Codice Civile art. 2590 - Invenzione del prestatore di lavoro.

Roberto Amatore
aggiornato da Francesco Agnino

Invenzione del prestatore di lavoro.

[I]. Il prestatore di lavoro ha diritto di essere riconosciuto autore dell'invenzione fatta nello svolgimento del rapporto di lavoro.

[II]. I diritti e gli obblighi delle parti relativi all'invenzione sono regolati dalle leggi speciali (1).

(1) V. art. 64 d.lg. 10 febbraio 2005, n. 30.

Inquadramento

In tema di controversie concernenti i diritti del lavoratore che abbia realizzato una invenzione industriale, la competenza del giudice del lavoro sulla base del disposto degli artt. 409 ss. c.p.c. va affermata fino all'entrata in vigore del d.lgs. n. 30/2005 (codice della proprietà industriale), che ha esplicitamente previsto, con portata innovativa, l'attribuzione di tali controversie alle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale e intellettuale, senza che abbia rilievo l'art. 3 del d.lgs. n. 168/2003, istitutivo delle predette sezioni, in forza del quale queste ultime sono state rese competenti in materia di controversie aventi ad oggetto, tra l'altro, i brevetti d'invenzione, atteso che nell'alternativa tra due giudici specializzati (quello del lavoro e quello della proprietà industriale), la competenza deve essere naturalmente assegnata al giudice che conosce della materia prevalente e che le controversie sulle invenzioni del dipendente non rientrano nella categoria delle controversie in materia di registrazione o validità dei brevetti a norma dell'art. 16 punto 4 della Convenzione di Bruxelles del 2 settembre 1968 (cfr. Cgce 15 novembre 1983, n. 228), delle quali pertanto non esigono il medesimo trattamento processuale (Cass. n. 18595/2006). Poiché l'equo premio previsto dall'art. 23 r.d. n. 1127/1939 compete solamente per le invenzioni di azienda in cui manca la specifica previsione contrattuale del risultato inventivo e non anche per le invenzioni di servizio in cui l'attività inventiva è svolta come oggetto dell'obbligazione e l'invenzione è considerata dalle parti come la ragione stessa dell'attività di lavoro, che viene trasferita al datore di lavoro senza alcun correlativo diritto patrimoniale dell'inventore, ad eccezione di una specifica retribuzione, il giudice, al fine di qualificare la fattispecie concreta deve, in primo luogo, compiere — attenendosi a rigorosi criteri restrittivi — uno specifico esame delle clausole contrattuali per accertare la previsione contrattuale o meno dell'attività inventiva del lavoratore e se esse abbiano avuto esecuzione e riscontro nel comportamento successivo delle parti. Poiché, poi, quando si è in presenza di invenzioni di servizio, la retribuzione costituisce lo specifico corrispettivo dell'attività inventiva, dedotta in contratto, occorre stabilire la correlazione tra tale corrispettivo e la qualificata prestazione lavorativa, accertando se effettivamente sia stata pattuita e corrisposta al dipendente una retribuzione superiore a quella normale proprio perché obbligato a svolgere attività inventiva. L'Obbligo di tale accertamento non può ritenersi soddisfatto dal generico riferimento alla corresponsione di una retribuzione superiore a quella della categoria di appartenenza del lavoratore, senza l'indicazione degli analitici e specifici elementi, che giustifichino la correlazione causale tra prestazione e retribuzione (Cass. n. 2646/1990).

