Codice Civile art. 2479 ter - Invalidità delle decisioni dei soci (1).

Guido Romano

Invalidità delle decisioni dei soci (1).

[I]. Le decisioni dei soci che non sono prese in conformità della legge o dell'atto costitutivo possono essere impugnate dai soci che non vi hanno consentito, da ciascun amministratore e dal collegio sindacale entro novanta giorni (2) dalla loro trascrizione nel libro delle decisioni dei soci. Il tribunale, qualora ne ravvisi l'opportunità e ne sia fatta richiesta dalla società o da chi ha proposto l'impugnativa, può assegnare un termine non superiore a centottanta giorni (2) per l'adozione di una nuova decisione idonea ad eliminare la causa di invalidità.

[II]. Qualora possano recare danno alla società, sono impugnabili a norma del precedente comma le decisioni assunte con la partecipazione determinante di soci che hanno, per conto proprio o di terzi, un interesse in conflitto con quello della società.

[III]. Le decisioni aventi oggetto illecito o impossibile e quelle prese in assenza assoluta di informazione possono essere impugnate da chiunque vi abbia interesse entro tre anni dalla trascrizione indicata nel primo periodo del primo comma (2) (3). Possono essere impugnate senza limiti di tempo le deliberazioni che modificano l'oggetto sociale prevedendo attività impossibili o illecite.

[IV]. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 2377, primo, quinto, settimo, ottavo e nono comma (4), 2378, 2379-bis, 2379-ter e 2434-bis.

(1) V. nota al Capo VII.

(2) V. Avviso di rettifica in G.U. 4 luglio 2003, n. 153.

(3) La parola «primo» è stata sostituita alla parola «secondo» dall'art. 22 d.lg. 28 dicembre 2004, n. 310.

(4) Le parole «primo, quinto, settimo, ottavo e nono comma» sono state sostituite alle parole «quarto, sesto, settimo e ottavo comma» dall'art. 3 d.lg. 17 gennaio 2003, n. 6, come modificato dall'art. 5 1tt) d.lg. 6 febbraio 2004, n. 37.

Inquadramento

Come nel caso di società per azioni, il legislatore ha inteso dettare, anche per le società a responsabilità limitata, una disciplina dell'invalidità delle decisioni dei soci che coniugasse la tutela dei soggetti lesi (società, soci, terzi) e la stabilità degli atti societari (Zanarone, 1387).

Ferma la comune esigenza di fondo, tuttavia, la riforma ha introdotto, per la società a responsabilità limitata, una regolamentazione autonoma e differenziata della materia che tiene conto, in particolare, della pluralità delle modalità di formazione della volontà sociale (assembleare o extrassembleare). Peraltro, la disciplina è completata da una fitta rete di richiami a specifiche norme dettate per la società azionaria che saranno applicabili previa verifica della loro compatibilità con il tipo sociale della S.r.l.

Sulla scorta del disposto dell'art. 2479 ter che non menziona mai le fattispecie della nullità e della annullabilità, una parte della dottrina ha revocato in dubbio la vigenza della distinzione segnalando, in particolare, che la struttura della norma si sviluppa attorno alla fattispecie-base della decisione non conforme alla legge ed all'atto costitutivo: in questa prospettiva, il legislatore avrebbe rinunziato ad operare classificazioni, prevedendo una disciplina sostanzialmente unitaria, in cui le deroghe si fondato non già sulla qualificazione dei vizi, ma sulla loro diretta individuazione (Palmieri 173, contra Guerrieri, 2045).

L'inesistenza

Altro problema che si è posto con la riforma del diritto societario inerisce alla perdurante permanenza del concetto di inesistenza della decisione dei soci. Rinviando a quanto evidenziato con riferimento alla società per azioni, si osserva che il legislatore ha espressamente regolato diverse ipotesi che, in precedenza, la giurisprudenza riconduceva al concetto di inesistenza.

Tuttavia, parte della dottrina (Cian, 765; Mirone, 508), ribadendo che la nullità presuppone comunque l'idoneità del fatto a produrre taluni effetti stabiliti dall'ordinamento al ricorrere di determinate condizioni, evidenzia l'ammissibilità della categoria dell'inesistenza ove determinati “fatti” non potrebbero neppure essere qualificabili come decisioni dei soci, in quanto mancanti degli elementi essenziali per la loro sussunzione all'interno della fattispecie delle decisioni dei soci (Cian, 776). Secondo altra parte della dottrina, sulla base della disciplina recata dalla disposizione in commento, ritiene che le categorie della nullità e dell'annullabilità qui disciplinate coprono tutto il campo delle invalidità delle decisioni dei soci così che rimarrebbe ben poco spazio per la categoria della inesistenza (Arcidiacono, 851).

