Codice Civile art. 2600 - Risarcimento del danno.Risarcimento del danno. [I]. Se gli atti di concorrenza sleale sono compiuti con dolo o con colpa, l'autore è tenuto al risarcimento dei danni [2043]. [II]. In tale ipotesi può essere ordinata la pubblicazione della sentenza [120 c.p.c.]. [III]. Accertati gli atti di concorrenza, la colpa si presume. InquadramentoLe diverse ipotesi di concorrenza sleale previste dall'art. 2598 si ricollegano a distinte situazioni di fatto. Pertanto, la domanda di risarcimento del danno da atti di concorrenza sleale, per violazione dei principi della correttezza professionale, ai sensi del n. 3 della citata norma, non può essere oggetto di esame sotto il profilo della concorrenza sleale per appropriazione di pregi, secondo la previsione di cui al n. 2 della norma medesima, in difetto di una espressa e tempestiva allegazione e specificazione dei fatti integrativi di detta appropriazione di pregi (Cass. n. 2940/1978). In tema di concorrenza sleale, la perdita di chance configura un comportamento lesivo, trattandosi di una interferenza illecita sulla serie causale, che avrebbe condotto al conseguimento di un profitto di mercato; ne discende che il danno relativo non può che essere valutato sulla base della considerazione di una potenzialità, poi venuta meno (Cass. n. 7927/2012). Il lucro cessante per effetto della concorrenza sleale per imitazione servile della forma del prodotto dell'impresa concorrente può essere determinata attraverso l'analisi dei bilanci, ovvero dei conti economici del danneggiato, purché si identifichi lo spazio di mercato dentro il quale la confondibilità, che costituisce l'essenza dell'illecito summenzionato, è stata realizzata (Cass. n. 7869/1997). La reazione dell'imprenditore che sia danneggiato dalla condotta sleale di un concorrente è legittima, e non causa un danno risarcibile, solo quando risponde ai parametri della continenza generale e della proporzionalità rispetto all'offesa ricevuta. (Nell'enunciare il principio, la S.C. ha confermato la decisione impugnata, che aveva ritenuto sleale, perché sproporzionata, la campagna di denigrazione effettuata da un imprenditore contro l'ex agente, il quale aveva avviato un'attività commerciale in violazione del patto di non concorrenza) (Cass. n. 12820/2018). In tema di risarcimento del danno da atti di concorrenza sleale, la relativa azione è soggetta alla prescrizione quinquennale ex art. 2947; tuttavia, la costituzione di parte civile nel processo penale produce, come ogni altra domanda giudiziale, un effetto interruttivo permanente della prescrizione del diritto al risarcimento del danno scaturito dal reato per tutta la durata del processo, nei confronti tanto di coloro contro i quali viene rivolta espressamente la costituzione, quanto dei coobbligati solidali, ancorché rimasti estranei al processo penale, e il termine di prescrizione riprende a decorrere dal momento in cui è divenuta irrevocabile la sentenza penale che ha definito il giudizio (Cass. n. 28456/2017 ). GeneralitàLa tutela accordata al titolare della ditta dall'art. 2564, nel caso che altri faccia uso di ditta uguale o simile e ciò possa creare confusione per l'oggetto delle rispettive attività ed il luogo in cui sono esercitate, viene a concorrere con la tutela contro atti di concorrenza sleale, a norma dell'art. 2598 n. 1, qualora, oltre alla suddetta confondibilità, sufficiente per l'applicazione del citato art. 2564, si verifichi anche una situazione idonea ad arrecare pregiudizio, ad incidere cioè negativamente sul profitto che l'imprenditore tende ad ottenere attraverso l'esercizio dell'impresa. Tale ultimo requisito, peraltro, non richiede un danno già prodottosi, in relazione ad un'attività concorrenziale in atto, e deve essere ravvisato, pure ai fini di una pronuncia di condanna generica al risarcimento del danno, nonché dell'ordine di pubblicazione della sentenza a norma dell'art. 2600, anche in relazione ad una concorrenza potenziale, alla stregua di una estensione od espansione in futuro dell'attività imprenditoriale, che si presenti in termini non di mera possibilità, ma di rilevante probabilità (Cass. n. 1310/1986). L'illecito concorrenziale di cui all'art. 2598 non si perfeziona necessariamente attraverso la produzione di un pregiudizio attuale al patrimonio del soggetto concorrente, essendo sufficiente la potenzialità o il pericolo di un danno, concretantesi nell'idoneità della condotta vietata a cagionare un pregiudizio. Parimenti, la pubblicazione della sentenza — prevista dall'art. 2600, secondo comma, in caso di atti di concorrenza sleale compiuti con dolo o colpa — è un provvedimento autonomo che può essere disposto indipendentemente dall'esistenza (o dalla prova) di un danno attuale generico, trattandosi di rimedio che assolve ad una funzione riparatoria con riguardo a situazioni