Codice Civile art. 2563 - Ditta.InquadramentoLa formula ricorrente in giurisprudenza è quella secondo cui la ditta è il nome sotto il quale l'imprenditore, titolare di una determinata azienda, esercita la propria attività (Cass. n. 1793/1978). La funzione della ditta è stata individuata in diretta correlazione con la ricostruzione, oggettiva o soggettiva, di tale segno distintivo. La giurisprudenza ha precisato che la ditta non ha, come il marchio, funzione di informare il consumatore finale, ma di individuare il produttore nei rapporti che intrattiene con altri operatori economici (Cass. n. 1305/1999). La ditta è un segno distintivo necessario, poiché, in mancanza di una diversa scelta, essa coincide con il nome civile dell'imprenditore (Mangini, 79). Titolare della ditta è l'imprenditore (Auteri, 3). Un imprenditore può essere titolare anche di due o più ditte (Ascarelli, 399). La ditta è oggetto di un diritto assoluto dell'imprenditore imprescrittibile sino a che la ditta inerisca ad un'impresa in attività o tale che comunque non la si possa ritenere definitivamente e per sempre cessata (Cass. n. 1078/1968). Il contenuto di tale diritto è fornito dalla facoltà esclusiva di utilizzazione della ditta, come anche del marchio, e dalle facoltà previste dall'art. 2564. In tema di legittimazione processuale, l'imprenditore, pur senza specificare la sua qualità, è legittimato ad opporsi ad un decreto ingiuntivo emesso nei confronti della relativa ditta, non avendo quest'ultima soggettività giuridica distinta ed identificandosi essa con il suo titolare sotto l'aspetto sia sostanziale che processuale (Cass. n. 9260/2010). La tutela del nome commerciale trova fondamento nell'art. 2654, laddove l'art. 7, medesimo codice, concerne solo il nome delle persone fisiche, attiene a interessi di natura morale e riguarda un diritto di personalità. GeneralitàLa ditta individuale coincide con la persona fisica titolare di essa e, perciò, non costituisce un soggetto giuridico autonomo, sia sotto l'aspetto sostanziale che sotto quello processuale, senza che, perciò, nell'ambito delle opposizioni esecutive proposte dalla ditta individuale, possa ritenersi configurabile un'ipotesi di litisconsorzio necessario nei confronti del titolare di essa. (Nella specie, la S.C., alla stregua dell'enunciato principio, ha cassato con rinvio l'impugnata sentenza con la quale era stata dichiarata la nullità della sentenza di primo grado sull'erroneo presupposto della violazione dell'art. 102 c.p.c. per mancata partecipazione del titolare di una ditta individuale, ritenuto quale litisconsorte necessario in un giudizio di opposizione all'esecuzione avverso un preavviso di rilascio intentato dalla stessa ditta, dovendo, in contrario, rilevarsi che la decisione del primo giudice era, in effetti, da ritenersi emessa nei confronti del suo titolare) (Cass. n. 977/2007). La ditta è un bene immateriale costituito dal nome sotto il quale l'imprenditore svolge la propria attività, non un soggetto di diritto — persona fisica o giuridica che sia — od anche soltanto centro autonomo d'imputazione d'interessi; onde, sebbene l'individuazione dell'imprenditore attraverso la sua ditta piuttosto che attraverso il suo nome personale (questo, comunque, nella prima sempre necessariamente contenuto o rappresentato per sigla, ex art. 2563, comma 2) possa egualmente aver luogo in modo giuridicamente efficace, non è tuttavia corretta l'indicazione della ditta quale intestataria di atti giuridici — sostanziali e/o processuali che siano — l'imputazione dei quali va, in ogni caso, effettuata in capo alla persona fisica titolare della ditta. Pertanto il mandato difensivo rilasciato ad un legale dal titolare di una ditta è del tutto inidoneo a consentire al medesimo legale la rappresentanza processuale del successivo titolare della stessa ditta (Cass. S.U., n. 23073/2006). Acquisto del dirittoNell'attuale sistema normativo incentrato sul registro delle imprese, il diritto alla ditta si acquista con l'adozione, e cioè con l'uso, e con la registrazione, anche se non è chiaro quale sia il rapporto tra i due elementi e quale efficacia sia attribuita alla registrazione (Auteri, 3). L'opinione largamente prevalente in dottrina ritiene che l'uso sia già di per sé sufficiente all'acquisto (Auteri, 3; Ascarelli, 408). Del pari, la giurisprudenza ritiene che il diritto all'uso esclusivo di una ditta quale segno distintivo di un'impresa sorge dalla priorità del suo uso