L'annullabilità

Il primo comma della disposizione in commento delinea l'area dei vizi che ordinariamente vengono ricondotte alla fattispecie della annullabilità delle deliberazioni assembleari.

Sotto il profilo oggettivo, dunque, sono invalide le decisioni non prese in conformità alla legge o all'atto costitutivo.

Quanto alla legittimazione ad impugnare, essa viene attribuita, con elencazione tassativa, ai soci che non vi hanno consentito, a ciascun amministratore ed al collegio sindacale. Nella società a responsabilità limitata, ciascun socio, dunque, a prescindere dall'entità della sua partecipazione al capitale sociale, è legittimato ad impugnare le decisioni invalide, purché non vi abbia consentito: potranno così impugnare i soci dissenzienti, assenti o astenuti. Secondo taluni, non sono legittimati i soci che, in epoca successiva alla deliberazione, abbiano espresso il proprio consenso alla sua adesione (Guerrieri, 2046). Ancora, sarebbe legittimato il socio che si trovi privato del diritto di voto (Guerrieriibidem).

Il socio dovrà mantenere la propria partecipazione al capitale sociale della società per tutta la durata del giudizio conformemente al disposto di cui all'art. 2378 comma 2. Con riferimento alla posizione di «ciascun amministratore», si rileva che la legittimazione è attribuita a ciascun amministratore senza necessità, in caso di amministrazione collegiale, di una decisione dell'organo. È, però, dubbio se la legittimazione sussista anche quando la decisione sia stata approvata con il voto favorevole di tutti i soci. In senso favorevole, si osserva che la legittimazione degli amministratori ad impugnare le deliberazioni assembleari si fonda, non già su un proprio interesse, ma sull'esigenza di tutela dell'interesse generale alla legalità societaria che implica l'esistenza di un diritto ad impugnare anche nel caso in cui la decisione invalida sia stata approvata dai soci all'unanimità.

La legittimazione all'impugnazione è attribuita, infine, all'organo di controllo della società: non però al revisore dei conti (Guerrieri, 2046; Magliulo, 312; Carbonara, 165; contra, Cagnasso, 316).

Al contrario, la norma non annovera tra i soggetti legittimati all'impugnazione della deliberazione la società dalla quale quella deliberazione promana: la società è, invece, esclusivamente legittimata passiva nel giudizio di impugnazione (Cass., 5 ottobre 2012, n. 17060).

In caso di comproprietà della quota, l'impugnazione della delibera assembleare può essere proposta esclusivamente dal rappresentante comune e non dal singolo comproprietario (Cass., 18 luglio 2007, n. 15962 sebbene in un caso di comproprietà di azioni, ma con ragionamento estensibile anche alle S.r.l.)

Il termine per impugnare, previsto in novanta giorni, decorre dalla data dell'iscrizione della deliberazione nel libro delle decisioni dei soci, libro che, dunque, assume funzione di “pubblicità interna” alla società (Zanarone, 1406, Arcidiacono, 854) che garantisce la conoscenza da parte dei soci che, in quanto interessati alla vita societaria, possono procedere alla sua consultazione.

Il decorso del termine di cui all'articolo in commento è soggetto alla sospensione feriale (Trib. Milano, 23 settembre 2015).

Sulla base di quanto disposto dalla seconda parte del primo comma, il giudice può assegnare un termine non superiore a 180 giorni per l'adozione di una nuova decisione idonea ad eliminare la causa di invalidità, qualora egli ne ravvisi l'opportunità e ne sia stata fatta richiesta dalla parte che ha proposto l'impugnativa ovvero dalla società.

Il conflitto di interessi del socio

Il comma 2 dell'articolo in commento disciplina la fattispecie del conflitto di interessi del socio, prevedendo l'annullabilità della decisione allorquando: 1) la decisione medesima possa recare danno alla società, 2) la partecipazione del socio, che si trovi in una situazione, per conto proprio o di terzi, di conflitto di interessi con la società, sia stata determinante per la sua adozione.

Il conflitto di interessi non rappresenta ex se una condizione in grado di inficiare la votazione, sia essa una delibera dell'assemblea dei soci o del consiglio di amministrazione; in dette ipotesi, infatti, l'invalidità dell'atto è subordinata non solo al fatto che il voto determinante per il raggiungimento della maggioranza necessaria per l'approvazione della delibera sia espressione del soggetto in capo al quale si configura una situazione di conflitto d'interessi, ma anche alla condizione che tale delibera possa recare alla società un danno, seppur in via solo potenziale (Trib. Milano, 12 febbraio 2014).

Per quanto attiene alla nozione di conflitto di interessi, esso consiste in una contrapposizione tra l'interesse particolare di uno dei soci e l'interesse della società: non rileva, invece, ai fini dell'impugnazione, il caso in cui la decisione consenta ad un socio di conseguire un interesse personale ulteriore e diverso rispetto all'interesse della società senza, tuttavia, implicare un pregiudizio neppure potenziale (Carbonara, 167).

