Codice Civile art. 2557 - Divieto di concorrenza.Divieto di concorrenza. [I]. Chi aliena l'azienda deve astenersi, per il periodo di cinque anni dal trasferimento, dall'iniziare una nuova impresa che per l'oggetto, l'ubicazione o altre circostanze sia idonea a sviare la clientela dell'azienda ceduta [2125, 2229 ss., 2596]. [II]. Il patto di astenersi dalla concorrenza in limiti più ampi di quelli previsti dal comma precedente è valido, purché non impedisca ogni attività professionale dell'alienante. Esso non può eccedere la durata di cinque anni dal trasferimento [2596]. [III]. Se nel patto è indicata una durata maggiore o la durata non è stabilita, il divieto di concorrenza vale per il periodo di cinque anni dal trasferimento [1339, 2125]. [IV]. Nel caso di usufrutto [2561] o di affitto [2562] dell'azienda il divieto di concorrenza disposto dal primo comma vale nei confronti del proprietario o del locatore per la durata dell'usufrutto o dell'affitto. [V]. Le disposizioni di questo articolo si applicano alle aziende agricole solo per le attività ad esse connesse [2135 2], quando rispetto a queste sia possibile uno sviamento di clientela. InquadramentoIn tema di divieto di concorrenza, la disposizione contenuta nell'art. 2557, la quale stabilisce che chi aliena l'azienda deve astenersi, per un periodo di cinque anni dal trasferimento, dall'iniziare una nuova impresa che sia idonea a sviare la clientela dell'azienda ceduta, appropriandosi nuovamente dell'avviamento, non ha il carattere dell'eccezionalità, in quanto con essa il legislatore non ha posto una norma derogativa del principio di libera concorrenza, ma ha inteso disciplinare nel modo più congruo la portata di quegli effetti connaturali al rapporto contrattuale posto in essere dalle parti. Pertanto, non è esclusa l'estensione analogica del citato art. 2557 all'ipotesi di cessione di quote di partecipazione in una società di capitali, ove il giudice del merito, con un'indagine che tenga conto di tutte le circostanze e le peculiarità del caso concreto, accerti che tale cessione abbia realizzato un «caso simile» all'alienazione d'azienda, producendo sostanzialmente la sostituzione di un soggetto ad un altro nell'azienda (nella specie, la S.C. ha ritenuto immune da censure la pronuncia della corte territoriale, che, nel regime anteriore alla riforma societaria del 2003, aveva ritenuto non provata la cessione di azienda, in un caso di cessione del 50% delle quote ad altro socio, che già deteneva il restante 50% e rivestiva la carica di amministratore unico della società) (Cass. n. 27505/2008). GeneralitàIl contratto di cessione di azienda oltre a produrre il trasferimento di questa comporta anche per il cedente l'assunzione dell'ulteriore obbligazione di non tenere in concreto comportamenti che vanifichino la ragione pratica della operata cessione, la cui durata va oltre il momento del trasferimento protraendosi per il tempo previsto dall'art. 2557. L'illecito consistente nella violazione di tale obbligo ha natura contrattuale, attiene alla causa del contratto e quindi al suo esatto adempimento, ed incide su diritti di natura dispositiva e transigibile, onde la controversia relativa alla suddetta violazione ben può essere deferita ad arbitri (Cass. n. 9251/1997). Il divieto quinquennale di concorrenza stabilito dalla norma di cui all'art. 2557 per l'ipotesi di alienazione di azienda non riveste carattere di specialità o eccezionalità, poiché il legislatore, con la norma in parola, non ha inteso sancire una espressa deroga al generale principio della libera concorrenza, ma disciplinare nel modo più congruo la portata di quegli stessi effetti esplicitati dalle parti (o da presumersi connaturati) con il negozio di cessione posto in essere. Non è, pertanto, esclusa l'applicabilità della norma «de qua» alla ipotesi di cessione (non dell'intera azienda ma) di sole quote sociali, sempre che, in sede di accertamento giurisdizionale, emerga, dal complesso delle circostanze di fatto oltreché dal contenuto dello stesso negozio di cessione, la funzione concreta e non equivoca di effettiva sostituzione di un soggetto ad un altro nella conduzione della struttura aziendale (Cass. n. 1643/1998). Le disposizioni dell'art. 2557, concernenti il divieto di concorrenza in caso di trasferimento di azienda, trovano applicazione non soltanto con riguardo alle ipotesi di alienazione di questa, intesa in senso tecnico, ma anche a tutte