Codice Civile art. 2476 - Responsabilità degli amministratori e controllo dei soci 1 .

Guido Romano

Responsabilità degli amministratori e controllo dei soci 1.

[I]. Gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall'inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall'atto costitutivo per l'amministrazione della società. Tuttavia la responsabilità non si estende a quelli che dimostrino di essere esenti da colpa e, essendo a cognizione che l'atto si stava per compiere, abbiano fatto constare del proprio dissenso.

[II]. I soci che non partecipano all'amministrazione hanno diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali ed i documenti relativi all'amministrazione.

[III]. L'azione di responsabilità contro gli amministratori è promossa da ciascun socio, il quale può altresì chiedere, in caso di gravi irregolarità nella gestione della società, che sia adottato provvedimento cautelare di revoca degli amministratori medesimi. In tal caso il giudice può subordinare il provvedimento alla prestazione di apposita cauzione.

[IV]. In caso di accoglimento della domanda la società, salvo il suo diritto di regresso nei confronti degli amministratori, rimborsa agli attori le spese di giudizio e quelle da essi sostenute per l'accertamento dei fatti.

[V]. Salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo, l'azione di responsabilità contro gli amministratori può essere oggetto di rinuncia o transazione da parte della società, purché vi consenta una maggioranza dei soci rappresentante almeno i due terzi del capitale sociale e purché non si oppongano tanti soci che rappresentano almeno il decimo del capitale sociale.

[VI].  Gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale. L'azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti. La rinunzia all'azione da parte della società non impedisce l'esercizio dell'azione da parte dei creditori sociali. La transazione può essere impugnata dai creditori sociali soltanto con l'azione revocatoria quando ne ricorrono gli estremi 2.

[VII]. Le disposizioni dei precedenti commi non pregiudicano il diritto al risarcimento dei danni spettante al singolo socio o al terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori.

[VIII]. Sono altresì solidalmente responsabili con gli amministratori, ai sensi dei precedenti commi, i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi.

[IX]. L'approvazione del bilancio da parte dei soci non implica liberazione degli amministratori e dei sindaci per le responsabilità incorse nella gestione sociale.

 

[1] V. nota al Capo VII.

[2] Comma inserito dall'art. 378, comma 1, d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14. Tale modifica, ai sensi dell'art. 389, comma 2,  d.lgs. n. 14, cit., entra in vigore il trentesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del presente decreto (16 marzo 2019).

Inquadramento

La riforma del diritto societario ha inteso dettare, per la società a responsabilità limitata, una disciplina autonoma in materia di responsabilità degli amministratori e, in particolare, in materia di esercizio dell'azione sociale di responsabilità. L'art. 2476 si presenta particolarmente innovativo in quanto attribuisce al singolo socio sia il diritto di controllo in ordine alla gestione della società consentendogli di ottenere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare la documentazione sociale sia il diritto di esercitare, in via concorrente con la società, l'azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori. Inoltre, in ragione del fatto che la nuova disciplina del tipo di società a responsabilità limitata consente ai singoli soci di ingerirsi nell'attività gestoria, la norma in commento tende ad un riequilibrio della posizione di potere di cui gode il socio con l'attribuzione di una responsabilità per gli atti dannosi che egli abbia intenzionalmente deciso o autorizzato. 

Il diritto di controllo dei soci

Il comma 2 della disposizione in argomento conferisce ai soci che non partecipano all'amministrazione il diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare i libri sociali ed i documenti relativi all'amministrazione. Tale diritto, che ricalca sugli strumenti di controllo riconosciuti al socio di società di persone (Abriani, 603), rappresenta una delle più significative novità della riforma della società a responsabilità limitata e, per converso, di differenziazione rispetto alla società per azioni.

Il diritto di controllo è esercitato dal socio nel suo esclusivo interesse non essendo previsto in funzione della tutela di interessi di terzi o della società (Presti, 651 ss.; Abriani, 602; Paolucci, in Comm. S.B. 2014, 474) potendo essere utilizzato anche strumentalmente rispetto all'esercizio esercizio consapevole dei diritti connessi alla quota (voto assemblea, partecipazione ad aumento di capitale, esercizio del diritto di opzione, impugnativa assemblea).

La norma, infatti, configura un vero e proprio diritto soggettivo del socio in considerazione del fatto che al diritto corrisponde un dovere di comportamento da parte della società e, per essa, da parte dell'organo amministrativo (Guidotti, 351).