Quanto alle sopra menzionate condizioni per l'annullamento della decisione, il danno indicato dalla norma è quello meramente potenziale (e non già un danno attuale come invece richiesto per l'annullamento delle deliberazioni degli amministratori ex art. 2475-ter).

Il secondo presupposto è costituito dal carattere determinante della partecipazione del socio in conflitto alla decisione. Differentemente rispetto a quanto previsto in materia di società per azioni (art. 2373 comma 1 dove si fa riferimento al «voto determinante»), il legislatore richiede, qui, che determinante sia non già (solo) il «voto», ma la «partecipazione» che dunque interviene tanto sul quorum costitutivo che su quello deliberativo. In altre parole, il legislatore ha voluto prendere in considerazione anche il comportamento del socio che, partecipando all'assemblea, consente il conseguimento del quorum costitutivo e, dunque, l'adozione della deliberazione a prescindere dal comportamento assunto in sede di voto (ad es., il socio potrebbe astenersi) (Carbonara 168, Guerrieri, 2051). La partecipazione, però, deve avere un effetto determinante per l'adozione della deliberazione (c.d. prova di resistenza).

La natura determinate del voto del socio in conflitto di interessi è fatto costitutivo del diritto fatto valere dall'attore (consistente nell'impugnativa delle decisioni sociali ex art. 2479-ter), talché la sua carenza è rilevabile anche d'ufficio dal giudice, non trattandosi di eccezione in senso stretto. La “prova di resistenza” va effettuata espungendo il voto ritenuto illegittimo non solo dal novero dei voti validi ma considerando come se il socio non avesse partecipato al voto, dunque escludendolo dal quorum deliberativo (Trib. Milano, 23 settembre 2015, cit.).

La nullità delle deliberazioni

Il comma 3 della disposizione in commento prende a riferimento vizi che, normalmente, vengono fatti ricadere nell'ambito delle nullità. È, quindi, previsto che le decisioni aventi oggetto illecito o impossibile e quelle prese in assenza assoluta di informazione possano essere impugnate da chiunque vi abbia interesse entro tre anni dalla trascrizione indicata nel primo periodo del comma 1, mentre le deliberazioni che modificano l'oggetto sociale prevedendo attività impossibili o illecite possono essere impugnate senza limiti di tempo le deliberazioni.

La legittimazione ad impugnare, per entrambe le fattispecie previste dal comma in commento, spetta a chiunque vi abbia interesse. Il riferimento all'interesse alla caducazione della deliberazione consente di affermare la legittimazione del socio che abbia concorso all'approvazione della deliberazione medesima (Trib. Milano, 8 gennaio 2009, in Giur. it., 2009, 372) e del creditore sociale (Trib. Milano, 17 agosto 2011, in Soc., 2011, 1261).

Si ritiene (Zanarone, 1428, nt. 78; Palmieri, 214; Guerrieri, 2053), poi, che in tali casi l'invalidità possa essere rilevata d'ufficio dal giudice.

L'azione di nullità delle deliberazioni di una società spetta a chiunque vi abbia interesse, e, quindi in caso di deliberazione di approvazione del bilancio (ma il ragionamento è estensibile anche a differenti ipotesi), a chiunque subisca o possa subire un concreto pregiudizio per effetto dell'inesattezza od incompletezza dei dati forniti dal bilancio medesimo. In altre parole, l'azione di nullità, in quanto postula l'interesse dell'istante, cioè la sua esigenza di rimuovere una situazione pregiudizievole su determinate posizioni giuridiche, non può essere promossa sulla sola base della denunzia di irregolarità, occorrendo la specifica deduzione e dimostrazione dell'incidenza negativa di tali irregolarità nella sfera del soggetto impugnante (Cass., 8 giugno 1988, n. 3881; Cass., 18 marzo 1986, n. 1839).

Salvo il caso di delibere che modificano l'oggetto sociale prevedendo attività impossibili o illecite, viene superato il principio della imprescrittibilità dell'azione di nullità, essendo anche tali impugnazione soggette al termine triennale decorrente dalla trascrizione nel libro delle decisioni dei soci.

L'illiceità dell'oggetto ricorre soltanto quando il contenuto della delibera contrasta con norme dettate a tutela di interessi generali, che trascendono l'interesse del singolo socio o di gruppi di soci, dirette ad impedire deviazioni dallo scopo economico-pratico del rapporto di società (cfr., Cass, 9 aprile 1999, n. 3457; Cass., 23 marzo 1993, n. 3458).

