Codice Civile art. 2549 - Nozione.Nozione. [I]. Con il contratto di associazione in partecipazione [219 trans.] l'associante attribuisce all'associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto [1350 n. 9, 2553]. [II]. Nel caso in cui l'associato sia una persona fisica l'apporto di cui al primo comma non può consistere, nemmeno in parte, in una prestazione di lavoro (1) [III]. (2). (1) Comma sostituito dall'art. 53 d.lg. 15 giugno 2015 n. 81. Il testo recitava: «Qualora l'apporto dell'associato consista anche in una prestazione di lavoro, il numero degli associati impegnati in una medesima attività non può essere superiore a tre, indipendentemente dal numero degli associanti, con l'unica eccezione nel caso in cui gli associati siano legati all'associante da rapporto coniugale, di parentela entro il terzo grado o di affinità entro il secondo. In caso di violazione del divieto di cui al presente comma, il rapporto con tutti gli associati il cui apporto consiste anche in una prestazione di lavoro si considera di lavoro subordinato a tempo indeterminato». Il comma era stato aggiunto dall'art. 1, comma 28, l. 28 giugno 2012, n. 92. (2) Comma soppresso dall'art. 53 d.lg. 15 giugno 2015 n. 81. Il comma era stato aggiunto dall'art. 1, comma 28, l. 28 giugno 2012, n. 92, come modificato, in sede di conversione, dall'art. 7, comma 5, lett. a), n. 2 bis, d.l. 28 giugno 2013, n. 76, conv., con modif., in l. 9 agosto 2013, n. 99. Il testo recitava: «Le disposizioni di cui al secondo comma non si applicano, limitatamente alle imprese a scopo mutualistico, agli associati individuati mediante elezione dall'organo assembleare di cui all'articolo 2540, il cui contratto sia certificato dagli organismi di cui all'articolo 76 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, nonché in relazione al rapporto fra produttori e artisti, interpreti, esecutori, volto alla realizzazione di registrazioni sonore, audiovisive o di sequenze di immagini in movimento». InquadramentoL'istituto dell'associazione in partecipazione di cui all'art. 2549 ss., che si qualifica per il carattere sinallagmatico fra l'attribuzione da parte di un contraente (associante) di una quota degli utili, anche forfettari, derivanti dalla gestione di una sua impresa o di un suo affare all'altro (associato) e l'apporto, da quest'ultimo conferito, che può essere di qualsiasi natura, purché strumentale per l'esercizio di quell'impresa o per lo svolgimento di quell'affare, non determina la formazione di un soggetto nuovo o la costituzione di un patrimonio autonomo, né la comunione dell'affare o dell'impresa, che restano di esclusiva pertinenza dell'associante; pertanto, è solo l'associante che fa propri gli utili, salvo, nei rapporti interni, il suo obbligo di liquidare all'associato la sua quota di utili e a restituirgli l'apporto. Da tale istituto si differenzia la figura, di origine anglosassone, delle «joint venture» e — fra l'altro e più in particolare — quelle delle «joint venture corporations», con il quale termine si indicano forme di associazione temporanea di imprese finalizzate all'esercizio di un'attività economica in un settore di comune interesse, nelle quali le parti prevedono la costituzione di una società di capitali, con autonoma personalità giuridica rispetto ai conventerers, alla quale affidare la conduzione dell'iniziativa congiunta. In tema di associazione in partecipazione, nel caso di fallimento dell'associante, che determina lo scioglimento dell'associazione ai sensi dell'art. 77 l. fall. (per la nuova disciplina v. d.lgs. n. 14/2019 “Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza”), l'associato ha diritto di far valere nel passivo del fallimento il credito per quella parte dei conferimenti che non è assorbita dalle perdite a suo carico, costituendo elemento essenziale del contratto, come si evince dall'art. 2549, la pattuizione a favore dell'associato di una prestazione correlata agli utili di impresa e non ai ricavi, i quali ultimi rappresentano in se stessi un dato non significativo circa il risultato economico effettivo dell'attività di impresa (Cass., n. 19937/2017). Il contratto di associazione in partecipazione, che si qualifica per il carattere sinallagmatico fra l'attribuzione da parte di un contraente (associante) di una quota di utili derivanti dalla gestione di una sua impresa e di un suo affare all'altro (associato) e l'apporto da quest'ultimo conferito, non determina la formazione di un soggetto nuovo e la costituzione di un patrimonio autonomo, né la comunanza dell'affare o dell'impresa, i quali restano di esclusiva pertinenza dell'associante, sicché soltanto l'associante fa propri gli utili e subisce le perdite, senza