In giurisprudenza, si è spesso utilizzata la categoria del diritto potestativo (Trib. Roma, 15 gennaio 2015; Trib. Roma, 16 gennaio 2008, in Riv. not. 2009, 668; Trib. Biella, 18 maggio 2005, in Soc. 2006, 50; Trib. Milano, 19 gennaio 2017 che precisa che il socio non deve dimostrare l’utilità rispetto alla soddisfazione di un suo specifico interesse).

La legittimazione spetta al socio che non partecipa all'amministrazione della società. Si discute se possa esercitare il diritto il socio receduto: la soluzione della problematica passa dalla ricostruzione dell'operatività del recesso (amplius, Paolucci, in Comm. S.B. 2014, 487 ss.). In caso di pegno ed usufrutto si tende a riconoscere, in dottrina, la legittimazione concorrente del socio e del creditore pignoratizio e dell'usufruttuario (Abriani, 604; Buta, 600; Zanarone, 1115; Presti, 652). In caso di comproprietà sulla quota, il diritto potrà essere esercitato non già dai singoli comproprietari, ma soltanto dal rappresentante comune (Paolucci, in Comm. S.B. 2014, 489).

Altrettanto discusso è se la legittimazione spetti anche ai co-amministratori ovvero ai componenti del consiglio di amministrazione. Secondo recente arresto (Cass. n. 2038/2018), compete anche al socio-amministratore di s.r.l. il diritto, previsto dall’art. 2476 comma 2, di ricevere notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare i libri ed i documenti relativi alla gestione societaria compiuta dagli altri.

Con riguardo all'estensione del diritto di controllo, esso si articola in due species (Abriani, 605): il diritto di avere dagli amministratori informazioni sullo svolgimento degli affari sociali ed il diritto di consultare la documentazione sociale. Quanto al primo, l'informazione resa può essere verbale o scritta e non può essere generica, ma deve essere specifica e analitica con riferimento a quanto oggetto della richiesta (Abriani, ivi).

Quanto al diritto di consultazione, esso si estende a qualsiasi documento riferibile alla società la quale non potrà opporre la segretezza o la riservatezza della documentazione (Abriani, 605 che evidenzia come il socio non sia un terzo rispetto alla società, Guidotti, 362 ss.), ma solo il carattere abusivo dell'istanza (cfr., infra).

Il diritto di controllo non ha ad oggetto soltanto i libri sociali, ma tutti i documenti e le scritture contabili, i documenti fiscali e quelli riguardanti singoli affari, poiché il riferimento normativo ai “documenti relativi all'amministrazione” appare in sé idoneo a ricomprendere ogni documento concernente la gestione della società e non consente letture riduttive volte a distinguere, ad esempio, la documentazione amministrativo-contabile da quella più prettamente commerciale (Trib. Milano, 30 novembre 2004, in Giur. it. 2005, 1245; Trib. Bologna, 6 dicembre 2006, in Giur. comm. 2008, II, 213; Trib. Napoli, 12 novembre 2015). Tuttavia, la giurisprudenza si è mostrata sensibile ad esigenze di riservatezza della società evidenziando che il diritto può trovare specifiche limitazioni, mediante opportuni accorgimenti (ad esempio il mascheramento preventivo, nelle fatture, sia dei nomi dei clienti e dei fornitori che dei prezzi), a fronte di non pretestuose esigenze di riservatezza fatte valere dalla società (Trib. Milano, 15 giugno 2015, in Giur. it. 2015, 2145; Trib. Milano, 29 settembre 2015). Si è, dunque, pervenuti a ravvisare un obbligo degli amministratori di rifiutare, sotto la propria responsabilità, l'accesso alle informazioni. Infatti, laddove sussista il rischio concreto che il socio di s.r.l., in violazione dei principi di buona fede e correttezza, si avvalga del diritto di informazione e consultazione dei documenti della società per cagionarle un pregiudizio, gli amministratori, nel perseguimento dell'interesse sociale, sono tenuti a opporsi alla richiesta di informazioni del socio (Trib. Roma, 9 luglio 2009, in Foro it. 2010, I, 1972).

Si ritiene poi che il diritto ricomprenda anche il diritto di estrarre copia della documentazione, a spese del richiedente (Trib. Milano, 15 giugno 2015; Trib. Napoli, 16 aprile 2013; Trib. Roma, 15 gennaio 2015, cit.; contra Trib. Milano, 30 novembre 2004).

Conforme, sulla possibilità di estrarre copie, l'orientamento della dottrina (Paolucci, in Comm. S.B. 2014, 476; Angelillis-Sandrelli, 709; Abriani, 609, contra Guidotti, 365 ss. che argomenta dalla possibilità per il socio di esercitare il diritto attraverso professionisti di propria fiducia).

