Codice Civile art. 2596 - Limiti contrattuali della concorrenza.Limiti contrattuali della concorrenza. [I]. Il patto che limita la concorrenza deve essere provato per iscritto [2725]. Esso è valido se circoscritto ad una determinata zona o ad una determinata attività, e non può eccedere la durata di cinque anni [2125, 2557]. [II]. Se la durata del patto non è determinata o è stabilita per un periodo superiore a cinque anni, il patto è valido per la durata di un quinquennio [222 trans.]. InquadramentoL'intento perseguito dall'art. 2596 di impedire eccessive restrizioni alla libertà di iniziativa economica tutela, seppure in misura modesta, anche il mercato nelle sue effettive strutture (Corte cost. n. 223/1982). È nullo, in quanto contrastante con l'ordine pubblico costituzionale, il patto di non concorrenza diretto, non già a limitare l'iniziativa economica privata altrui, ma a precludere in assoluto ad una parte la possibilità di impiegare la propria capacità professionale nel settore economico di riferimento (Cass. n. 24159/2014). Esiste violazione del patto di non concorrenza disciplinato dall'art. 2596 quando l'obbligato intraprenda un'attività economica nell'ambito dello stesso mercato in cui opera l'imprenditore, che sia idonea a rivolgersi alla clientela immediata di questi, offrendo servizi che, pur non identici, siano parimenti idonei a soddisfare l'esigenza sottesa alla domanda che la clientela chiede di soddisfare (in applicazione di tale principio di diritto, la S.C. ha ritenuto che avesse violato il patto di non concorrenza il soggetto che, già amministratore di una società di ristorazione, aveva assunto analoga carica societaria in una società di commercializzazione di buoni pasto) (Cass. n. 988/2004). L'obbligo di corresponsione di un corrispettivo, previsto dalla legge (art. 2125) quale condizione di validità del patto di non concorrenza stipulato nell'ambito di un rapporto di lavoro subordinato, può essere contrattualmente assunto dal preponente, quale corrispettivo dell'obbligo di non concorrenza a carico dell'agente, restando escluso che la validità di tale patto possa esser pregiudicata dalla mancata previsione di un siffatto obbligo nell'art. 2596, che, in generale, disciplina i limiti contrattuali alla concorrenza (Cass. n. 9802/1998). La qualificazione come disponibili o non disponibili, ai fini della compromettibilità in arbitri rituali delle relative controversie, dei diritti incisi da un accordo concluso, prima dell'entrata in vigore della l. n. 287/1990, da due imprese per disciplinare la reciproca concorrenza, va valutata — dato che la legge del 1990 non contiene alcuna disposizione transitoria o, comunque derogatoria del principio di irretroattività — alla luce del diritto previgente e in particolare dell'art. 2596 cod. civ., il quale, nel porre limiti alla libertà di iniziativa economica sotto il profilo della disciplina delle autolimitazione negoziale della concorrenza, non deroga al principio che la libertà di iniziativa economica privata garantita dall'art. 41, comma 1, Cost. (benché possa essere limitata a tutela di interessi individuali o della collettività, a norma dell'art. 42, comma 2 e 3, Cost.) attiene a materia disponibile, in quanto espressione della libertà di scelta e di svolgimento delle attività economiche riconosciuta al soggetto privato in quanto tale (nella specie, proposta nel settembre 1991 da una delle imprese contraenti azione davanti alla Corte d'appello competente per territorio per la dichiarazione di nullità — per violazione prima della legge comunitaria «antitrust» e poi della l. n. 187/1990 — di accordo, stipulato nel 1989, relativo alla ripartizione delle quote di mercato, alle condizioni da praticare alla clientela e alla costituzione di una società per l'acquisto di un'azienda concorrente, la S.C., in sede di regolamento di competenza, ha dichiarato la competenza degli arbitri, in applicazione della clausola compromissoria relativa alle controversie nascenti dal contratto, con salvezza della possibilità del giudice arbitrale di sindacare la validità o l'efficacia del contratto o di sue specifiche clausole) (Cass. n. 7733/1996). GeneralitàLa clausola di esclusiva inserita in un contratto di somministrazione, non è soggetta al limite di durata quinquennale previsto dall'art. 2596 per gli accordi limitativi della concorrenza, a meno che non possa qualificarsi come un autonomo patto, nel qual caso però il limite temporale di validità del patto di non concorrenza non si estende alla durata del contratto di somministrazione. (Cass. n. 21729/2013). Le limitazioni alla concorrenza sono sottoposte al limite temporale quinquennale soltanto quando siano stipulate come pattuizioni a se stanti, autonome e distinte da un rapporto contrattuale corrente tra le parti, mentre il limite non si applica quando tra il patto ed il contratto sussiste un collegamento causale in modo che il primo