alcuna partecipazione diretta ed immediata dell'associato, che può unicamente pretendere, una volta che l'affare sia concluso con esito positivo, la liquidazione ed il pagamento di una somma di denaro corrispondente all'apporto ed alla quota spettante degli utili (Cass. n. 12816/2016). Nel caso di contratto misto di associazione in partecipazione e collaborazione di lavoro è ammissibile che le parti assumano il reddito netto dell'associante quale parametro per determinare, in percentuale, la distribuzione degli utili (Cass. n. 24427/2015: nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di appello relativa a contratto concluso, e in essere, anteriormente alle modifiche apportate dall'art. 53 d.lgs. n. 81/2015). In tema di associazione in partecipazione, nel caso di fallimento dell'associante, che determina lo scioglimento dell'associazione ai sensi dell'art. 77 l. fall. (per la nuova disciplina v. art. 182, d.lgs. n. 14/2019 “Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza”), l'associato ha diritto di far valere nel passivo del fallimento il credito per quella parte dei conferimenti che non è assorbita dalle perdite a suo carico, costituendo elemento essenziale del contratto, come si evince dall'art. 2549, la pattuizione a favore dell'associato di una prestazione correlata agli utili di impresa e non ai ricavi, i quali ultimi rappresentano in se stessi un dato non significativo circa il risultato economico effettivo dell'attività di impresa (Cass. n. 19937/2017). In tema di IRAP, ai fini della determinazione della base imponibile, non sono deducibili i compensi corrisposti dall'associazione in partecipazione ai propri associati calcolati in misura fissa, atteso che gli stessi rientrano nella nozione di utili di cui all'art. 11, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 446/1997 e, pertanto, sono pienamente compatibili con la causa del contratto di cui all'art. 2549 (Cass. V, n. 16265/2019). Le novità normativeDapprima a seguito della novella di cui alla l. n. 92/2012 (legge Fornero), a far data dal 18 luglio 2012 il numero degli associati in partecipazione «impegnati in una medesima attività» non poteva essere superiore a tre. Costituivano eccezione a questa regola i contratti sottoscritti con «il coniuge, con i parenti entro il terzo grado e con gli affini entro il secondo», al pari dei contratti — in corso alla data di entrata in vigore della Riforma — certificati ai sensi del d.lgs. n. 276/2003 (che «sono fatti salvi fino alla loro cessazione»). Inoltre, per evitare che i (tre) rapporti de quo si considerino subordinati fino a prova contraria, le attività oggetto del contratto dovevano necessariamente essere «connotat(e) da competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi» oppure da «capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze [...]» e pattuite con soggetti «titolar(i) di un reddito annuo da lavoro autonomo non inferiore ad» Euro 18.662,50. Rimanevano infine in vigore gli obblighi dell'associante di garantire «un'effettiva partecipazione dell'associato agli utili dell'impresa o dell'affare» e di consegnare a quest'ultimo il «rendiconto previsto dall'art. 2552 » La volontà del Legislatore di eliminare il contratto di associazione in partecipazione dal panorama giuslavoristico era evidente dall'impianto sanzionatorio che accompagnava la novella. Ed invero, nell'ipotesi in cui l'associante associava «in partecipazione» un numero di lavoratori superiore a 3 per lo svolgimento «della medesima attività», tali rapporti dovevano essere considerati — in virtù di una presunzione assoluta già vista nel contratto a progetto — rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con l'inedito effetto che una singola posizione poteva avere un impatto travolgente anche nei confronti di lavoratori genuinamente autonomi, titolari di rapporti provvisti di tutti gli elementi richiesti dall'art. 2549. L'art. 53 d.lgs. n. 81/2015, rubricato “Superamento dell'associazione in partecipazione con apporto di lavoro”, ha riformulato il secondo comma dell'articolo 2549, disponendo che nel caso in cui l'associato sia una persona fisica l'apporto di cui al primo comma non può consistere, nemmeno in parte, in una prestazione di lavoro; ha inoltre abrogato il terzo comma del citato articolo e ha fatto salvi fino alla loro cessazione i contratti di associazione in partecipazione in atto alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 81, cit., nei quali l'apporto dell'associato persona fisica consiste, in tutto o in parte, in una prestazione di lavoro. Caratteri differenziali del contrattoDall'associazione in partecipazione si differenzia anche l'associazione temporanea di imprese