Quanto ai limiti all'esercizio del diritto, in giurisprudenza si fa sovente riferimento ai principi di buona fede e correttezza (Trib. Roma, 9 luglio 2009, in Foro it. 2010, 1972).

Assai discussa è la derogabilità o meno della norma: l'interrogativo si pone non prevedendo espressamente la norma la nullità del patto contrario volto a limitare il potere di controllo.

Secondo un primo orientamento, l'art. 2476 comma 2 non contiene alcun elemento che faccia propendere per l'inderogabilità della norma (Zanarone, 1119 ss.; Guidotti, 355 ss.). Altra parte della dottrina ritiene, invece, la nullità delle clausole che escludano o limitino il diritto di accesso alla documentazione sociale, in quanto si tratta di un diritto connesso alla partecipazione sociale completamente indipendente dai rapporto di maggioranza. In questa prospettiva, la maggioranza non potrebbe comunque limitare o escludere il diritto di informazione del singolo socio (Buta, 614; Benazzo, 1063).

La norma di cui all'art. 2476 comma 2 deve ritenersi inderogabile in peius, tanto più che nelle società a responsabilità limitata non si ritiene applicabile la disciplina prevista dall'art. 2409. con la conseguenza che un penetrante controllo da parte dei soci è funzionale al sistema (Trib. Venezia, 12 gennaio 2016; T. Bari, 10 maggio 2004, in Giur. it. 2005, 308 e in Riv. dir. comm. 2004, II, 209).

Il diritto del socio non amministratore di avere notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite un professionista di fiducia, i libri ed i documenti relativi all'amministrazione, ed eventualmente estrarne copia, può essere oggetto di tutela tramite azione di merito specifica o in via d'urgenza ex art. 700 c.p.c. (Trib. Ivrea, 4 luglio 2005, in Giur. comm. 2007, II, 748; Trib. Santa Maria Capua Vetere, 10 giugno 2011, in Soc. 2011, 1014).

Trattandosi di provvedimento giudiziale di condanna avente ad oggetto un obbligo di fare infungibile, al riguardo può trovare applicazione, quale mezzo di coercizione indiretta, l'astreinte di cui all'art. 614-bis c.p.c., applicabile anche ai provvedimenti cautelari (Trib. Milano, 12 gennaio 2013).

La responsabilità degli amministratori

L'articolo in commento pone una disciplina sintetica della responsabilità degli amministratori verso la società, i soci ed i terzi. Si osserva come, quanto ai presupposti generali della responsabilità ed alla natura delle diverse azioni, sussiste una quasi completa simmetria (Abriani, 615) rispetto alla disciplina prevista per le società azionarie così che è possibile rinviare al commento delle norme che regolano quest'ultima.

L'art. 2476 prevede una responsabilità di natura colposa ponendo quale criterio di valutazione e di ascrivibilità della responsabilità medesima, la diligenza del comportamento dell'amministratore, criterio ancor più pregnante ove riferito a obblighi definiti da clausole di carattere generale (Trib. Roma, 28 settembre 2015). Più nel particolare, la norma, pur non richiamando espressamente le più articolate norme interne di responsabilità degli amministratori delle società per azioni, ne riproduce in sostanza il contenuto, seppure con formula più sintetica (Trib. Napoli, 5 agosto 2015).

Recentemente (Cass. n. 2038/2018), la giurisprudenza ha affermato che l'art. 2476 pone, invero, la responsabilità solidale in capo agli amministratori, con formula più sintetica rispetto all'art. 2392. Nonostante alcune differenze letterali (il mancato riferimento alla delega gestoria ed alla circolazione dei flussi informativi all'interno del consiglio; la menzione di atti pregiudizievoli ancora da compiere e non degli atti pregressi), identico è, tuttavia, il contenuto normativo: si dà unicamente responsabilità colpevole, mai oggettiva, dovendo essa pur sempre essere ancorata almeno all'elemento soggettivo della colpa; alla "cognizione" del fatto altrui va equiparata la conoscibilità; la mera annotazione del "dissenso" non è sufficiente, non trattandosi di esenzione formale, ma di sostanziale assenza di colpa, posto che non al mero procedimento di rituale verbalizzazione del dissenso in occasione del consiglio di amministrazione deliberante l'atto dannoso è ancorato l'esonero da responsabilità, ma all'effettiva mancanza di qualsiasi colpa, sotto i due profili sopra menzionati. Come nelle ordinarie fattispecie di responsabilità solidale civilistica, pertanto, anche nell'ambito del diritto commerciale, secondo la disciplina positiva appena ricordata, la regola della responsabilità solidale gestoria non esclude affatto che, sebbene in astratto tutti gli amministratori siano responsabili del danno cagionato alla società, in concreto la responsabilità residui solo a carico di uno o taluno di essi; e che, così come nell'illecito civile, la graduazione interna delle responsabilità si operi in relazione all'apporto effettivo di ciascuno alla causazione dell'evento, anche sino ad escluderne interamente quella di alcuno (in tal senso, v. già, con riguardo al testo ante riforma del 2003 ed alla rilevanza in sede di regresso della graduazione delle colpe, Cass. n. 9384/2011; Cass. n.  22911/2010; Cass. S.U.,  n. 20933/2009).