adempia alla stessa funzione economica del secondo (Cass. n. 1327/1973). La clausola di esclusiva inserita in un contratto di somministrazione, in virtù del principio generale di libertà delle forme negoziali, deve avere la medesima forma prevista per il contratto cui accede e non soggiace all'operatività dell'art. 2596 che impone tale forma, ad probationem, per il patto che limita la concorrenza (Cass. n. 21729/2013). La previsione della risoluzione del patto di non concorrenza rimessa all'arbitrio del datore di lavoro concreta una clausola nulla per contrasto con norme imperative, atteso che la limitazione allo scioglimento dell'attività lavorativa deve essere contenuta — in base a quanto previsto dall'art. 1225, interpretato alla luce degli art. 4 e 35 della carta costituzionale — entro limiti determinati di oggetto, tempo e luogo, e va compensata da un maggior corrispettivo. Ne consegue che non può essere attribuito al datore di lavoro il potere unilaterale di incidere sulla durata temporale del vincolo o di caducare l'attribuzione patrimoniale pattuita (Cass. n. 212/2013). Il contratto, con il quale due società italiane, operanti nel territorio nazionale quali concessionarie per la vendita di autoveicoli della stessa fabbrica, fissino un reciproco divieto di negoziare con clienti non residenti nelle rispettive zone, non è affetto da invalidità, nella disciplina previgente a quella introdotta in via innovativa dall'art. 2 della legge 10 ottobre 1990 n. 287, sotto il profilo di contrasto con i regolamenti Cee n. 83 e n. 123 del 1985, atteso che questi, dando attuazione all'art. 85 del Trattato, si occupano esclusivamente della disciplina della concorrenza nel mercato comune, cioè nei rapporti fra imprese presenti in Paesi diversi (Cass. n. 8251/1995). Sebbene la legge non imponga al lavoratore parasubordinato un dovere di fedeltà, tuttavia il dovere di correttezza della parte in un rapporto obbligatorio (art. 1175) e il dovere di buona fede nell'esecuzione del contratto (art. 1375) vietano alla parte di un rapporto collaborativo di servirsene per nuocere all'altra, sì che l'obbligo di astenersi dalla concorrenza nel rapporto di lavoro parasubordinato non è riconducibile direttamente all'art. 2125 — che disciplina il relativo patto per il lavoratore subordinato alla cessazione del contratto — ma, permeando come elemento connaturale ogni rapporto di collaborazione economica, rientra nella previsione dell'art. 2596 (Cass. n. 7141/2013). È nullo, in quanto contrastante con l'ordine pubblico costituzionale, il patto di non concorrenza diretto, non già a limitare l'iniziativa economica privata altrui, ma a precludere in assoluto ad una parte la possibilità di impiegare la propria capacità professionale nel settore economico di riferimento (Cass. n. 24159/2014). Oggetto del patto di non concorrenzaDeve ritenersi valido, ai sensi dell'art. 2596, il patto di non concorrenza che faccia divieto ai contraenti di rifornirsi di una determinata merce presso determinati produttori allorquando tale riferimento comporti unicamente la funzione di delimitare le zone e le attività pattiziamente precluse (Cass. n. 6456/1981). È nullo, in quanto contrastante con l'ordine pubblico costituzionale (artt. 4 e 35 Cost.), il patto di non concorrenza diretto, non già a limitare l'iniziativa economica privata altrui, ma a precludere in assoluto ad una parte la possibilità di impiegare la propria capacità professionale nel settore economico di riferimento (Cass. n. 16026/2001). Scopo essenziale del cartello è quello di limitare la concorrenza reciproca tra imprenditori esercenti una medesima attività economica o attività economiche connesse. Sotto forme mutevoli, ma avanti il medesimo obiettivo, esso tende a disciplinare, sul terreno della competizione economica, attività imprenditoriale antagonistiche. Tale disciplina convenzionale può concernere la quantità o la qualità della produzione, le zone riservate alla penetrazione commerciale dei contraenti, i prezzi e altre condizioni delle vendite, e simili elementi o aspetti dell'attività produttiva o di scambiò ma deve pur sempre riguardare la condotta economica delle parti nei riflessi che essa può avere nel campo della concorrenza, ossia nel campo in cui convengono e si scontrano attività imprenditoriali in effettivo o potenziale conflitto tra loro. Rimangono, pertanto, fuori dello schema del cartello tutti gli altri patti o accordi che non si propongono, come obiettivo sostanziale e finale, di limitare o, comunque, di contenere le attività competitive di imprese concorrenti, rispetto ai quali non possono, quindi, ricevere applicazione le limitazioni temporali sancite dall'art. 2596 (Cass. n. 2287/1965). BibliografiaCottino, Diritto commerciale, I, Padova, 1999, 253; Ghidini, I limiti negoziali alla concorrenza, Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell'economia, diretto da Galgano, Padova, 1981, 89. |