contemplata dalla l. n. 584/1977 che, pur non costituendo una persona giuridica distinta dalle imprese riunite che conservano la propria autonomia, è però caratterizzata da un rapporto di mandato con rappresentanza, gratuito ed irrevocabile, conferito collettivamente all'impresa «capogruppo» che è legittimata a compiere, con l'amministrazione, ogni attività giuridica connessa o dipendente dall'affare comune (di solito, appalto di opere pubbliche) e produttiva di effetti direttamente nei confronti delle imprese mandanti (Cass. n. n. 6757 /2001). L'associazione in partecipazione, inquadrabile nella categoria dei contratti di collaborazione, prevede il conseguimento di un risultato comune attraverso l'apporto dei partecipanti, che è in parte patrimoniale e in parte personale, di modo che la cessazione di uno solo, ma essenziale elemento dell'apporto pattuito, ben può costituire causa di risoluzione del contratto; peraltro il giudice di merito, nel valutare la fondatezza della domanda di risoluzione per inadempimento, ai sensi dell'art. 1455 deve tener conto della gravità dell'inadempimento, che deve essere accertata sulla base di un criterio relativo, nel quadro complessivo del rapporto e dei reciproci interessi dei contraenti, tenendo presente che, quando l'inadempimento di una parte non sia grave, il rifiuto dell'altra non è di buona fede e, quindi, non è giustificato (Cass. n. 6951/1994). Il contratto di associazione in partecipazione, che si qualifica per il carattere sinallagmatico fra l'attribuzione da parte di un contraente (associante) di una quota di utili derivanti dalla gestione di una sua impresa e di un suo affare all'altro (associato) e l'apporto da quest'ultimo conferito, non determina la formazione di un soggetto nuovo e la costituzione di un patrimonio autonomo, né la comunanza dell'affare o dell'impresa, i quali restano di esclusiva pertinenza dell'associante. Ne deriva che soltanto l'associante fa propri gli utili e subisce le perdite, senza alcuna partecipazione diretta ed immediata dell'associato, il quale può pretendere unicamente che gli sia liquidata e pagata una somma di denaro corrispondente alla quota spettante degli utili e all'apporto, ma non che gli sia attribuita una quota degli eventuali incrementi patrimoniali, compreso l'avviamento, neppure se ciò le parti abbiano previsto nel contratto, in quanto una clausola di tal fatta costituisce previsione tipica dello schema societario, come tale incompatibile con la figura disciplinata dagli artt. 2549 ss., con la conseguenza che al contratto complesso, in tal modo configurabile, deve applicarsi soltanto la disciplina propria del contratto di associazione in partecipazione, ove sia accertato che la funzione del medesimo sia quella in concreto prevalente (Cass. n. 13968/2011). Il negozioCon l'associazione in partecipazione — la cui prova non esige l'atto scritto — è compatibile, anche nell'ipotesi in cui l'associato conferisca solo la propria attività lavorativa, la pattuizione di un guadagno minimo per l'associato medesimo, essendo tale pattuizione (che perciò non è di per sé sola dimostrativa della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato) coerente con il divieto, sancito dall'art. 2553, che le perdite che colpiscono l'associato possano superare il valore del suo apporto (Cass. n. 4235/1988). Nel contratto di associazione in partecipazione agli utili dell'impresa o di uno o più affari, il diritto di recesso deve riconoscersi a ciascuno dei contraenti ove manchi la previsione del termine di durata del rapporto, con la conseguenza che l'istituto del recesso unilaterale a norma del secondo comma dell'art. 1373 è applicabile sia al contratto sopra richiamato che ai rapporti di cointeressenza agli utili senza partecipazione alle perdite, che costituisce una figura particolare del contratto di cui all'art. 2549 (Cass. n. 4473/1993). Il contratto di associazione in partecipazione per un periodo di tempo determinato non è un contratto basato sull'elemento della fiducia e, pertanto, non è consentito il recesso unilaterale anticipato (Cass. n. 13649/2013). Il principio espresso dall'art. 1458, comma 1, secondo cui gli effetti retroattivi della risoluzione non operano per le prestazioni già eseguite, riguarda i contratti ad esecuzione continuata o periodica, ossia soltanto quelli in cui le obbligazioni di durata sorgono per entrambe le parti e l'intera esecuzione del contratto avviene attraverso coppie di prestazioni da realizzarsi contestualmente nel tempo. Pertanto, ad essi non può ricondursi il contratto di associazione in partecipazione ex art. 2549, con il quale l'associante attribuisce all'associato, come corrispettivo di un