L'azione sociale di responsabilità

Il comma 3 dell'art. 2476dispone che l'azione di responsabilità contro gli amministratori è promossa da ciascun socio.

Come si vede, la norma non menziona la legittimazione attiva della società con la conseguenza che la giurisprudenza e la dottrina si sono interrogate sulla possibilità che l'azione sociale di responsabilità possa essere proposta dalla società.

Secondo talune decisioni intervenute a ridosso dell'emanazione della nuova normativa, sulla base del dato testuale, la legittimazione all'esercizio dell'azione sociale di responsabilità è attribuita in via esclusiva al singolo socio, mentre è preclusa all'iniziativa sociale (Trib. Milano, 12 aprile 2006, in Giur. it. 2006, 2096; Trib. Milano, 2 novembre 2006, in Giur. it. 2007, 655).

Tuttavia, oggi è pacifico l'orientamento favorevole a riconoscere la legittimazione della società in quanto questa è titolare del diritto al risarcimento del danno da essa stessa subito: una diversa opzione interpretativa, quindi, si mostrerebbe costituzionalmente illegittima in quanto priverebbe il soggetto titolare del diritto di agire in giudizio per farlo valere (Cass., n. 30075/2020, sul punto, già, Trib. Napoli, 28 aprile 2004 , in Soc. 2004, 1396; Trib. Roma, 22 maggio 2007, in Foro it. 2008, I, 307; Trib. Roma, 19 ottobre 2015).

Ammessa anche dalla dottrina (Scognamiglio, 296; Abriani, 619; Paolucci, in Comm. S.B. 2014, 502) la legittimazione della società, è dubbio se sia necessaria una deliberazione assembleare o, comunque, una decisione dei soci che autorizzi l'esercizio dell'azione (in senso favorevole, Abriani, 619; contra, Zanarone, 1067 il quale evidenzia come, in assenza di una disposizione corrispondente a quella di cui all'art. 2393 comma 1, l'esercizio di un diritto della società rientra pur sempre nelle competenze gestorie degli amministratori i quali possono disporne senza alcun vincolo di preventiva decisione da parte della collettività dei soci; in questo ultimo senso, anche Angelillis-Sandrelli, 735).

Il medesimo contrasto si avverte in giurisprudenza. Infatti, a fronte di un orientamento secondo il quale non occorre una preventiva deliberazione assembleare (Trib. Roma, 19 ottobre 2015), è stata talvolta dichiarata improcedibilità dell'azione nel caso in cui non risulti essere mai stata né deliberata o comunque autorizzata dai soci (Trib. Milano, 30 giugno 2008).

Sempre con riferimento all'iniziativa della società è dubbia la possibilità di applicare alla società a responsabilità limitata la norma, prevista per le società azionarie, di cui all'art. 2393 comma 2 secondo la quale la deliberazione concernente la responsabilità degli amministratori può essere presa in occasione della discussione del bilancio, anche se non è indicata nell'elenco della materia da trattare, quando si tratta di fatti di competenza dell'esercizio cui si riferisce il bilancio (in senso negativo, in dottrina Scognamiglio, 306 e, in giurisprudenza, Trib. Roma, 30 maggio 2013).

La norma attribuisce la legittimazione all'esercizio dell'azione sociale di responsabilità ad un soggetto, quale il socio, indipendentemente dalla consistenza della relativa partecipazione al capitale sociale diverso dal titolare del diritto medesimo, che in nome proprio fa valere il diritto della persona giuridica alla reintegrazione per equivalente pecuniario del pregiudizio al proprio patrimonio derivato dalla violazione dei doveri di corretta e prudente gestione per legge e per statuto incombenti sull'amministratore (art. 81 c.p.c.). La società, dunque, deve essere comunque evocata in giudizio essendo, in quanto titolare del diritto fatto valere nel processo, litisconsorte necessaria (Trib. Roma, 9 novembre 2012; Trib. Napoli, 7 settembre 2007, in Foro it. 2008, I, 2060; Trib. Santa Maria Capua Vetere, 4 gennaio 2005, contra Trib. Nola, 2 novembre 2010 in Giur. mer. 2011, 1834 che esclude la qualifica di litisconsorte necessaria da parete della società).