quelle altre ove si avveri la sostituzione di un imprenditore all'altro nell'esercizio dell'impresa, come conseguenza diretta della volontà delle parti o di un fatto da esse espressamente previsto e, pertanto, anche in favore del proprietario di un'azienda nel caso che l'abbia data in affitto allorché l'azienda gli sia stata ritrasferita dall'affittuario per scadenza del termine finale o per altra causa negozialmente prevista (Cass. n. 13762/1991). La domanda di accertamento della violazione del divieto di concorrenza derivante dal contratto di cessione di azienda (o del ramo d'azienda) è volta a far valere l'inadempimento del contratto e non è incompatibile con la domanda di risoluzione contrattuale fondata sul medesimo presupposto, non essendovi neppure contrasto tra gli obiettivi delle due domande, consistenti, da un lato, nella richiesta di risarcimento dei danni cagionati dalla violazione, e, dall'altro, nella richiesta di restituzione delle rate di prezzo pagate e nella dichiarazione di cessazione dell'obbligo di corrispondere quelle non ancora scadute (Cass. n. 18692/2015). La richiesta di pubblicazione della sentenza che accerti gli atti concorrenziali in violazione dell'obbligo di non concorrenza derivante dalla cessione di azienda è riconducibile all'art. 2557 e non all'art. 2600, sicché il relativo provvedimento integra una forma di riparazione del pregiudizio subito dall'imprenditore - che, al pari del risarcimento, richiede la prova della diminuzione patrimoniale o del mancato guadagno cagionati dalla violazione del divieto - e non una sanzione autonoma, volta a portare a conoscenza del pubblico la reintegrazione del diritto leso, rimessa alla discrezionalità del giudice di merito, nonché indipendente dalla prova di un danno attuale (Cass. n. 18692/2015). In tema di divieto di concorrenza, l'art. 2557 non ha natura eccezionale poiché non è diretto a derogare al principio di libera concorrenza, ma solo a disciplinare, nel modo più congruo, la portata degli effetti connaturali al rapporto contrattuale intercorso tra le parti, sicché ne è consentita l'estensione analogica all'ipotesi del cedente l'azienda che abbia poi intrapreso un'attività commerciale concorrente avvalendosi della partecipazione in un'impresa familiare per dissimulare la propria posizione. (Cass. n. 14471/2014). Contenuto del divietoIl divieto ha un'efficacia estesa agli eredi dell'alienante (Cass. n. 1957/2014). Il divieto di concorrenza previsto dall'articolo in commento costituisce un effetto naturale del contratto, e può essere pertanto escluso così come può anche essere ampliato, non per altro aumentandone la durata quinquennale, e mai nel senso di impedire all'alienante l'esercizio di qualsivoglia attività (Cass. n. 10062/2008). L'operatività del divieto presuppone un giudizio di idoneità della nuova impresa a sviare la clientela ceduta, che deve tener conto delle caratteristiche di ogni singolo caso (Cass. n. 225/1975). Divieto di concorrenza e concessioni amministrativeLa controversia promossa da una società di autolinee, per denunciare l'attività dell'impresa concorrente, che assuma compiuta in violazione del divieto di cui all'art. 2557, ed ottenere, anche in via cautelare ed urgente, la tutela del suo diritto di esclusiva, con il risarcimento dei danni, investe posizioni di diritto soggettivo inerenti ad un rapporto privatistico, e spetta di conseguenza alla giurisdizione del giudice ordinario, mentre resta in proposito irrilevante che vengano in discussione gli atti amministrativi inerenti al rapporto di concessione del pubblico servizio di trasporto, essendo questi esaminabili «incidenter tantum» dal predetto giudice, e rilevanti al diverso fine dell'indagine sul fondamento della domanda e sulla possibilità di adottare le richieste misure cautelari (Cass. S.U., n. 1287/1986). 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Buonocore, Torino, 2015, 114; Menti, L'acquisto dell'azienda e il prezzo pagato per l'avviamento, in Riv. giur. trib. 2002, 644; Micangeli, Indennità per la perdita dell'avviamento: la presenza di professionisti non esclude la caratterizzazione come commerciale dell'attività svolta nell'immobile locato, in Giur. mer. 1999; Presti Rescigno, Corso di diritto commerciale, Bologna, 2005, 54; Pettiti, Il trasferimento volontario d'azienda, Napoli, 1970, 151; Tommassini, Contributo alla teoria dell'azienda come oggetto di diritti, Milano, 1986, 74. |