Generalità

La disciplina di cui all'art. 23 r.d. n. 1127/1939 (v. ora art. 64 d.lgs. n. 30/2005), nel sancire l'automatica appartenenza al datore di lavoro dei diritti derivanti dall'invenzione, e nel porre così un'eccezione al principio che titolare dei diritti stessi è lo stesso inventore, dà rilievo alla circostanza che l'invenzione è conseguita dal dipendente nell'ambito di strutture organizzate dal datore di lavoro con oneri economici anche di rilevante entità; tuttavia, al fine di contemperare i due interessi contrapposti, la stessa disciplina prevede altresì che al lavoratore derivi dal suo apporto un concreto profitto, che deve essergli assicurato mediante l'erogazione da parte del datore di lavoro o di una specifica retribuzione o di un equo premio. La concretizzazione della prima ipotesi presuppone un preventivo accordo delle parti, che è insito nella previsione dell'art. 23, primo comma, della invenzione come oggetto della prestazione lavorativa, fermo restando che quella del lavoratore dipendente rimane una prestazione di mezzi e non di risultato (onde il contratto ai sensi del primo comma comprende implicitamente anche l'attività di ricerca finalizzata alla invenzione), poiché in tal caso la retribuzione pattuita sarà necessariamente compensativa dell'invenzione; non è sufficiente, invece, che sia convenuta come oggetto della prestazione un'attività di ricerca, la quale non ha come oggetto e scopo essenziale la realizzazione di invenzioni brevettabili, potendo consentire la soluzione di problemi tecnici fondamentali per l'imprenditore anche senza l'introduzione di un «quid novi» e potendo sfociare in invenzioni scientifiche insuscettibili di immediata applicazione e quindi non brevettabili; e neanche la probabilità che dalla diversa attività dedotta in contratto scaturiscano invenzioni può surrogare la pattuizione di una specifica retribuzione, poiché il secondo comma dell'art. 23, disciplinando l'ipotesi in cui l'invenzione non sia prevista come oggetto del contratto, ma sia conseguita nell'esecuzione del contratto di lavoro (cosiddetta invenzione d'azienda), prevede — quale ipotesi ostativa del diritto all'equo indennizzo — che la parti abbiano stabilito una retribuzione per l'attività inventiva — e quindi ha evidentemente preso in considerazione (non assimilandoli a quelli disciplinati dal primo comma) proprio i casi in cui appare probabile che scaturiscano invenzioni da un'attività avente un diverso oggetto (Cass. n. 10851/1997). In tema di cd 'invenzioni del dipendente' va distinta l'ipotesi delle invenzioni fatte dal prestatore d'opera subordinato, nell'esplicazione di una attività inventiva prevista come oggetto del contratto o del rapporto ed a tale scopo retribuita (invenzioni di servizio), che appartengono de iure al datore di lavoro senza che spetti nessun ulteriore compenso all'inventore, salvo il diritto di essere riconosciuto autore (art. 23, comma 1, d.l. n. 1127/1939) da quelle in cui qualsiasi attività lavorativa del dipendente può essere idonea a costituire il presupposto delle invenzioni, anche se diretta a un fine diverso e più limitato rispetto a quello inventivo (c.d. invenzioni di azienda). In linea di principio le invenzioni di azienda, sia che si inseriscano occasionalmente nell'esplicazione delle normali mansioni tecniche cui e addetto il dipendente, o siano state conseguite nell'esecuzione di un incarico speciale del committente di dedicarsi all'attività inventiva in via complementare o sostitutiva di quella normalmente svolta (art. 23, comma 2, l. n. 1127/1939) sia che l'attività inventiva sia stata esplicata dal dipendente addetto a mansioni diverse, di propria iniziativa e senza Obbligo contrattuale o incarico speciale, ma utilizzando i mezzi dell'azienda ed avvalendosi dell'esperienza acquisita nel normale lavoro (art. 24 d.l. cit.) non apparterrebbero all'imprenditore. Peraltro la legge, ritenendo rilevante il fatto che l'inventore sia stato sostanzialmente sollecitato ad esse, ispirato ed aiutato dall'ambiente in cui prestava la sua opera, ha stabilito che anche i diritti inerenti a tali invenzioni appartengano all'imprenditore, ma che l'inventore, purché il ritrovato sia stato brevettato, abbia diritto ad un compenso particolare (premio, canone, o prezzo) calcolato sulla base dell'effettivo valore dell'invenzione o correlativo allo Esercizio o all'acquisto da parte del datore di lavoro dei diritti esclusivi nascenti dall'invenzione. Tale compenso e liquidato, sia rispetto all' an debeatur che al quantum, da un collegio di arbitri amichevoli compositori, che costituisce un arbitrato obbligatorio e non una giurisdizione speciale, perché la scelta dei componenti e rimessa alla libera volontà delle parti. Spetta pertanto al predetto collegio arbitrale la Competenza a conoscere delle domande di compenso relative alle invenzioni Cd d'azienda del dipendente (Cass. n. 2517/1964). Sia l'invenzione di servizio che l'invenzione di azienda — rispettivamente previste nel primo e nel secondo comma dell'art. 23 del r.d. n. 1127/1939 — presuppongono lo svolgimento, da parte del dipendente, di un'attività lavorativa di ricerca volta all'invenzione, mentre l'elemento distintivo tra le due ipotesi risiede principalmente nella presenza o meno di un'esplicita previsione contrattuale di una speciale retribuzione costituente corrispettivo dell'attività inventiva, in difetto della quale (ed il relativo onere probatorio incombe sul datore di lavoro) compete al dipendente autore dell'invenzione l'attribuzione dell'equo premio previsto dal suddetto art. 23. Spetta al giudice del merito — con accertamento ex ante e non ex post, senza che assuma rilievo la maggiore o minore probabilità che dall'attività lavorativa possa scaturire l'invenzione — valutare se le parti abbiano voluto pattuire una retribuzione quale corrispettivo dell'obbligo del dipendente di svolgere una attività inventiva (Cass. n. 6367/2011).