Le medesime conclusioni si rinvengono nella dottrina maggioritaria (Scognamiglio, 310 ss., spec., 338 ss.; Abriani, 618 ss.; Paolucci, in Comm. S.B. 2014, 504).

Nel caso in cui, al momento dell'esercizio dell'azione sociale, l'amministratore convenuto sia ancora in carica è necessario, che prima dell'inizio del processo venga nominato curatore speciale ex art. 78, comma 2, c.p.c. e ciò in ragione del conflitto di interessi fra rappresentante (l'amministratore che sia anche dotato del potere di rappresentanza della società) e rappresentato (la società) (Trib. Roma, 22 maggio 2007, in Foro it. 2008, 1, I, 307; Trib. Roma, 9 novembre 2012). Tale assunto è stato recentemente confermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo la quale nell'azione di responsabilità promossa dal singolo socio, exart. 2476 verso l'amministratore e il liquidatore, la società, in quanto litisconsorte necessario, non può essere rappresentata dallo stesso soggetto convenuto con l'azione di responsabilità esercitata in sua vece: a pena di conflitto di interessi con il suo rappresentante legale, anche solo potenziale, deve dunque essere nominato un curatore speciale ai sensi dell'art. 78, comma 2, c.p.c. non essendo necessario l'accertamento dei sintomi dell'effettività del conflitto (Cass., n. 10936/2016).

Si discute se la qualità di socio configuri una condizione dell'azione che deve permanere per tutta la durata del giudizio ovvero un presupposto processuale che deve sussistere solo al momento dell'instaurazione del giudizio (in quest'ultimo senso, Scognamiglio, 316).

Si ritiene che sia legittimato ad esperire l'azione anche il socio amministratore, ma si evidenzia come, in tal caso, il socio amministratore attore dovrà dimostrare di avere preventivamente dissociato il proprio operato da quello dell'amministratore ritenuto responsabile (Scognamiglio 324).

Quanto alla legittimazione passiva all'azione, essa spetta (sul punto, Scognamiglio, 279 ss.): 1) all'amministratore che esercita attività gestoria sulla base di un valido atto di nomina o di predisposizione all'ufficio; 2) all'amministratore di fatto; 3) al socio, in solido con gli amministratori, che abbia intenzionalmente autorizzato o deciso gli atti dannosi (Scognamiglio, 283 che precisa che si tratta di una responsabilità del socio con presupposti suoi propri, cfr. infra); all'amministratore investito di un diritto particolare riguardante l'amministrazione; ai liquidatori la cui responsabilità segue la disciplina della responsabilità degli amministratori.

Il quinto comma dell'articolo in commento prevede che, salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo, l'azione di responsabilità può essere oggetto di rinuncia o transazione da parte della società, purché: 1) vi consenta una maggioranza dei soci rappresentante almeno i due terzi del capitale sociale; 2) non si oppongano tanti soci che rappresentano almeno il decimo del capitale sociale (sul punto, Abriani, 621 ss.; Paolucci, in Comm. S.B. 2014, 505).

La revoca cautelare degli amministratori

Il medesimo comma 3 della disposizione in commento, dopo avere attribuito al singolo socio la legittimazione ad esperire l'azione sociale di responsabilità, prevede che questi può «altresì» chiedere, in caso di gravi irregolarità nella gestione della società, che sia adottato «provvedimento cautelare di revoca» degli amministratori medesimi che il giudice può subordinare alla prestazione di apposita cauzione.

In ragione del tenore letterale della norma non si dubita della natura cautelare del rimedio (contra, però, Consolo, 274; Bartalena, 179) dalla quale discende che il giudice dovrà vagliare l'esistenza dei presupposti tipici delle misure cautelari vale a dire il fumus boni iuris ed il periculum in mora (Abriani, 625). La tipicità del rimedio cautelare importa, poi, l'inammissibilità della domanda di invocare la tutela atipica di cui all'art. 700 c.p.c. (Scognamiglio, 375).