Particolare attenzione meritano le ipotesi di assenza assoluta di informazione e di mancanza del verbale. Quanto alla prima, sebbene introdotta con riferimento alle decisioni non collegiali (Mirone 506), essa troverà applicazione anche con riferimento alle decisioni assembleari (Carbonara 177). Si richiede, per l'integrazione della fattispecie, che l'omessa informazione sia «assoluta» che si determinerà allorquando siano totalmente pretermessi i sistemi informativi necessari a rendere nota ai soci l'intenzione di pervenire ad una determinata deliberazione (Carbonara ibidem, Arcidiacono, 865), mentre si verserà in ipotesi di annullabilità allorquando l'avviso di convocazione, pur esistente, non corrisponda al modello legale (ad es., in caso di mancata o insufficiente indicazione delle materie nell'ordine del giorno).

Da una parte, si è affermato che il vizio di «assenza assoluta di informazione», risolvendosi in quello, previsto per la società per azioni, di «mancata convocazione», si concretizza allorquando l'avviso al socio provenga da chi non sia un componente dell'organo di amministrazione o di controllo della società (Trib. Milano, 6 dicembre 2012, in Giur. it., 2013, 872; Trib. Milano, 12 marzo 2013, in Soc., 2013, 791). Al contrario, non ricorre la nullità in argomento allorché sia stato indirizzato ad uno dei soci un avviso di convocazione, sia pure ad un recapito diverso da quello indicato nel libro soci e con modalità non coincidenti con quelle previste dallo statuto sociale (Trib. Bologna, 18 agosto 2005, in Soc., 2006, 1009).

Una lettura estensiva della nullità per assenza assoluta di informazione è stata proposta da una giurisprudenza di merito (Trib. Nola, 13 marzo 2012) secondo la quale tale fattispecie ricorrerebbe anche nel caso in cui al socio sia stato negato l'accesso ai documenti della società ai sensi dell'art. 2476 comma 2 purché il socio alleghi e provi il nesso concreto ed effettivo tra il mancato o ritardato accesso agli atti sociali e il contenuto della delibera.

In tema di società a responsabilità limitata, la deliberazione dell'assemblea assunta senza la convocazione di uno dei soci è da ritenersi nulla, poiché il disposto dell' art. 2479 ter, comma 3, c.c. , nella parte in cui considera le decisioni prese "in assenza assoluta di informazioni" non si riferisce soltanto alla mancanza di informazioni sugli argomenti da trattare ma anche alla mancanza di informazioni sull'avvio del procedimento deliberativo (Cass., n. 22987/2019).

L'onere della prova riguardante la regolarità della convocazione assembleare grava sulla società (Trib. Milano, 17 maggio 2017).

Nelle deliberazioni assunte con modalità extrassembleari, la nullità si avrà allorquando uno dei soci legittimati a partecipare alla decisione, non riceva la comunicazione, anche telematica, proveniente dal soggetto legittimato che lo ponga nelle condizioni di conoscere preventivamente l'esistenza del procedimento decisionale (Guerrieri 2055).

La norma tace, invece, sull'assenza del verbale. L'assenza di uno specifico riferimento a tale fattispecie ed il mancato richiamo all'art. 2379, che contiene la relativa previsione per la società per azioni, hanno indotto parte della dottrina a rilevare che essa costituisca un vizio di annullabilità della deliberazione (Mirone 496, Guerrera, 99). Tuttavia, l'ultimo comma dell'articolo in commento richiama esplicitamente l'art. 2379-bis che prevede la sanatoria del vizio per redazione successiva del verbale: sulla base di tale richiamo, alcuni ritengono che si tratti di una ipotesi di nullità (Arcidiacono 871).

La falsità del verbale di un'assemblea di società a responsabilità limitata vale ad integrare un'ipotesi di invalidità da ricondurre all'art. 2479-ter comma 1 e non alla più grave previsione di cui al comma 3: infatti l'ipotesi della falsità del verbale, non espressamente ricompresa nelle ipotesi previste da tale ultimo comma, non ne può comportare una automatica estensione della relativa disciplina (Trib. Vercelli, 30 gennaio 2014, in Soc., 2014, 1000).

L difetto di analiticità del verbale di assemblea ordinaria derivante dalla omessa indicazione nominativa dei soci presenti o per delega, e delle relative quote, costituisce motivo di annullamento della delibera poiché in tal modo non si consente agli interessati di ricostruire lo svolgimento della seduta e di controllare la regolarità del processo deliberativo (Trib. Padova, 25 febbraio 2005, in Giur. comm., 2007, II, 451).

I richiami contenuti nell'art. 2479 ter u.c.

L'ultimo comma dell'articolo in commento prevede numerosi rinvii a diversi aspetti della disciplina dettata per la società per azioni. Il rinvio, tuttavia, opererà nei limiti del giudizio di compatibilità.

Bibliografia

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