Il diritto all'equo premio

Il principio stabilito dall'art. 4 r.d. n. 1127/1939 (T.U. delle Disposizioni legislative in materia di brevetti per invenzioni industriali), sostituito dall'art. 4 del d.P.R. n. 338/1979, secondo cui l'attribuzione dei diritti soggettivi derivanti dall'invenzione ed oggetto della protezione accordata dalla legge è condizionata al conseguimento del brevetto non è derogato dalla disciplina degli artt. 23, 24 e 26 r.d. n. 1127/1939, la quale è invece derogativa del criterio (ex art. 18 dello stesso r.d.) della spettanza del diritto al brevetto all'autore dell'invenzione. Pertanto, anche nell'ipotesi (cosiddetta invenzione di azienda) considerata dal secondo comma del citato art. 23, il diritto al «premio» del dipendente autore dell'invenzione è subordinato al conseguimento del brevetto, su istanza del datore di lavoro o del lavoratore, e cioè da una condizione la cui necessità non è esclusa neppure nell'ipotesi in cui il datore di lavoro, per il fatto di svolgere un'attività in regime di monopolio, possa in concreto non aver interesse alla brevettazione (Cass. n. 30/1989). All'esercizio del diritto all'equo premio previsto dall'art. 23 r.d. n. 1127/1939 — che consiste in una controprestazione straordinaria di carattere indennitario corrisposta una tantum per una prestazione straordinaria, costituita dal risultato inventivo non rientrante nell'attività dovuta dal lavoratore — si applica la prescrizione decennale ordinaria prevista dall'art. 2946 e non quella breve, prevista dall'art. 2948, che si riferisce alle prestazioni periodiche inserite in una causa debendi continuativa. Tale prescrizione, il cui decorso non è sospeso in corso del rapporto di lavoro, inizia a decorrere dalla data della concessione del brevetto (Cass. n. 30/1989). In caso di invenzioni industriali realizzate dal lavoratore, mentre a quest'ultimo è sempre attribuito il diritto ad esserne riconosciuto come l'autore, il diritto patrimoniale di sfruttamento della suddetta invenzione spetta invece al datore di lavoro, il quale però è obbligato — in caso di invenzione cosiddetta d'azienda, ossia quella realizzata in occasione dell'esecuzione del rapporto (art. 23 secondo comma, R.d. n. 1127 del 1939) — a corrispondere al lavoratore un equo premio. In tale ipotesi il datore di lavoro, che intenda sottrarsi all'Obbligo di pagare tale premio rivendicato in giudizio dal lavoratore, è legittimato ad eccepire la nullità del brevetto per difetto di novità od insufficiente descrizione dello stesso (Cass. n. 6117/1985). L'ipotesi di invenzione di azienda prevista dall'art. 23 secondo comma r.d. n. 1127/1939 può essere ravvisata, ai fini del riconoscimento del diritto all'equo premio di cui alla norma citata, anche nel caso in cui l'invenzione non abbia carattere straordinario od occasionale, con riguardo a lavoratori la cui prestazione consista in un'attività di ricerca, ove questa, pur potendo condurre ad invenzioni, sia dalle parti presa in considerazione nel suo normale carattere ricognitivo e di applicazione tecnologica delle conoscenze acquisite, e non già per l'eventuale carattere creativo, tipico dell'attività inventiva (Cass. n. 5803/1991).

Bibliografia

Ascarelli, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, Milano, 1960, 698; Auteri, in AA.VV., Diritto Industriale, proprietà intellettuale e concorrenza, 4° ed., 492; Caselli, Codice del diritto d'autore,Torino, 1943, 325; Cavani, in La legge sul software. Commento sistematico, in Quaderni di Aida, Milano, 1994; Santini, I diritti della personalità nel diritto industriale, Padova, 1959, 40.

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