Il primo quesito che si è posto sulla base della disposizione introdotta dalla riforma riguarda la possibilità di chiedere l'adozione del provvedimento cautelare di revoca ante causam. Sebbene talune decisioni della giurisprudenza di merito abbiano ritenuto che la norma configuri una misura cautelare necessariamente incidentale rispetto al giudizio di merito (Trib. Vercelli 28 settembre 2005, in Soc. 2006, 885; Trib. Brescia, 8 marzo 2005, in Soc. 2005, 1254; Trib. Treviso 7 febbraio 2005, in Giur. it. 2005, 2107 e, più di recente, Trib. Torino 27 febbraio 2012 in Pluris), l'orientamento del tutto maggioritario ritiene che non vi siano ragioni, in difetto di espressa indicazione in senso contrario da parte della norma, per escludere l'operatività della norma di cui all'art. 669 ter c.p.c. (Trib. Roma 31 marzo 2004, in Giur. Mer. 2005, 2254; Trib. Roma, 30 luglio 2004, in Giur. it. 2005, 309; Trib. Milano, 23 gennaio 2014, in Giur. it. 2014, 1940; Trib. Torino 16 dicembre 2013, in Giur. it. 2014, 1941; Trib. Torino, 11 marzo 2011; Trib. Salerno, 29 settembre 2007; Trib. Napoli 5 maggio 2008, in Soc. 2009, 1525).

Con riguardo alla legittimazione attiva e passiva può rinviarsi alle considerazioni svolte in generale con riguardo all'azione sociale di responsabilità.

Si ritiene, poi, che la norma non attribuisca al giudice anche la competenza alla nomina di un amministratore giudiziario in sostituzione di quello revocato in quanto l'attribuzione al giudice di un così penetrante potere, di natura costitutiva ed incidente sulla sfera di autonomia della società, necessito di una specifica previsione normativa (Scognamiglio, 376).

Concorde la giurisprudenza di merito (Trib. Roma, 30 luglio 2004, in Giur. it. 2005, 309; Trib. Catania, 14 ottobre 2004, in Dir. fall. 2005, II, 277). Al fine di evitare vuoti, si osserva che l'istituto della prorogatio dei poteri trova applicazione anche nei confronti dell'amministratore revocato giudizialmente, il quale, non ancora sostituito dai soci, ha il potere-dovere di compiere tutti gli atti di ordinaria amministrazione fra cui, in particolare, quelli inerenti alla convocazione dell'assemblea per la sua sostituzione (Trib. Roma, 25 settembre 2007, in Riv. dir. comm. 2008, 1).

Segue. La natura strumentale o anticipatoria del provvedimento di revoca

La questione principale che si è posta all'attenzione in sede di interpretazione della norma riguarda l'ascrivibilità della revoca ai provvedimenti cautelari conservativi o a quelli anticipatori degli effetti della sentenza di merito. Si contendono il campo sostanzialmente due diverse ricostruzioni.

Secondo un primo orientamento, l'azione intrapresa dal socio sarebbe avvinta da un nesso di strumentalità rispetto all'azione di responsabilità prevista dalla stessa norma, avendo la funzione di impedire l'aggravamento del danno di cui si intende richiedere il risarcimento nel giudizio di merito e non essendo ipotizzabile un nesso di strumentalità rispetto a un'azione di revoca nel merito (non prevista dall'ordinamento), di cui l'azione cautelare anticiperebbe gli effetti. Una simile ricostruzione ha evidenti implicazioni sul lato pratico: ai fini della valutazione dell'esistenza del presupposto del fumus boni iuris, occorre che i comportamenti imputati all'amministratore di cui si chiede la revoca abbiano comportato per la società un danno attuale e potenzialmente suscettibile di aggravamento con la permanenza in carica dell'amministratore stesso. (Trib. Roma, 9 novembre 2012; Trib. Santa Maria C.V. 8 maggio 2007, in Soc. 2009, 1146; Trib. Roma 12 novembre 2004, in Giur. it. 2005, 309; Trib. Roma, 22 maggio 2007, in Foro it. 2008, I, 307; Trib. Genova 6 settembre 2005, in Soc. 2007, 77; Trib. Napoli 20 ottobre 2005, in Soc. 2006, 625; Trib. Torino 20 maggio 2010, in Soc. 2010, 1381; Trib. Torino 16 dicembre 2013, in Giur. it. 2014, 1941, quest'ultimo dubbioso quest'ultima sulla esistenza della azione di revoca nel merito; Trib. Venezia, 24 novembre 2015;  nonché, da ultimo Trib. Catanzaro, 30 maggio 2017). Si osserva, in particolare, che nessuna norma conferisce al giudice il potere di revoca l'amministratore all'esito del giudizio di merito con la conseguente impossibilità di inquadrare il rimedio cautelare tra quelli anticipatori: si evidenzia, in questa prospettiva, il disposto di cui all'art. 2908 secondo il quale i provvedimenti giurisdizionali possono produrre effetti costitutivi o estintivi di rapporti giuridici solo nei casi previsti dalla legge. 

Tale ricostruzione si riscontra anche in una parte della dottrina (Cagnasso, 260; Comastri, Valerini, 453; Arieta, Gasperini, 267).