effettivo e pubblico (Cass. n. 1979/1650). La società incorporante, la quale intenda conservare l'uso delle denominazioni delle società incorporate come ditte delle aziende di cui viene a comporsi a seguito della fusione, e soggetta, ai fini del diritto di priorità, all'Obbligo della pubblicazione, come per la ragione sociale, mediante iscrizione nel registro delle imprese, dato che il preuso vale ad attribuire la titolarità del diritto di esclusiva solo se non sia stata registrata alcuna ditta, mentre, se una di esse sia stata registrata, vale, a detto fine, la registrazione o la priorità di questa, per cui, in caso di confusione, rimane tenuto a provvedere alla integrazione o alla modificazione della ditta quello, degli utenti, che non ha registrato o ha registrato in epoca posteriore (Cass. n. 225/1965). Sono marchi «forti» quelli che si caratterizzano per la loro impronta originale e individuale (tali, ad es., i marchi di pura fantasia), mentre devono ritenersi «deboli» i marchi che solo in parte siano di fantasia, come quelli costituiti da un nome comune, espressivo o indicativo, accompagnato da opportune trasformazioni morfologiche. La natura dei marchi deboli si riflette sulla loro tutela, nel senso che anche lievi modificazioni o aggiunte bastano ad escluderne la confondibilità (Cass. n. 225/1965). Con riguardo al trasferimento di azienda per atto tra vivi, il contestuale trasferimento della ditta (ai sensi del secondo comma dell'art. 2565) deve essere oggetto di una distinta manifestazione di volontà negoziale. Tuttavia, tale manifestazione non richiede un'esplicita menzione della ditta nell'atto di trasferimento, potendo la volontà di estendere quest'ultimo alla ditta ricavarsi dall'interpretazione dell'atto, sulla base dei criteri interpretativi indicati dagli artt. 1362 ss. (Cass. n. 3234/1998). In seguito alla entrata in vigore con la l. n. 580/1993 della disciplina del registro delle imprese, la dottrina ha manifestato opinioni alquanto discordi sulle conseguenze che ciò ha avuto sulle modalità di acquisto del diritto sulla ditta e suoi criteri di dei conflitti tra più acquirenti. Secondo una prima teorica, in caso di conflitto tra ditte registrate, dovrebbe sempre prevalere quella registrata per prima (Campobasso, 164). Secondo un'altra dottrina, il preutente manterrebbe la possibilità di dimostrare che il primo registrante ha avuto conoscenza del preuso (Martorano, 503). In tema di segni distintivi dell’impresa, chi abbia registrato una ditta individuale (registrazione divenuta possibile solo a seguito della l. n. 580/1993) non prevale su chi lo abbia preceduto per il solo fatto di avere adempiuto alle relative formalità rispetto al titolare del medesimo segno che ne abbia fatto uso in precedenza, atteso che - con riferimento al conflitto tra il preutente da epoca anteriore al 1993 ed il successivo registrante - la sola registrazione non determina automaticamente l'acquisto del diritto, né la sua prevalenza rispetto al segno in conflitto. Inoltre, il preutente prevale nei confronti del primo registrante quando la coesistenza tra i due segni (quello preusato e quello registrato) possa determinare confusione con riferimento alla classe merceologica o dei servizi e al contesto territoriale di impiego dei segni configgenti (Cass. n. 971/2017). Estinzione del dirittoIl diritto assoluto all'utilizzazione dell'insegna si estingue in seguito alla cessazione definitiva dell'attività imprenditoriale (Cass. n. 3847/1976). Tuttavia, la tutela della ditta perdura comunque anche nella fase della liquidazione e nel corso delle procedure concorsuali (Cass. n. 2755/1994). La ratio del principio risiede nel fatto che la tutela accordata alla ditta, svolgendosi nell'ambito della tutela della concorrenza, presuppone che l'azienda da essa contrassegnata sia in effettivo e concreto esercizio, così potendosi verificare la confondibilità e la concorrenza illecita, venendo meno la ragione della tutela se l'impresa è cessata definitivamente o pur essendo in stato di liquidazione non viene esercitata per un tempo tale da far ritenere che la ditta sia stata abbandonata ed abbia perduto il proprio riferimento al soggetto che l'aveva adottata. Il diritto sulla ditta si estingue altresì per non uso. La dichiarazione di fallimento non ha effetto estintivo del diritto sulla ditta (Cass. n. 2755/1994). Ditta, Insegna e Marchio. DifferenzeIl concetto di ditta, volto a designare, genericamente ed unitariamente, il nome