di pregiudizio specifico già verificatosi (quale il discredito), ovvero ad una funzione preventiva rispetto a quelle che potrebbero verificarsi in futuro (Cass. S.U., n. 12103/1995). Il danno cagionato dal compimento di atti di concorrenza sleale non è in re ipsa ma, essendo conseguenza diversa ed ulteriore rispetto alla distorsione delle regole della concorrenza, richiede di essere autonomamente provato secondo i principi generali che regolano il risarcimento da fatto illecito. Ne consegue che solo la dimostrazione dell'esistenza del danno consente il ricorso al criterio equitativo ai fini della liquidazione (Cass. n. 7306/2009). Il danno cagionato mediante abuso di posizione dominante non è in re ipsa, ma, in quanto conseguenza diversa ed ulteriore rispetto alla distorsione delle regole della concorrenza, deve autonomamente provarsi secondo i principi generali in tema di responsabilità aquiliana (Cass. n. 20695/2013). Presunzione di colpaL'ultimo capoverso dell'art 2600, secondo cui, accertati gli atti di concorrenza, la colpa si presume, opera nel presupposto che gli atti di concorrenza sleale siano stati accertati: detta norma, quindi, non vale a modificare il normale onere probatorio sulla sussistenza di questi ultimi (Cass. n. 2602/1976). In tema di concorrenza sleale la colpa, richiesta ai soli fini del risarcimento del danno, e anche a tali fini presunta quando siano accertati gli atti di concorrenza sleale medesima. (Cass. n. 3400/1973). In tema di risarcimento di danni da concorrenza sleale costituita dalla contraffazione di segni distintivi altrui, la colpa, che e presunta dalla legge, non è esclusa dal soggettivo apprezzamento dell'autore della contraffazione, il quale, avendo accertato l'esistenza di un determinato marchio altrui, lo giudichi non confondibile con quello proprio (Cass. n. 3938/1974). L'accertamento di concreti fatti materiali di concorrenza sleale comporta una presunzione di colpa, ex art 2600, che onera l'autore degli stessi della dimostrazione dell'assenza dell'elemento soggettivo ai fini dell'esclusione della sua responsabilità; il corrispondente danno cagionato, invece, non è "in re ipsa" ma, quale conseguenza diversa ed ulteriore rispetto alla distorsione delle regole della concorrenza, necessita di prova secondo i principi generali che regolano il risarcimento da fatto illecito, sicché solo la dimostrazione della sua esistenza consente l'utilizzo del criterio equitativo per la relativa liquidazione (Cass.n. 25921/2015). Pubblicazione della sentenzaL'illecito concorrenziale di cui all'art. 2598 non si perfeziona necessariamente attraverso la produzione di un pregiudizio attuale al patrimonio del soggetto concorrente, essendo sufficiente la potenzialità o il pericolo di un danno, concretantesi nell'idoneità della condotta vietata a cagionare un pregiudizio. Parimenti, la pubblicazione della sentenza — prevista dall'art. 2600, secondo comma, in caso di atti di concorrenza sleale compiuti con dolo o colpa — è un provvedimento autonomo che può essere disposto indipendentemente dall'esistenza (o dalla prova) di un danno attuale generico, trattandosi di rimedio che assolve ad una funzione riparatoria con riguardo a situazioni di pregiudizio specifico già verificatosi (quale il discredito), ovvero ad una funzione preventiva rispetto a quelle che potrebbero verificarsi in futuro (Cass. n. 12103/1995). La pubblicazione in uno o più giornali della sentenza che accerti la violazione dei diritti di proprietà industriale, ai sensi dell'art. 126, comma 1, c.p.i., costituisce una misura discrezionale non collegata all'accertamento del danno, trattandosi di una sanzione autonoma, diretta a portare a conoscenza del pubblico la reintegrazione del diritto offeso, analogamente a quanto previsto dall'art. 2600 c.c. in materia di concorrenza sleale, con la conseguenza che la mancata adozione del relativo ordine da parte del giudice di merito non è sindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 11362/2022). In tema di concorrenza sleale, la pubblicazione della sentenza che abbia accertato l'esistenza di atti concorrenziali contra legem costituisce misura discrezionale del giudice (oltre che indipendente dall'esistenza di un danno in capo al soggetto agente) tanto nell'an quanto nel quomodo. Ai fini tuttavia dell'adempimento dell'ordine del giudice, non si rende di per sé incompatibile il fatto che il condannato accompagni la «pubblicazione» del dispositivo con altre informazioni meramente esplicative e pertinenti alla verità dei fatti, che egli abbia interesse a portare contemporaneamente, a conoscenza del pubblico (Cass. n. 1982/2003). BibliografiaCottino, Diritto commerciale, I, Padova, 1999, 253; Ghidini, I limiti negoziali alla concorrenza, Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell'economia, diretto da Galgano, Padova, 1981, 89. |