Secondo diverso orientamento, invece, il legislatore avrebbe inteso configurare una misura anticipatoria della sentenza di merito che ha per oggetto la definitiva revoca dell'amministratore. Si osserva che la norma subordina la concessione del provvedimento cautelare di revoca alla mera sussistenza delle gravi irregolarità nella gestione senza fare riferimento all'attualità del danno (Zanarone, 1085) così concependo la richiesta in modo del tutto svincolato dall'azione sociale di responsabilità e, comunque, funzionale ad altra diversa domanda di merito (la revoca, appunto). (Abriani, 626; Weigmann, 545 ss; Rossi, 213 ss.; Scognamiglio, 384). Anche una simile ricostruzione ha importanti ricadute pratiche in quanto, ai fini dell'accoglimento della domanda, non dovrebbe dimostrarsi l'esistenza in atto di un danno risarcibile conseguente alla condotta inadempiente dell'amministratore, ma solo il compimento da parte di questi di gravi irregolarità nella gestione. In questa prospettiva, la revoca cautelare dell'amministratore sarebbe sostanzialmente speculare alla denunzia al tribunale prevista, per le società azionarie, dall'art. 2409.

Tale orientamento — che trova il proprio antecedente nella motivazione della decisione del giudice delle leggi (Corte cost., 29 dicembre 2005, n. 481) ove si evidenziava come l'art. 2476 comma 3 realizza «per altra via la medesima intensità di tutela garantita dall'art. 2409» — è seguito anche da una parte della giurisprudenza di merito (Trib. Milano, 17 maggio 2017, in Soc., 2017, 1143; Trib. Milano, 15 maggio 2017; Trib. Milano 23 gennaio 2014 in Giur. it. 2014, 1940; Trib. Lucca, 13 settembre 2007, in Giur. comm. 2009, II, 216; Trib. Napoli, 20 ottobre 2005, in Foro it. 2006, I, 1222).

La responsabilità verso i singoli soci ed i terzi

Il comma 6 dell'articolo in commento prevede che le disposizioni dei precedenti commi non pregiudicano il diritto al risarcimento dei danni spettante al singolo socio o al terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori.

L'azione in argomento, di natura extracontrattuale (Paolucci, in Comm. S.B. 2014, 512; Abriani, 627), presuppone che l'atto doloso o colposo realizzato dagli amministratori abbia arrecato al patrimonio del socio o del terzo un danno diretto (Abriani, 628; Pinto, 891; Zanarone, 1089 ss.).

Rinviando al commento dell'art. 2395, per l'utile esercizio dell'azione si richiede che il pregiudizio subito dal socio non sia il mero riflesso dei danni eventualmente arrecati al patrimonio sociale, ma sia direttamente cagionato al socio come conseguenza immediata del comportamento illecito degli amministratori (Trib. Roma, 21 novembre 2013, in Riv dir. soc. 2014, 309).

La responsabilità verso i creditori sociali

Il d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (art. 378, comma 1) ha precisato (recependo l’orientamento assolutamente maggioritario in giurisprudenza) che gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale e che l'azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti. La nuova formulazione della norma ha inteso chiarire definitivamente l’esperibilità, anche nelle società a responsabilità limitata, dell’azione dei creditori sociali. La medesima nuova norma ha anche precisato che la rinunzia all'azione da parte della società non impedisce l'esercizio dell'azione da parte dei creditori sociali e che la transazione può essere impugnata dai creditori sociali soltanto con l'azione revocatoria quando ne ricorrono gli estremi.

Chiarita l’ammissibilità dell’azione dei creditori sociali ad esperire l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, può rinviarsi al commento degli artt. 2394 e 2394-bis per quanto riguarda alla natura dell’azione ed alla sua disciplina. 

La responsabilità gestoria dei soci

Il comma 8 (già 7)  della disposizione in argomento prevede, con una norma di significativo valore sistematico (Rordorf, 1181), la responsabilità solidale con gli amministratori dei soci che abbiano intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi. 

La responsabilità del socio ai sensi dell’art. 2476 comma 8 non è sussumibile in quella dell'amministratore di fatto (così la dottrina del tutto maggioritaria, Abriani, 632 ss., Santosuosso, 551 ss.; Paolucci, in Comm. S.B. 2014, 516). In particolare, si osserva, sul punto, che la norma in commento: 1) fa riferimento alla posizione del socio, mentre amministratore di fatto può essere anche un terzo; 2) prevede una responsabilità del socio accessoria a quella dell'amministratore, mentre la responsabilità dell'amministratore di fatto prescinde dalla configurabilità di quest'ultima; 3) prevede la responsabilità del socio anche con riferimento ad un occasionale atto gestorio che abbia egli intenzionalmente deciso o autorizzato, mentre è amministratore di fatto soltanto colui che svolge le funzioni gestorie con carattere di sistematicità che non si esauriscano nel compimento di atti di natura eterogenea e occasionale (Abriani, 634).