determinato apporto unitario, una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari, trattandosi, a differenza del contratto di società, di un negozio bilaterale, che crea un singolo scambio fra l'apporto e detta partecipazione (Cass. n. 22521/2011). L'inerzia totale o comunque il mancato perseguimento da parte dei fini cui è preordinata l'attività di gestione dell'impresa o dell'affare costituente oggetto del contratto sinallagmatico di associazione in partecipazione può legittimare l'azione di risoluzione per inadempimento secondo le regole di cui agli artt. 1453 e 1454, anche nel caso in cui il contratto medesimo non preveda particolari controlli dell'associato o termini per l'inadempimento dell'obbligo assunto dalla controparte, qualora — secondo l'insindacabile apprezzamento del giudice del merito — il suddetto comportamento omissivo si protragga oltre ogni ragionevole tolleranza (Cass. n. 6701/1992). In tema di esercizio di farmacia, il contratto di associazione in partecipazione tra il titolare del servizio, in qualità di associante, ed un terzo e, in generale, i patti che conferiscono a terzi solo diritti di cointeressenza economica, lasciando all'associante la titolarità, l'amministrazione e la gestione della farmacia, non si pongono in contrasto con gli artt.11 e 12 n. 475/1968, che vietano la scissione della titolarità dell'impresa e della sua gestione dalla responsabilità del servizio farmaceutico (Cass. n. 14808/2006). Apporto degli associatiNell'associazione in partecipazione, l'apporto cui è tenuto l'associato ex art. 2549 può essere della più varia natura, patrimoniale od anche personale. Esso può, pertanto, consistere anche nell'attività di intermediazione per la conclusione di determinati affari (Cass. n. 15175/2000). L'associazione in partecipazione, inquadrabile nella categoria dei contratti di collaborazione, prevede il conseguimento di un risultato comune attraverso un apporto dei partecipanti, oltre che di beni, anche di attività e questa attività può consistere anche in quella di intermediazione per la conclusione di determinati affari (Cass. n. 5136/1982). L'istituto dell'associazione in partecipazione di cui all'art. 2549 e ss., che si qualifica per il carattere sinallagmatico fra l'attribuzione da parte di un contraente (associante) di una quota degli utili derivante dalla gestione di una sua impresa o di un suo affare all'altro (associato) e l'apporto, da quest'ultimo conferito, che può essere di qualsiasi natura, purché avente carattere strumentale per l'Esercizio di quell'impresa o per lo svolgimento di quell'affare, non determina la formazione di un soggetto nuovo o la Costituzione di un patrimonio autonomo, né la comunione dell'affare o dell'impresa, che restano di esclusiva pertinenza dell'associante. Pertanto, è solo l'associante che fa propri gli utili, salvo, nei rapporti interni, il suo Obbligo di liquidare all'associato la sua quota di utili e a restituirgli l'apporto. Conseguentemente, se l'utile consiste in un incremento da edificazione immobiliare, l'associante è tenuto all'adempimento della sua obbligazione, indipendentemente dalla destinazione che ha inteso dare all'immobile, mediante il versamento di una somma corrispondente al valore della quota spettante all'associato. E l'accertamento dell'utile va fatto, ove l'associante sia una società, sulla base non del bilancio — trattandosi di associazione ad un affare e non a tutte le imprese della società — ma del valore dell'edificazione, al netto delle spese affrontate e degli apporti degli associati (Cass. n. 5353/1987). Nell'associazione in partecipazione, l'apporto cui è tenuto l'associato ex art. 2549 può essere della più varia natura, patrimoniale od anche personale. Esso può, pertanto, consistere anche nell'attività di intermediazione per la conclusione di determinati affari (Cass. n. 15175/2000). La partecipazione agli utiliL'associazione in partecipazione ha, quale elemento causale indefettibile di distinzione dal rapporto di collaborazione libero-professionale, il sinallagma tra partecipazione al rischio d'impresa gestita dall'associante e conferimento dell'apporto lavorativo dell'associato. Ne consegue che l'associato il cui apporto consista in una prestazione lavorativa deve partecipare sia agli utili che alle perdite, non essendo ammissibile un contratto di mera cointeressenza agli utili di un'impresa senza partecipazione alle perdite, tenuto conto dell'espresso richiamo, contenuto nell'art. 2554, comma 2, all'art. 2102, il quale prevede la partecipazione del lavoratore agli utili «netti» dell'impresa (Cass. n. 13179/2010). Qualora il contratto di associazione in partecipazione non determini la quota degli utili