sotto cui l'imprenditore esercita l'impresa, non ha — salvo che essa venga usata anche come marchio — una diretta attinenza con i prodotti fabbricati o venduti o con i servizi prestati, e si distingue, pertanto, sia dal marchio in generale, sia dal cosiddetto «marchio di servizio» (introdotto in Italia dall'art. 3 l. n. 1178/1959), destinato a contraddistinguere una specifica attività o branca di attività tra quelle esercitate dall'impresa (e dotato di un campo di produzione limitato a tale attività in sé considerata, mentre la ditta è sempre riferibile ad un «complesso» di attività), sia dall'insegna, che non identifica né il prodotto, né l'attività o branca di attività, bensì un bene aziendale presso il quale o mediante il quale un prodotto viene posto in commercio. Ne consegue la facoltà, per l'imprenditore, di disporre di più ditte, e la possibilità, per il medesimo (qualora produca beni o servizi differenziati, destinando ad essi aziende o beni aziendali distinti), di cedere una propria attività unitamente o disgiuntamente all'insegna che contraddistingue i beni interessati, insieme o disgiuntamente ad una sua ditta (Cass. n. 8034/2000). Alla luce delle disposizioni del r.d. n. 929/1942, come modificate a seguito della riforma realizzata con il d.lgs. n. 480/1992, il preuso locale di un marchio non registrato conferisce al titolare del segno il diritto di continuare ad utilizzarlo, per lo stesso genere di prodotto, nell'ambito dell'uso fattone, senza tuttavia che il preutente abbia anche il diritto di vietare a colui che successivamente registri il marchio di farne anch'egli uso nella zona di diffusione locale, in quanto è configurabile una sorta di regime di «duopolio», atto a consentire, nell'ambito locale, la «coesistenza» del marchio preusato e di quello successivamente registrato (Cass. n. 4405/2006). Capacità distintiva della dittaLa ditta, comunque sia formata, deve contenere, a norma dell'art. 2563, comma 2, almeno il cognome o la sigla dell'imprenditore, salvo quanto è disposto dal successivo art. 2565. Tuttavia, in base all'art. 2564, comma 1, — applicabile anche all'insegna in virtù dell'art. 2568 —, allorché la ditta sia uguale o simile a quella usata da un altro imprenditore e possa creare confusione per l'oggetto dell'impresa e per il luogo in cui questa venga esercitata, essa deve essere integrata o modificata con indicazione idonee a differenziarla (Cass. VI, n. 12136/2013). La denominazione della ditta individuale esercitata dal ricorrente imprenditore individuale costituisce un mero segno distintivo dell'impresa, non un soggetto autonomo rispetto all'imprenditore che ne è titolare, nei cui confronti va pertanto riconosciuta la legittimazione attiva e passiva in ordine ai relativi rapporti (Cass. n. 5562/2022). UsucapioneIl diritto dell'imprenditore sulla ditta può formare oggetto di acquisto per usucapione nel concorso della duplice condizione che si sia verificata la cessazione del suo uso da parte del titolare originario e che si sia instaurato un uso a titolo di possesso ad usucapionem da parte di altro esercente la ditta, e non anche quando il titolare originario si sia limitato a tollerare l'usurpazione altrui pur continuando nel proprio uso legittimo (Cass. n. 6150/1978). Profili fiscaliIn tema di accertamento delle imposte, poiché l'obbligazione tributaria non fa capo, nel caso di impresa individuale, alla ditta, che è soltanto un elemento distintivo dell'impresa, ma alla persona fisica dell'imprenditore, l'eventuale erroneità dell'indicazione della ditta può comportare la nullità dell'avviso di accertamento soltanto quando da essa possa derivare incertezza assoluta riguardo all'individuazione della persona fisica dell'imprenditore destinatario della pretesa tributaria, tenuto conto di ogni altro dato identificativo risultante dall'accertamento, quale in primo luogo il codice fiscale o il numero di partita Iva (Cass. n. 9256/2013). BibliografiaAscarelli, Teoria della concorrenza e dei beni materiali, Milano, 1960, 399; Auteri, voce Ditta, in Enc. giur., Roma, 1989, 3; Campobasso, Diritto commerciale, I, Torino, 2013, 164; Di Cataldo, Manuale di diritto industriale, 244; Greco, I diritti sui beni immateriali, 76; Mangini, voce: Ditta, in Dig. comm., V, Torino, 1990, 79; Martorano, Manuale di diritto commerciale, a cura di Buonocore, Torino, 2013, 503; Salandra, Manuale di diritto commerciale, I, Milano, 1996, 87; Vanzetti, La nuova legge marchi, Milano, 2001, 38. |