimento al procedimento di liquidazione della quota dell'escluso, l'articolo in commento rinvia all'art. 2473, che disciplina la fattispecie nell'ipotesi di recesso del socio, escludendo, tuttavia, la possibilità del rimborso della partecipazione mediante riduzione del capitale sociale: l'escluso, quindi, avrà diritto ad ottenere il rimborso della sua partecipazione al capitale sociale determinata secondo il valore di mercato di essa.

È annullabile la deliberazione di modificazione dell'atto costitutivo che preveda criteri di liquidazione della quota del socio escluso in senso peggiorativo rispetto a quelli legali (Trib. Milano, 24 maggio 2007; così anche Salvatore, 423).

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