spettanti all'associato, la quota medesima va quantificata in proporzione del valore dell'apporto dell'associato, rispetto al valore dell'impresa, ovvero dell'affare o degli affari rispetto ai quali l'associazione è pattuita, tenendo conto, nella prima ipotesi, che l'impresa deve essere valutata secondo i criteri che presiedono alla redazione dei bilanci, senza possibilità di computare un compenso all'imprenditore per la sua attività di gestione aziendale (Cass. n. 1476/1982). Sono compatibili con il contratto di associazione in partecipazione le clausole che, nell'ambito dei criteri di ripartizione degli utili, prevedono il pagamento all'associato o all'associante di speciali indennizzi o corrispettivi per speciali apporti di energie lavorative o di beni strumentali (nella specie, si trattava di un contratto associativo stipulato tra il farmacista titolare di una farmacia ed un terzo, nel quale si prevedeva il diritto del farmacista - associante - a dedurre dagli utili da ripartire una somma di denaro per l'impegno di lavoro a cui era tenuto per la diretta gestione del servizio e per il valore locativo dell'immobile) (Cass. n. 7026/1995). Nell'associazione in partecipazione, inquadrabile nella categoria dei contratti di collaborazione, e che prevede il conseguimento di un risultato comune attraverso l'apporto dei partecipanti, il diritto agli utili spettanti all'associato ha carattere periodico, in mancanza di diversa pattuizione, dovendo essere riferito agli utili di esercizio, e sorge indipendentemente dalla presentazione del rendiconto, che rappresenta unicamente l'espressione numerica di parametri convenzionalmente stabiliti, per mezzo dei quali è possibile quantificare la misura degli utili suddetti; ne consegue che, qualora il rendiconto non venga offerto, o sia ritenuto inadeguato o insoddisfacente, ben può l'associato agire per ottenere giudizialmente, in base al contratto, l'accertamento della misura del proprio credito (Cass. n. 926/1996). Quanto alle perdite, l'associato in partecipazione che presta la propria attività in un'impresa che consegue risultati negativi è comunque soggetto in senso lato ad un rischio economico, pure laddove le parti abbiano escluso la partecipazione alle perdite, poiché in tal caso l'assenza di utili comporta l'assenza di compensi, essendo gli ultimi inevitabilmente correlati all'andamento economico dell'impresa (Cass. n. 13842/2023, nella specie cassata la decisione dei giudici del merito che avevano qualificato il rapporto di lavoro come subordinato solo sulla base del criterio della divisione delle perdite). Distinzione rispetto al lavoro subordinatoAi fini della qualificazione in termini di autonomia o di subordinazione dell'ulteriore rapporto di lavoro che il socio lavoratore di una società cooperativa stabilisca con la propria adesione o successivamente, il nomen iuris attribuito in linea generale ed astratta nel regolamento di organizzazione e la peculiarità del rapporto mutualistico connesso a quello di lavoro, pur configurandosi quali elementi necessari di valutazione, non rivestono portata dirimente, dovendosi piuttosto dare prevalenza alle concrete modalità di svolgimento del rapporto di lavoro; al riguardo, quando la prestazione lavorativa sia estremamente elementare e ripetitiva, così che l'assoggettamento del prestatore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare non risulti, in quel contesto, significativo, è possibile dare rilievo ad elementi sussidiari (ad es. modalità di erogazione del compenso, orario di lavoro, presenza di una sia pure minima organizzazione e l'assunzione di un rischio di impresa), da valutarsi nella loro vicendevole interazione (Cass. n. 29973/2022). Ed ancora, l'associato in partecipazione che presta la propria attività in un'impresa che consegue risultati negativi è comunque soggetto in senso lato ad un rischio economico, pure laddove le parti abbiano escluso la partecipazione alle perdite, poiché in tal caso l'assenza di utili comporta l'assenza di compensi, essendo gli ultimi inevitabilmente correlati all'andamento economico dell'impresa» (Cass. n. 13842/2023, cassata la decisione dei giudici del merito che avevano qualificato il rapporto di lavoro come subordinato solo sulla base del criterio della divisione delle perdite). BibliografiaDe Acutis, L'associazione in partecipazione, 1999, 151; De Ghidini, Associazione in partecipazione, in Enc. dir., III, Milano, 1958, 201; Guglielmucci, I certificati di partecipazione, 1991, 22; Ferri, Associazione in partecipazione, voce in Dig. comm., Torino, 508; Minervini, Le partecipazioni agli utili e riserva legale nelle società di capitale, in Banca, borsa e tit. cred. 1965, I, 39. |