Presupposti per l'applicazione della suddetta normativa sono l'alterità soggettiva del socio rispetto agli amministratori (se tutti i soci fossero amministratori, si applicherebbero direttamente i commi 1 e 3); il compimento da parte dell'amministratore di un atto dannoso (si evidenzia in dottrina che la responsabilità del socio sussiste anche quando l'atto sia stato non già deciso dall'amministratore, ma soltanto eseguito da questi, Santosuosso, 552); la qualità di socio del soggetto che decide od autorizza (intenzionalmente) il compimento dell'atto dannoso. È stato osservato (Santosuosso, 551) che la responsabilità viene in rilievo non già per una semplice assenza di controllo e neppure, in ipotesi di effettiva esistenza dell'atto dannoso, per la mera riconducibilità di tale atto al socio, ma solo in caso di intenzionale decisione o autorizzazione, da parte del socio, di quegli specifici atti dannosi. Per tale ragione, la responsabilità del socio è solidale con quella degli amministratori.

Dalla alterità soggettiva tra amministratori e soci responsabilità ex art. 2476 comma 7, deriva (Santosuosso, 553) che: 1) l'atto gestorio deve essere imputato formalmente all'amministratore in carica; 2) la responsabilità del socio presuppone l'accertamento giudiziale della scorrettezza amministrativa dell'atto dannoso; 3) non vi è responsabilità per gli atti (non gestori) che rientrano inderogabilmente nella competenza decisoria dei soci (in questo senso, anche Zanarone, 1125).

Ci si è chiesti, poi, se vengono in rilievo solo gli atti autorizzati o decisi dal socio nell'ambito dei poteri attribuiti al socio dalla legge o dall'atto costitutivo o se viceversa possono acquistare rilievo, secondo un'interpretazione estensiva, anche l'impulso all'attività gestoria che il socio avesse comunque dato a livello decisionale sia pure al di fuori di formali procedimenti di decisione e/o di autorizzazione (su tale problematica, Zanarone, 1126; Bonora, 163).

La giurisprudenza di merito ha aderito alla interpretazione più estensiva evidenziando come possa venire in rilievo tanto il voto espresso nell'assemblea ovvero nel consenso manifestato alle decisioni assunte mediante consultazione scritta quanto tutte quelle manifestazioni di volontà espresse dai soci anche in forme non istituzionali e meramente ufficiose, ma tali in ogni caso da evidenziare l'ingerenza o anche l'influenza effettiva spiegata da costoro sugli amministratori (Trib. Roma, 19 novembre 2014).

Particolarmente problematica appare, poi, la valutazione dell'elemento psicologico della fattispecie espresso nell'avverbio «intenzionalmente» (Bonora, 217 ss.; Ferraro, 249; Meli, 691 ss.; Rescigno, 219 ss.).

Tale avverbio potrebbe, infatti, essere interpretato o riferendo l'intenzionalità alla decisione o all'autorizzazione che porterebbe ad una responsabilità dei soci anche per colpa lieve oppure all'evento dannoso stesso (così, Irace, 187; Benazzo, 1073; Zanarone, 1131) ed alle conseguenze contra ius che ne derivano.

Si è così osservato che l'intenzionalità deve consistere nella piena coscienza di compiere quell'atto decisionale o autorizzatorio potenzialmente dannoso e perciò deve indicare la riferibilità psicologica dell'atto al socio (Santosuosso, 554; Meli, 692; Rordorf, 1187).

Deve trattarsi di atti o comportamenti tali da supportare intenzionalmente l'azione illegittima e dannosa poi posta in essere dagli amministratori: è sufficiente che vi sia la consapevolezza, frutto di conoscenza o di esigibile conoscibilità, da parte del socio dell'antigiuridicità dell'atto e che, nonostante ciò, costui partecipi alla fase decisionale finalizzata al successivo compimento di quell'atto da parte dell'amministratore. L'intenzionalità, in questa prospettiva, è costituita dalla piena coscienza di compiere quell'atto decisionale o autorizzatorio potenzialmente dannoso e, in definitiva, dalla riferibilità psicologica dell'atto al socio (Trib. Roma, 19 novembre 2014, cit.). Altra giurisprudenza ha osservato che l'avverbio intenzionalmente esprime la volontà di supportare un'operazione illecita (Trib. Milano, 9 luglio 2009, in Giur. comm. 2011, II, 147).

Bibliografia

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